En signe de fraternelle compréhension et dans le souci commun d’un élargissement constant des volontés et des pouvoirs qui ne divisent pas, qui seulement et d’abord rassemblent
Robert Antelme, L’Espèce humaine, Paris, Èdition Robert Marin, 1947
La dedica di Antelme a Fortini nell’esemplare di L’Espèce
humaine della biblioteca fortiniana mette
in evidenza un tema fondamentale in molti pensatori del Novecento: il
tema dell’unione/divisione. La dedica è di particolare interesse
poiché sembra anticipare un tema caro allo stesso Fortini.
La conoscenza tra Franco Fortini e Robert Antelme avviene tramite
l’amico Elio Vittorini.
Grazie all’amico comune Claude Roy, Antelme, Mascolo e la Duras conoscono
Vittorini e sua moglie Ginetta Varisco. In estate vengono in Italia
per la prima volta, loro ospiti. Le prime pagine de L’Espèce
humaine saranno scritte a Bocca di Magra sotto gli occhi dell’amico Elio.
Quel terzetto francese, che l’occhio malpensante di Fortini non sa se
mettere a fuoco con gelosia piccolo borghese o con ammirazione
libertaria, aveva portato a Bocca di Magra uno stile nuovo, un nuovo
modo di stare insieme (di pensare, scrivere, praticare la politica);
un modo affascinante di vivere la complessità, i nodi dei rapporti
privati e le scelte pubbliche.
Vent’anni dopo questa dedica, la guerra, in Italia e nel resto d’Europa, è
un ricordo sempre più rimosso, si è trasferita nei paesi del Terzo
Mondo. Là è tragedia quotidiana, qui è oggetto di controversie o
notizia da manipolare. Essa diventa un alto punto di contesa politica
internazionale. In un Intervento
alla manifestazione per la libertà del Vietnam, tenuta in piazza
Strozzi a Firenze il 23 aprile 1967 (Fortini,
1984a), promossa da organizzazioni universitarie e con la
partecipazione di Lelio Basso, Tristano Codignola, Giorgio La Pira e
del sindaco Mario Fabiani, Franco Fortini pronuncia un discorso
contro l’intervento americano in Vietnam, che resterà impresso
nella memoria di molti degli ascoltatori: accolto con approvazione da
numerosi studenti, è oggetto di critiche dagli esponenti dell’allora
PCI e dagli organi di stampa legati al partito. In tale discorso
Fortini prova a scalfire la rimozione collettiva. Il marxismo gli
dice che la vicenda del Vietnam è una metafora dei conflitti di
classe nazionali e che un filo stringe quella guerra lontana alla
falsa pace dell’Occidente nelle forme dello sfruttamento politico
del lavoro. Con un breve comizio, in dodici punti, ribalta
l’opinione, anche della Sinistra, che i Vietnamiti non fossero che
delle vittime e che la coesistenza inaugurata dal rapporto di Kruscev
fosse davvero pacifica. Paradossalmente, a trovarsi in una condizione
più vera sono proprio i vietnamiti, che lottano apertamente,
rischiando la morte, contro l’aggressione americana, e non gli
italiani che hanno accettato la servitù degli Usa.
Leggiamo il passaggio del discorso riportato in Memorie per dopodomani (Fortini,
1984a, p..17)
Storia ed esperienza mi hanno insegnato
che si deve oggi tendere non ad unire ma a dividere.
A dividere sempre più violentemente il mondo,
a promuovere l’approfondita, la sola vera, la sola feconda divisione,
divenuta sempre più chiara dolorosa e necessaria,
per entro l’unità creata dal mercato internazionale,
per entro l’unità determinata dal potere e dall’oppressione.
Vuol dire anzitutto distruggere le false divisioni del passato,
vuol dire vedere identificare interpretare
l’unità confusa e corrotta che oggi esiste.
Tale dichiarazione provocò il «silenzio glaciale dell'ufficialità» e,
all'indomani della manifestazione, le censure e il dissenso degli
organi di stampa. “L'oggetto critico” di questi articoli non fu tanto la polemica di Fortini nei
confronti della politica americana, quanto il suo incitamento,
accolto dalla maggior parte dei giovani, alla divisione, come se
Fortini volesse portare la scissione tra le persone e mettere in
evidenza il pensiero del “dividere”. Giovanna Gronda nel suo
saggio Un comizio, raccolto in Retorica e politica
afferma che il concetto fondamentale di questo discorso è quello
della necessità attuale della divisione, concetto ripreso, ribadito
e contrario nella sezione X dove Fortini denuncia l'inganno della
coesistenza pacifica, utilizzata dal neocolonialismo americano, dal
razzismo sudafricano, dalla borghesia indiana e dal capitalismo
giapponese.
Ci sono in queste righe figure di opposizione: «non ad unire ma a
dividere» e delle anafore «per entro l'unità / per entro l'unità».
Dal punto di vista lessicale, il significato politico della divisione
è esplicitato mediante il rapporto, antitetico e analogico, con due
forme diverse di unità e mediante la contrapposizione temporale con
«le false divisioni del passato». L'aggettivo «false» qualifica
«le divisioni del passato» con contrapposizione antitetica a «la
sola vera» divisione del presente, creata da forze quali «il
mercato internazionale», «il potere», «l'oppressione». Queste
tre forze caratterizzano “l'unità artificiosa” contro cui va
promossa la divisione e la differenziano dall'unità che pur confusa
e corrotta occorre «vedere identificare interpretare».
Attraverso tali competenze si deve: superare i vecchi pregiudizi, comprendere i
nuovi fenomeni e riconoscere i protagonisti della storia. «La
divisione e l'unità di oggi sono nettamente opposte alle false unità
e divisioni del passato; la contrapposizione non è più tra dividere
e unire, ma tra passato e presente, i due sostantivi divisione e unità sono
ordinati agli estremi dei vettori temporali» (Gronda, 1977).
Il lettore si aspetta una distinzione basata su «vera divisione» e
«false unità». Fortini al v.108 ha una frase inaspettata: «false
divisioni», contrapponendo la divisione alla falsa unità è
enigmatico e crea disagio nel lettore. La «vera divisione»
smaschera la «falsa unità».
Le censure che Fortini ha ricevuto all'indomani della manifestazione
erano già state considerate nel discorso di Piazza Strozzi, l'intera
sezione XI è una risposta anticipata alle obiezioni di astrattezza,
moralismo, avventurismo piccolo-borghese:
[…]
E questo dico a chi ci accusa
di estremismo verbale e irresponsabile.
Lo dico con umiltà che si conviene
a chi paga di parole dove altri paga con
la vita. Ma dev'esser detto:
chi vuol combattere quello che è, la
boria di quello che è,
la simpatia naturale che il potere ha
per il potere,
e il partito d'opposizione per il
partito al governo,
[…]
chi vuol combattere l'alleanza
tendenziale di quel che è
e vuol combatterla in nome di quel che
non è ancora
facilmente sarà accusato
di profetismo, di astrattezza, di
moralismo,
di “avventurismo piccolo-borghese”.
Non è così che si dice?
Fatelo pure, dunque, se volete e vi
nutre.
Luca Lenzini, in un suo saggio Sull’ingratitudine
dell’ospite,
ha criticato coloro che hanno accusato Fortini di profetismo,
moralismo, estremismo (Lenzini 1999). Molti ascoltando e leggendo in modo parziale Fortini
non hanno voluto vedere che nella sua visione erano presenti entrambe
le istanze, divisione e unione. Le sue parole vengono spesso riprese
ed utilizzate in modo strumentale, per semplificare e condannare il
suo pensiero; qui si vuol sottolineare e rendere tangibile il momento
della “divisione”, ovvero i luoghi e i momenti in cui Fortini
mette in rilievo tale istanza, pur non dimenticando l'altro aspetto:
quello della “unione”.
Ci fu anche, d’altra parte, chi rimase colpito positivamente
dall'intervento di Fortini: Romano Luperini lo cita nel suo ultimo
libro L'uso della vita (LUPERINI 2013),
dal titolo fortiniano perché ripreso da una citazione da Verifica
dei poteri:
«L'uso formale della vita, che è il fine e la fine del comunismo».
Con queste parole Fortini sembra rifarsi al mondo cinese, che gli
appariva come una prefigurazione del comunismo. Il comunismo è
anti-romantico, la vita viene usata in modo sobrio e formale. «Uso
formale della vita» significa essere distaccati dal nostro “io”
e dalla nostra vita, cosicché gli uomini acquistino la capacità di
vedere anche le vite altrui (con ripresa dello straniamento
brechtiano).
Luperini esalta il comunismo come «futuro di promessa», facendone senza
mezzi termini una fede, fino a dichiarare un volontaristico «Vogliamo
crederci». Nel quinto capitolo del romanzo viene introdotta la figura di Fortini e
il protagonista Marcello ricorda la prima volta che l'aveva visto: «a
Firenze, un giorno d'Aprile del 1967». Il protagonista si riferisce
al comizio in Piazza Strozzi, descrive le ondate di manifestanti, la
tensione nella piazza e tra gli oratori ufficiali Fortini che apparve
sul palco pronunciando quelle parole: «Sul Vietnam non ci si unisce,
ci si divide!» Scrive Luperini: «Per un lunghissimo istante il
silenzio fu ancora più profondo, poi di colpo, la piazza si scosse,
ritmò “Viet nam! Viet nam!”, e tutti si guardavano e
applaudivano perché quella frase li distingueva dagli altri, dai
padri, dalle autorità, faceva valere la loro differenza, rafforzava
la loro identità» (LUPERINI 2013).
Al comizio era presente anche Carlo Fini, che sarebbe diventato grande amico di Fortini negli anni dell'insegnamento universitario a Siena. Nel saggio che Fini dedica all'amico, intitolato Fortini a Siena: vent'anni di “corrispondenza”, raccolto nella rivista «Trasparenze» (S.Marco dei Giustiniani, 1997) racconta anch'egli del loro primo incontro, avvenuto in circostanze particolari e che ha segnato una svolta decisiva nella sua vita. Anche Fini ricorda di quella sera del 23 aprile 1967, in Piazza Strozzi a Firenze, durante il comizio sul Vietnam.
Fortini, ultimo oratore, si trovò a parlare in un momento topico, proprio quando, al sopraggiungere del crepuscolo, gli studenti avevano acceso fiaccole, quasi a voler significare una presenza attiva e vigile. Il suo discorso si articolò in lasse poetiche scandite con impeto, e quasi con rabbia, ma come rattenute da uno straniamento brechtiano che torceva il collo ad ogni tentazione retorica. […] Alla ragazza che tenevo per mano fendendo la folla agitata che stentava a sciogliersi […] ricordo che dissi: «Ecco un uomo che vorrei conoscere».(Fini, 1997)
Altro importante personaggio presente al comizio del '67 è Michele Ranchetti, uno dei maggiori studiosi italiani della chiesa e delle religioni, poeta e traduttore. Sul retro del suo libro La mente musicale (Milano, Garzanti, 1988) e nelle ultime pagine ci sono molte annotazioni di Fortini, tra cui una che rimanda a quell'episodio: «Ranchetti ha vent'anni alla fine della guerra, ne ha quarantadue quando è il solo a stringermi la mano dopo il per me terribile comizio del 1967 sul Vietnam». Fortini descrive quel comizio come «terribile» probabilmente perché fu rifiutato e criticato da molti.
Vittorio Sereni, in una lettera datata 27 agosto '72 da Bocca di Magra, riferendosi alla futura pubblicazione del libro di Fortini Questo muro (1973) scrive all'amico queste parole: «[…] Sono in tutto d'accordo con la ripartizione del tuo libro e direi di non toccare niente. A dargli unità basterebbe l'accostamento tra il verso ( o sentenza):
Si deve oggi tendere a non unire ma a
dividere
(Un comizio)
e il verso o meglio i versi:
Si guardi
l'anatra palmata che vigorosa
separa acqua e ombra (pag.55)
nati dimenticavo l'importante, da occasioni così diverse.»
Questo muro contiene testi scritti tra il 1961 e il 1972. Per Fortini sono anni
segnati dalla guerra del Vietnam, dalla crescita in Italia ed altrove
della sinistra extraparlamentare, dal cosiddetto Sessantotto. Una
poesia come quella di Fortini ne porta i segni e le ferite, fino
all'inserzione tra i testi poetici della prosa politico-oratoria di
Un comizio.
Un comizio viene
ospitato nell'ultima sezione, quella paradossalmente più biografica
e intima, Di maniera e dal vero. Sereni,
nella medesima lettera, richiamandosi a quest'ultima parte dice
all'amico: «nemmeno questa sezione viene meno alla tensione di cui
parlavo, quella che nega «...separazione del vero dal vero, delle
domande sul mondo dal mondo». Sereni, per concludere, ha compreso
poeticamente il valore del “dividere”: «l'anatra che vigorosa
separa acqua e ombra».
Ritornando ora sulla dedica di Antelme si può ipotizzare che egli avesse
percepito in Fortini una tendenza incipiente verso ciò che divide
gli uomini, nonostante entrambi fossero sul versante del riunire.
Verrebbe da pensare che la dedica di Antelme: «In segno di fraterna
comprensione e nella preoccupazione comune di un allargamento
costante delle volontà e dei poteri che non dividono, che solamente
e innanzittutto uniscono» sia una sorta di ammonimento - «stai
attento a non dividere» - e allo stesso tempo la testimonianza di un
egual sentire. Fortini sentiva un fortissimo desiderio di unione ma
lo reprimeva, sempre combattuto tra un’istanza di controllo e di
super-vigilanza ed una più semplice di solidarietà, in conflitto.
Berardinelli ha parlato in proposito di «compresenza conflittuale di storia e
trascendenza», (BERARDINELLI 1973) formula che sottolinea
l’inquietudine mai placata della ricerca di Fortini tra polarità
tipiche della cultura occidentale cristiano-borghese. Questa
inquietudine ha legittimato giudizi contrastanti su di lui anche da
parte di numerosi studiosi. Caratteristica della personalità di
Fortini e della sua grandezza è proprio questo far sentire e
presentare in modo simultaneo due istanze opposte: la riunione e la
separazione. Il principio dell’unione/riunione in Fortini è
legato, come in Antelme e in Camus, al suo essere socialista, quello
della divisione all’ideologia di sinistra, come anche in Sartre.
In Fortini si ha una continua oscillazione tra questi due principi:
con l’una (la divisione) castigava l’altra (l’unione), con la
sua aspirazione all’unità addolciva il “terribile” esser
divisi, il separatismo febbrile. I due grandi esistenzialisti
francesi del Novecento, Sartre e Camus hanno, in qualche modo,
influenzato il pensiero di Fortini.
Il pensiero ideologico-politico di Fortini ha subito un' evoluzione in
vent'anni, dal '47, anno della dedica di Antelme, al '67, anno
dell'Intervento in Piazza Strozzi sul Vietnam, nel quale, come visto
sopra, vi sono dei riferimenti al pensiero dell'unione/divisione.
La dedica di Antelme non è casuale; una dedica è un dono, un segno
d'amicizia, una testimonianza di “vicinanza” o “lontananza”,
e Fortini, sia per la sua persona che per la sua opera, sollecitava
particolarmente queste due istanze, le due forze contrapposte (unione
/ amicizia, divisione/rottura) che riflettono il suo universo, così
nettamente polarizzato.
Per Fortini, l'amicizia, come e più del rapporto di coppia, connette il
soggetto al resto dell'umanità, costituisce il nucleo aggregativo
primario chiamato a prefigurare la collettività unita e liberata del
futuro comunista. In Essere comunisti
(testo pubblicato su «L’ospite ingrato» nel 1999),
Romano Luperini scriveva:
Il comunismo è un valore; come tale non è dimostrabile. Scegliere il comunismo non è scegliere una certezza, ma una possibilità. Si tratta di una scelta a rischio, non garantita da nulla. Basata solo su un'ipotesi razionale (l'ontologia dell'essere sociale) e su una necessità etica (è meglio ciò che unisce di ciò che divide).
BIBLIOGRAFIA CITATA
BERADINELLI 1973: Alfonso Berardinelli, Franco Fortini, Firenze, La nuova Italia, 1973.
FORTINI 1984a: F. Fortini, Memorie per dopo domani tre scritti 1945 1967 e 1980, Siena, Quaderni di Barbablù, 1984, pag.17
GRONDA 1977: Un comizio in Retorica e politica atti del convegno Italo-tedesco (Bressanone, 1974), Padova, Liviana, 1977.
LENZINI 1999: Sull’ingratitudine dell’ospite, in L.Lenzini, Il poeta di nome Fortini. Saggi e proposte di lettura, Lecce, Manni, 1999.
LUPERINI 2013: R.Luperini, L'uso della vita 1968, Massa, Transeuropa, 2013.
*Il testo è un estratto della tesi di laurea: Dedicato a Franco Fortini. La tesi propone al lettore una raccolta di dediche manoscritte e autografe di personaggi della cultura italiana e internazionale, ricavate dai volumi donati nel corso del Novecento dagli autori al loro interlocutore, Franco Fortini, e facenti adesso parte del patrimonio della Biblioteca Umanistica dell’Università di Siena. L’analisi del materiale ha permesso di rintracciare più di trecento dediche d'esemplare. Nella tesi viene presentata, per la prima volta, una riproduzione di alcune dediche a Fortini: si tratta di un corpus parziale e selezionato rispetto alla ricchezza della biblioteca (circa 6000 volumi): la selezione ha mirato a documentare la varietà e la qualità degli autori e a far trasparire il sistema di relazioni e corrispondenze che ha al centro il destinatario delle dediche, e il suo rayonnement nella comunità intellettuale italiana e europea.