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Un Tre Ruote assai vissuto.
Cecilia Mangini
La prima impressione è che secondo le più consolidate tradizioni italiche il
Tribunale del Riesame di Taranto abbia dato un colpo al cerchio e un colpo alla
botte. Un sì formale al gip Patrizia Todisco, che per l’Ilva aveva chiesto e
ottenuto l’apposizione dei sigilli del sequestro, un sì sostanziale ai patron
dell’Ilva, Emilio Riva e Nicola Riva che contro il sequestro avevano ricorso. La
più grande acciaieria d’Europa che con un inquinamento ambientale monstre porta
malattie e morte agli operai e alla popolazione di Taranto resta sigillata, ma
il lavoro continuerà e le ciminiere continueranno a spargere veleni. L’inchiesta
per questo disastro ambientale prosegue in attesa di ulteriori insabbiamenti,
intanto il Governo ha già deciso: il risanamento lo pagherà lo Stato, come del
resto aveva chiesto anche il segretario della CGIL Susanna Camusso nel
movimentato comizio del 2 agosto. Ma cosa è successo realmente a Taranto durante
quella manifestazione indetta dai tre sindacati nazionali che i media hanno
descritto come una battaglia campale?
È accaduto che il comizio sia stato vanificato dalla forza spontanea di una
dissidenza cittadina appena organizzata. Nella fiaba è stato un bambino a dire
«Il re è nudo». A Taranto a dire «I sindacati sono nudi» è stato il “Comitato
dei cittadini liberi e pensanti”. Con un nome che oscilla tra il goffo e il
libertario di due secoli fa, il comitato ha preso piede nei giorni tempestosi
del sequestro dell’acciaieria, con una serie di sit-in in cui chiunque aveva
diritto a intervenire. Il nerbo dei liberi e pensanti è costituito dagli operai
dell’Ilva che per difendere la loro dignità non sono andati a battere le mani ai
dirigenti del siderurgico messi agli arresti domiciliari il 31 luglio e finiti
sotto inchiesta “per disastro ambientale doloso, omissione di cautele sul luogo
di lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, imbrattamento di cose altrui,
getto di cose pericolose e danneggiamento”, come scrive la Gazzetta del
Mezzogiorno del 1 agosto. Loro, i liberi e pensanti, hanno deciso di
rappresentare anche i precari, i disoccupati, gli studenti, le cassaintegrate di
Teleperformance, i pensionati. Hanno un programma nitido e preciso: no alla
violenza, sì al diritto al lavoro, sì al diritto alla salute, sì alla bonifica
dell’Ilva a carico non dello stato ma dei responsabili di un inquinamento che si
è perpetuato nell’indifferenza e nel silenzio. Ai tre sindacati avevano inviato
la richiesta scritta di poter parlare nel corso del comizio. La risposta a
queste lettere non è mai arrivata.
La mattina del 2 agosto partecipo al loro corteo, vicino a un tre ruote assai
vissuto da cui partono parole d’ordine e canzoni, le mani battono allegramente
il ritmo della musica, mille voci in coro scandiscono “libertà per Taranto”. Il
corteo ha l’andamento di una festa: fumoni colorati e innocui punteggiano di
arancione la fiumana dei partecipanti, bambini ci vengono incontro con i loro
disegni a tempera sgargiante, lo striscione che avanza in mezzo a tutti non è
stampato, è fatto a mano, lettere non proprio uguali, spazi non proprio
simmetrici. Trasuda spontaneità e volontà di agire.
La piazza del comizio è semivuota. Ha parlato Bonanni, i fischi hanno
punteggiato il suo discorso. Il nostro corteo fluisce nella piazza, la riempie,
i liberi e pensanti salgono sul palco, ribadiscono la loro richiesta di poter
parlare.
La risposta finalmente arriva, è no.
D’improvviso accade quello che per me è un ritorno del ’68 ora e qui, in questa
piazza, dopo quasi mezzo secolo: è il diritto alla rappresentatività che
appartiene a tutti. Sta parlando Landini, segretario nazionale della Fiom, ma
diventa improvvisamente muto: qualcuno ha staccato la spina del microfono, è un
gesto accolto dall’uragano degli evviva. Scortati dalla polizia Camusso, Bonanni
e Angeletti se ne vanno. In piedi sul tre ruote che senza inciampi è arrivato al
centro della piazza, due operai dell’Ilva, Massimo Battista e Aldo Ranieri, si
rivolgono a una marea di gente, contrappuntati da applausi fragorosi: “Lo stato
è complice di un duplice delitto: quello contro il lavoro e quello contro la
salute”, “Siamo liberi perché vogliamo spezzare le catene del ricatto
occupazionale”, “Nella busta paga devono mettere anche la voce ‘tumori’”, fino
alla conclusione: “Adesso ce ne andiamo pacificamente”. La folla defluisce e se
ne va lenta e ordinata. La polizia in tenuta antisommossa è rimasta ad
osservare.
La piazza adesso è punteggiata in qua e in là da capannelli. Tutto si è
concluso. Gli operatori TV stanno caricando sui furgoni microfoni e telecamere.
Li riafferrano al volo: Camusso è ritornata e parla. L’importante non è parlare
e confrontarsi con una piazza piena, l’importante è essere ripresi per i
telegiornali, apparire in TV è certificazione di presenza.
Il giorno dopo, il 3 agosto, la stampa – grandi quotidiani come il Corriere
della Sera, la Repubblica, il Messaggero oltre a quelli locali– sceneggia
l’assalto degli eversori guastafeste, racconta scontri e tafferugli, denuncia il
lancio delle uova e lo sconvolgimento dei fumogeni, descrive l’epopea di un
Apecar – alias il tre ruote assai vissuto
– che penetra come un ariete nella
piazza del comizio e lo sconvolge, sostiene che la polizia in tenuta
antisommossa abbia caricato, peraltro senza l’ombra di un contuso. La stampa
garantisce che il rito del comizio è sacro, blasfemo è chi lo turba, eretico chi
pretende di parteciparvi.
Lo stesso 3 agosto il governo approva il decreto per la bonifica secondo le
richieste padronali e, ahimè, sindacali.
Il 7 agosto il Tribunale del Riesame lo rende operativo: l’Ilva sia bonificata a
spese dello stato. Non a spese di Riva e di chi come loro ha messo a reddito, a
proprio reddito, l’inquinamento, le malattie e la morte di lavoratori e
cittadini, ma a spese di tutti gli italiani, lavoratori, precari, disoccupati,
inoccupati, cassintegrati, studenti, pensionati.
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[8
ottobre 2012]
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