home>
i paesi
allegorici> Mal’aleh Adumin ovvero la
banalità del male
Mal’aleh
Adumin ovvero la banalità del male
Sara
Montagnani
Quel che ora penso veramente è che il male non è mai 'radicale', ma
soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione
demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si
espande sulla superficie come un fungo.
Hannah
Arendt
La colonizzazione
della Palestina ha molti volti; o con un facile gioco di parole potrei
dirvi che, come ti volti, in Palestina vedi colonie. Ci sono i grandi
insediamenti intorno a Gerusalemme, nuovi nuovissimi, meno nuovi e
curatissimi, con le loro efficientissime strade per soli ebrei che
attraversano, solcano, tagliano, aprono ferite indelebili su territorio
occupato. Ci sono gli avamposti dei coloni dentro le strade della Città
Vecchia, imbandierati di stelle di David con il loro azzurro che
offende. Ci sono le grandi fattorie verdi scintillanti della Valle del
Giordano, enormi agglomerati agricoli irrorati, imbevuti, finanche
inondati con l’acqua rubata agli abitanti della Valle tormentati dalla
sete. Ci sono i pazzi che hanno fatto di Hebron una città dei morti. Ci
sono i pionieri dentro i container lanciati alla conquista della terra
promessa, ovunque sulle colline della Palestina.
Dal
tetto del centro Al Phoenix, campo profughi di Deisha, la sensazione
immediata è quella di un assedio. Da ogni lato, le colonie stanno
avanzando dalle colline circostanti in direzione di una Betlemme
agonizzante e strozzata dal Muro. Sembrano legioni in marcia. Ordinate,
schierate, asserragliate sulla cima delle alture, barricate dietro alte
mura di cinta. Sono così vicine a noi che lo stesso sguardo abbraccia
il profilo di Betlemme e i suoi avvoltoi. L’antico villaggio dei sacri
natali e la cittadina moderna continuano ad aggrapparsi da secoli alle
alture scoscese che fanno di Betlemme un ripido saliscendi,
disciplinato solo per il volante audace dei tassisti palestinesi. La
città araba da lungo tempo si è adagiata su quei dirupi, ha scovato le
sue piazze, innalzato al cielo i palazzi rannicchiati nei declivi,
intagliato uno spazio prezioso per chiese e minareti. Ha adeguato le
sue case vecchie e nuove al paesaggio antico. Mentre le colonie eccole
lì. Una colata sprezzante di cemento che niente dice della luminosa
pietra di Betlemme, docile e un tempo anche sacra e per questo
commerciata dai ricchi furfanti europei. La colonia davanti a noi è
un’invasione violenta di tetti rossi e villette a schiera. Sono così
mostruose da pensare che non siano abitate da famiglie; forse, semmai,
da carcerieri invisibili. Stanno inumane e occhiute a guardia delle
terre palestinesi. Perché gli abitanti di Betlemme devono sentirsi
spiati e minacciati costantemente; non solo dai coloni ma anche dai
muri e dai tetti delle colonie. Murad ci indica, poco più in là su una
collina, bandiere israeliane sventolare fiere intorno ad alcuni
container che si intravedono appena. Se tornate l’anno prossimo
anche
quella sarà una colonia. I container sono l’avanguardia, quelli
ancora
ipocritamente illegali per Israele, lo Stato che, in disprezzo del
Diritto Internazionale, persegue illegalmente la Conquista della
Palestina. Lo sguardo di Murad è fin troppo uso a vedere crescere le
colonie laddove c’erano i campi di ulivi. Ha poco più che venti anni
Murad, ma ha già visto troppa della sua terra divorata
dall’Occupazione.
Mal’aleh
Adumin è la più grande colonia della Cisgiordania. E’ così grande che
spalma le sue mostruose villette a schiera sulla cima di tre colline.
Con Gilo e altre colonie a nord forma una cintura di insediamenti
ebraici che si frappone tra Gerusalemme e la Cisgiordania, in
territorio palestinese. La costruzione delle colonie, che al primo
impatto parrebbe l’iniziativa spontanea di folli individui blindati nei
loro container, ha in realtà una tattica militare precisa. Sulle loro
mappe ogni ponte fra Gerusalemme est e la Cisgiordania dovrà essere
distrutto. Gli insediamenti, oltre ad annettere terra, con il loro
posizionamento strategico, sottrarranno anche ogni possibilità futura
di esistenza di uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale
collegata alla Cisgiordania. Eppure Ma’aleh Adumin, nonostante sia un
fronte ben riconoscibile della guerra di Conquista della Palestina, è
un luogo tranquillo. Brutalmente sereno, violentemente pacifico. Così
pacifico che a demarcare il confine tra questa quieta closed
community
e il resto del mondo c’è solo un piccolo presidio militare che non
ferma neppure il nostro autobus in visita. D’altra parte i più tra gli
israeliani considerano Ma’aleh Adumin un normale quartiere periferico
di Gerusalemme, ben collegato da confortevoli strade per soli ebrei,
ottimamente servito da mezzi pubblici a prezzi scontati per i suoi
residenti solo ebrei, provvisto di grandi centri commerciali, palestre,
piscine per i suoi visitatori ebrei. Qui puoi trovare the Jerusalem's
largest and most popular shopping mall, come suggerisce il sito di
promozione turistica gojerusalem.com. Ma’aleh Adumin
rappresenta uno
stile di vita attraente per chi fugge dal caro affitti dell’umida e
asfissiante Tel Aviv o da qualche freddo e indigente paese dell’Est o
del Nord America. C’è Zara come a Firenze, Milano, Parigi o New York. I
coloni possono comodamente parcheggiare davanti al grande centro
Carrefour, se vogliono fare un salto anche da Mango o H&M. Gli
arabi qui non si vedono, anzi non esistono. I palestinesi sono così
lontani dagli agi consumistici di questa campana di vetro che i dieci
km da Betlemme sono una distanza abissale. Non sembra neppure uno dei
luoghi più feroci della Cisgiordania Ma’aleh Adumin, piuttosto si
sforza di somigliare ad un sobborgo residenziale del New Mexico o della
California: aiuole verdi scintillanti, striate di fiori fiori fiori e
fiori ovunque su quelle tre colline sfolgoranti circondate da un arido
paesaggio lunare. Ci vuole tanta acqua per irrorare continuamente
quelle aiuole smeraldate degne della ordinatissima Olanda; ci vuole
tutta quella rubata ai villaggi palestinesi e largamente usata per le
celestissime piscinette che puntinano gli sfavillanti giardinetti delle
graziose casette per le famigliole ebree venute da tutto il mondo a
ripopolare una terra senza popolo.
A far
sbocciare sulle desolate
colline intorno Betlemme un giardino fiorito che quella terra di rozzi
beduini non aveva mai conosciuto prima del loro arrivo. Ci sono quegli
enormi ulivi romei, però, che ci sono sempre stati. Devono essere
sembrati bellissimi anche agli occhi spietati dei conquistatori. Come
poter annientare la loro esistenza generosa di olive e pace, tradizioni
e vita, devono essersi chiesti. L’eletto popolo dei giardinieri
allora
li ha strappati con crudeltà dal seno della Palestina, che li nutriva
così vigorosi dal tempo dei romani, e li ha crocifissi nelle aiuole
spartitraffico della graziosa colonia di plastica. Così adesso,
entrando a Mal’aleh Adumin, quel gigantesco corpo legnoso accoglie i
visitatori con la maestà di una testa di animale pregiato appesa alla
parete della casa di un cacciatore di frodo.
Una famiglia di coloni
passeggia beata con il loro bimbo. Si sporge da una piazzetta
panoramica e ammira soddisfatta la costruzione di un parco acquatico
proprio lì sotto. Da lì Betlemme e i bambini del campo di Deisha non si
vedono, anzi non esistono. Lo sguardo efferato della serena famigliola
di coloni continua placido ad esplorare le alture circostanti,
immaginando forse decine centinaia migliaia infinite aiuole e parchi
acquatici. Il calmo compiacimento della loro posa racconta la storia di
Mal’aleh Adumin, che Murad conosce da più di venti anni.
In principio vennero i pionieri, i più fanatici e violenti o i più coraggiosi tra gli occupanti. Piazzarono i loro container e issarono le loro bandiere. Poi vennero i soldati a difendere la loro illegalità. Poi venne il governo israeliano a portare loro condutture ed elettricità. Poi arrivarono muratori per costruire villette a schiera simili a fortini. Perché il popolo eletto ha bisogno di spazio ma anche di comfort. Infine aprirono grandi supermercati, piscine e locali pubblici. I coloni misero le tendine alle finestre delle loro casette e bagnarono le loro aiuole verdi scintillanti. La colonia illegale divenne un luogo normale.
[9 novembre
2011]
home> i paesi allegorici> Mal’aleh Adumin ovvero la banalità del male