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Jean-Pierre Rosnay: Frammenti di falesie instabili
Jean-Pierre Rosnay: Frammenti di falesie instabili
Amaranta Sbardella
Jean-Pierre Rosnay attraversa con
umiltà e vivido entusiasmo il secolo passato, vivendo da
protagonista la storia e la cultura. Delicato e caustico allo stesso
tempo, dedica la propria opera a coloro che lo hanno accompagnato nel
corso della sua travagliata esistenza, dalla madre, scomparsa
precocemente, ai compagni di lotta del Maquis
francese, sino alla
moglie Marcelle, ovvero l’Egiziana Tsou, e ai fedeli seguaci
della sua poesia e della sua indagine esistenziale.
Le parole cantano melodie di rime e di canzoni antiche, in un universo
però sempre attuale e cogente, dove lo sguardo del poeta non
può limitarsi alla ricerca di sé.
L’uomo Rosnay è ancorato al suo tempo e alla sua
memoria, che lascia trasparire come lampi squarcianti i ricordi dei
giovani suoi coetanei morti durante la Resistenza.
Il discorso poetico ha origine dall’hic et nunc,
dal nostro
esserci sulla terra, dove non è data trascendenza alcuna, ma
piuttosto dove si agitano le nostre vite quotidiane. Luogo privilegiato
rimane l’amore, che rincorre e arresta quel tempo fugace, dal
quale l’umanità nostra, già
umanità del futuro, dovrebbe trarre insegnamento.
Come racconta lo stesso poeta, «ad appena 17 anni mi sono
trovato in mezzo alle raffiche delle mitragliette in Alta-Savoia. Sono
stato così segnato dalla mia vita di maquisard
che sono
divenuto e rimango un franco-tiratore, uno di quelli che si gettano
nella lotta, ma sempre senza uniforme, come amico dei sentieri
inaccessibili»1. Franco-tiratore
Jean-Pierre Rosnay lo è stato sia nella vita che
nell’arte, propugnando uno stile poetico vivo e alla portata
di tutti2. Le immagini delle sue poesie giungono
al cuore di ogni lettore, che sia colto o no. La semplicità
complessa di un’anima infantile e rigeneratrice, gli intarsi
delle rime, delle parole assonanti, dei ritmi coinvolgenti giocano
nella prolifica produzione del poeta. L’amarezza di fondo si
tramuta nell’aspirazione ad un’arte viva e
palpitante, intonata sotto gli sguardi di tutti e a tutti accessibile.
Nessun linguaggio già codificato, nessuna regola, nessuna
divisa poetica, ma solo la genuinità e la
spontaneità di un’ispirazione sempre giovane.
Compagni di lotta di Rosnay, ingiustamente poco conosciuto
all’estero, sono Queneau, Brassens, Moustaki, Soupault, che
invece incontreranno una maggior fama.
A un anno dalla morte, su cui Jean-Pierre invitava a sorridere e a non
affliggersi, conscio di aver vissuto e di aver goduto gioie e dolori,
proponiamo qui alcune poesie che testimoniano la sua poliedrica
produzione artistica. Si alternano poèmes en prose
e poesie,
dove però rimane vigile l’elemento narrativo e
colloquiale, il flusso di parole a volte più aggressivo,
altre timido. Animano queste poesie due filoni tematici, quello
meta-poietico e quello amoroso, che s’intersecano tra loro e
trapassano da un’opera all’altra.
Nota biografica
Jean-Pierre
Rosnay nasce a Lione nel 1929 e muore a Parigi nel 2009. A quindici
anni entra nella Resistenza con il nome di battaglia
“Bébé”. Alla fine della
guerra fonda il movimento artistico del Jarivisme (da “J. A.
R.”, ovvero “Jeunes auteurs
réunis”), che invoca la semplicità e la
contingenza della creazione poetica, allontanandosi dal surrealismo
dopo una iniziale adesione.
Autore prolifico, pubblica numerose raccolte di poesie, tra le quali:
Rafales (Éditions I.P.O., 1950), Le
Treizième
Apôtre (Gallimard, 1954), Comme un bateau
prend la mer
(Gallimard, 1956), Les Diagonales (Gallimard,
1960), Fragment et relief
(Club des poètes, 1994), Danger falaises instables
(Club des
poètes, 2002).
note
1.
J.-P. Rosnay, Rafales, Paris : Éditions
I.P.O., 1950, P. 9.
2. A
testimonianza della sua continua attenzione verso il pubblico sono le
trasmissioni radiofoniche e i programmi televisivi sulla poesia che
Rosnay conduce dagli anni ’60; rimane celebre il saluto con
il quale era solito rivolgersi al suo pubblico: “Amici della
poesia, buonasera!”. La vocazione filantropica e
filoletteraria è confluita poi nella fondazione di un
locale, il Club des poètes, a Parigi, dove ancora oggi la
moglie e il figlio continuano a condividere con tutti il piacere della
poesia.
I. Pour un art poétique
Ce qu’il nous faut c’est
la phrase tout
terrain, insubmersible,
intraveineuse, la transfusion de l’âme à
l’âme.
J’entre en vous par
l’événement, par le
détail,
par le rêve qui devient réalité, par la
réalité devenue rêve, par les
premières
vagues de l’avenir qui lampent le présent.
J’ai dépassé
la
vitesse du sang, le temps a
cessé
de m’être ennemi, il m’accompagne, me
fait visiter ses
laboratoires, ses jardins, ses replis, ses panoramas fantasmagoriques
et ralentit le pas pour me laisser souffler.
Ce qu’il nous
faut, c’est la
parole vivante,
qui bondit d’une cervelle
à l’autre sans
coup férir, avec le naturel des
oiseaux et
des fleurs qui finissent toujours par revenir au poème.
Ce qu’il nous
faut, c’est la
poésie génitrice qui
franchit les biefs et les obstacles, sans perdre ses idées
ni
ses plumes, les chemins de la sève, les catacombes de la
mémoire, la page ciselée polie à la
main, le
“mot-action” se propageant comme le feu dans
l’universelle
conscience.
Regardez cet arbre, il naîtra dans
quatre siècles,
cette
lunette colossale qui contrôle la circulation dans les beaux
quartiers de la lune, à quinze cents années
d’ici.
Regardez ces hommes et ces femmes qui déjeunent sur la
terre,
soupent sur Vénus et dansent au son de musiques
étranges,
pour fêter l’avènement
de l’an trois
mille.
J’écrivais
ce poème en
mil neuf cent soixante
dix-huit,
à cette époque l’humanité
était en projet -
illisible par plus d'un côté, ployant sous les
ténèbres et bric-à-brac d’une
technologie
balbutiante. L’argent, plus
que la pesanteur, nous contraignait
à toutes sortes de contorsions.
Pour beaucoup, l’amour n’était
qu’une
façon de
boire.
Insecte délirant, l’homme
détruisait l’homme
à
tout propos, tandis que la femme, source de vie, nageant entre
paupière et genou, le berçait, musique
à la
surface des yeux, toujours une île de
côté.
I. Per
un’arte poetica
Quello che ci occorre è la frase versatile, insommergibile,
intravenosa, la trasfusione da anima a anima. Penetro in voi col fatto,
col dettaglio, col sogno che diventa realtà, con la
realtà divenuta sogno, con le prime onde del futuro che
tracannano il presente.
Ho sorpassato la velocità del
sangue, il tempo ha cessato
d’essermi nemico, m’accompagna, mi fa visitare i
suoi
laboratori, i suoi giardini, le sue pieghe, i suoi panorami
fantasmagorici e rallenta il passo per farmi riprender fiato.
Quello che ci occorre è la parola
viva, che guizza da un
cervello all’altro senza colpo ferire, naturale come gli
uccelli
e i fiori che poi sempre tornano alla poesia.
Quello che ci occorre è la poesia
genitrice che supera
ostacoli
e fossati senza perdere le sue idee o le sue piume, i percorsi della
linfa, le catacombe della memoria, la liscia pagina cesellata a mano,
le “parole-azioni” che si propagano come fuoco
nella
coscienza universale.
Guardate quell’albero,
nascerà tra quattro secoli,
quest’enorme cannocchiale che controlla la circolazione sui
quartieri chic della luna, a quindici centinaia d’anni da
qui.
Guardate quegli uomini e quelle donne che pranzano sulla terra, cenano
su Venere e danzano al ritmo di musiche straniere, per festeggiare
l’avvento dell’anno tremila.
Questa poesia la scrivevo nel
millenovecentosettantotto; a quei tempi
l’umanità si andava facendo, illeggibile per molto
aspetti, curva sotto le tenebre e cianfrusaglia d’una
tecnologia
balbuziente. Il denaro, più che la gravità, ci
obbligava
a ogni sorta di contorsione.
Per molti l’amore non era che una
maniera di bere. Delirante
insetto, l’uomo annientava l’uomo per qualsiasi
motivo,
mentre la donna, sorgente di vita, nuotando tra palpebra e ginocchio,
lo cullava, musica della superficie degli occhi, sempre isola al suo
fianco.
(da J.-P. Rosnay, Fragment et relief, Paris : Club
des
poètes, 1994, pp. 25-26)
* * *
II.
Un
poème, s’il
vous plaît |
II.
Una poesia, per
favore |
Nous
voulons du Rilke Un peu de chocolat Et surtout pas de conseils Si vous y tenez vraiment Une réflexion ou deux Mais pas : fais ceci fais cela regarde devant toi remonte tes chaussettes Du Cendrars Un peu de chocolat Si ce n’est trop demander on aimerait aussi ne plus entendre parler de la guerre Ou alors, si vraiment vous n’y tenez plus si vous éprouvez l’irrépressible besoin de parler de bombes de sang bref de guerre ne parlez pas de la dernière que nous n’avons pas connue nous nous sentons mal à l’aise rejetés en trop si vous voulez vraiment parler d’une guerre alors parlez de la prochaine celle qui sera la nôtre et qui sans doute sera aussi grande aussi somptueuse que la vôtre où nous aurons un rôle à jouer où beaucoup d’entre nous se feront tuer comme des rats en chantant aussi des chansons héroïques avec des musiques stimulantes bouleversantes que les oiseaux s’il en reste quelques-uns reprendront au refrain Nous voulons de l’Audiberti du jambon cru du pain de campagne une bouteille ou deux de la bienveillance de la marge deux ou trois Aragon quelques Michaux un Queneau de derrière les fagots un Desnos un Rosnay un Vian l’autorisation de minuit et un Marie Noël même si nous rentrons à 3 heures du matin S’il vous plaît pas de commentaires Nous voulons du Max Jacob du Cadou du [Saint-Pol-Roux et deux Daumal pour Sabine quelque chose à se mettre au creux de l’âme Mais surtout pas de conseils |
Vogliamo
un po’ di Rilke E della cioccolata E soprattutto nessun consiglio Se davvero vi sta a cuore Una riflessione o due Ma non: fai questo fai quello Guarda davanti a te rialzati le calze Un po’ di Cendrars Della cioccolata Se non è chieder troppo ci piacerebbe anche non sentir più parlare della guerra O allora, se davvero non v’interessa più se provate l’irresistibile bisogno di parlare di bombe di sangue cioè di guerra non parlate più dell’ultima che non abbiamo conosciuto ci sentiamo a disagio respinti in troppi se volete davvero parlare d’una guerra allora parlate della prossima quella che sarà la nostra guerra e che senza dubbio sarà così grande così suntuosa come la vostra dove avremo un ruolo da recitare dove molti di noi si faranno uccidere come topi cantando per di più eroiche canzoni con musiche stimolanti commoventi che gli uccelli se ne resta qualcuno riprenderanno nel ritornello Vogliamo un po’ di Audiberti del prosciutto crudo del pane di campagna una bottiglia o due la benevolenza a margine due o tre Aragon qualche Michaux un Queneau dietro le fascine un Desnos un Rosnay un Vian l’autorizzazione per mezzanotte e una Mari Noël anche se rientriamo alle 3 di notte Per favore nessun commento Vogliamo un po’ di Max Jacob di Cadou di [Saint-Pol-Roux e due Daumal per Sabine qualcosa da mettere al fondo dell’anima Ma soprattutto nessun consiglio |
(da J.-P. Rosnay, Fragment et relief cit., pp. 193-194) |
* * *
III.
|
Rappelle-toi
les promesses que je t’ai faites quand nous avions vingt ans.
Maintenant, il faut que les tiennes. As-tu remarqué au fil
de notre amour comme le temps est court quand on l’enserre
dans un baiser? As-tu remarqué comme il est
léger sous les cerisiers? Et ce n’est pas du seul
fait de la rime. As-tu remarqué sur un quai de gare comme le
temps est bizarre, s’égare, s’effare?
As-tu remarqué dans un port comme le temps est fier et fort?
As-tu remarqué sur les aéroports comme le temps
ignore la mort? As-tu remarqué dans les yeux des enfants comme le temps se penche en avant? Comme il est émouvant, poignant, insolent, innocent? As-tu remarqué comme les arbres et les vieux murs et certaines œuvres d’art semblent immobiliser le temps, le tiennent en suspens comme au-dessus d’un vide ou de la portée des mots, alouette nichée entre les dents d’un fauve endormi? As-tu remarqué? As-tu remarqué? Comme le temps accélère ou décélère selon qu’il est emporté par le flot d’un sanglot ou pris en charge par le rythme d’un thème musical ou arraché à lui-même et redistribué, remonté, démonté, dépassé, effacé par un poème? As-tu remarqué durant notre saison humaine comment l’homme créa Dieu, puis le jeta après usage, comme ces soldats qui enlèvent leurs chaussures pour fuir plus vite? As-tu observé l’atroce agonie des mouches sur des rubans badigeonnés de glu parfumée? Voilà, manamou, un quart de siècle que je lis le monde dans tes yeux. Maintenant, nous devons apprendre à nous quitter, sans éclat ni blessure. Le premier qui s’en va prépare la place de l’autre et des sabots pour nos enfants. Manamou, regarde! du bout de mon crayon j’ai cloué le temps sur la page. Désormais, nous sommes hors de son atteinte, liés l’un à l’autre et l’autre à l’un, éternels et accomplis. |
III. |
Ricorda
le promesse che ti feci a
vent’anni. Ora sta a te mantenerle. Nei nostri anni
d’amore hai notato come, racchiuso in un bacio, il tempo
è breve? All’ombra di un ciliegio hai tu notato
come il tempo è lieve? E non è solo un gioco di
rime. Hai notato come, sulla banchina di una stazione, è
bizzarro il tempo, come si ritira sgomento? Hai notato come,
all’interno di un porto, il tempo è fiero e forte?
Hai notato come il tempo ignora i morti, al chiuso degli aeroporti? Hai notato negli occhi degli infanti come il tempo si sporge in avanti? Come è commovente, straziante, innocente, insolente? Hai notato come gli alberi e i vecchi muri e alcune opere d’arte sembrano arrestare il tempo, tenerlo in sospeso, sul vuoto o vicino alle parole, come un’allodola che ha fatto il nido tra le zanne di una belva addormentata? L’hai notato? Lo hai notato? Come il tempo accelera o decelera se trascinato dal flutto di un singhiozzo o puntellato dal ritmo di un tema musicale o strappato a se stesso e ripartito, smontato, rimontato, oltrepassato, cancellato da una poesia? Hai notato nella nostra vita umana come l’uomo ha creato Dio e lo ha poi gettato via dopo averlo usato, al pari di quei soldati che si sfilano le scarpe per fuggire più in fretta? Hai osservato l’atroce agonia delle mosche sui nastri adesivi profumati? Amormio, è un quarto di secolo che leggo il mondo nei tuoi occhi. Ora dobbiamo imparare a separarci, senza pena né ferite. Il primo che se ne va prepara il posto all’altro e gli zoccoletti ai nostri figli. Amormio, guarda! Con la punta della matita ho inchiodato il tempo sulla pagina. D’ora in poi, siamo liberi dalle sue grinfie, legati l’uno all’altra e l’altra all’uno, perfetti e immortali. |
(da J,-P. Rosnay, Danger falaises instables, Paris : Club des poètes, 2004, pp. 30-31) |
* * *
IV.
A Tsou l’égyptienne |
IV.
A Tsou
l’egiziana |
Par-desuus
le toi des guitares Ses yeux et son sourire bleu La nuit mêlée à ses cheveux Chaque train oubliait sa gare La flux et le reflux de la mer intérieure Qui animait mon cœur à la cause du sien Me faisait ressemblant à ces ombre de chien Qu’on voit laper la nuit des restes de lueurs Mon Égyptienne ma mythique Quand nous baignerons-nous à nouveau Au port d’Alexandrie entre ces vieux rafiots Dont la voile crevée donnait de la musique Du haut de la plus haute pyramide Léchée par des millions de regards touristiques Entre Son Lumière légendes et cantiques Je t’apporte ces mots de sang encore humides Ces inhumains versets d’amours supra-humaines Quand le poète écrit d’amour à son aimée Il charge son crayon d’encre à éternité Puis lui dit simplement Madame je vous aime Et je vous saurais gré de l’avoir remarqué |
Al
di sopra del te delle chitarre Gli occhi suoi e il suo sorriso azzurro La notte ch’era tutt’uno colla chioma Ogni treno scordava la stazione Il flusso e il riflusso del mare interiore Che animava alla causa del suo anche il mio cuore Rassomigliavo così a quelle ombre di cani Che trangugiano nella notte quel che resta del chiarore Mia Egiziana mia mito Quando ancora una volta ci immergeremo Nel porto di Alessandria tra vecchie tartane Dalle vele forate che di musica risuonavano Dall’alto della piramide più alta Accarezzata da milioni di sguardi di turisti Cantici e leggende nella Sua Luce Ti dono queste parole ancora umide di sangue Questi inumani versetti di amori sovrumani Quando il poeta scrive d’amore alla sua amata D’inchiostro eterno alimenta la matita Poi semplice le dice Signora mia vi amo E vi sarei immensamente grato se l’aveste notato |
* * *
V. Pêche à la
ligne |
Vingt
ans après, il lui avait dit je t’aime, non sans
précaution et difficulté d’ailleurs, il
le lui avait dit de telle sorte – et sur un ton qui pouvait
aisément passer pour de la plaisanterie – il le
lui avait dit si vite et si bas, qu’elle ne l’avait
peut-être pas entendu. Puis, feignant les gestes
préalables à la mise en marche du sommeil,
très vite il s’était
retourné sur le ventre et doucement, longuement, il avait
mordu l’oreiller et recommencé sa pêche
à la ligne. Lui qui ne pêchait jamais, maintenant,
comme presque chaque nuit avant de s’endormir, il
pêchait les divers cadavres de sa jeunesse:
l’enfance tendre et éperdue - comme sont
toutes les enfances – l’adolescence
tourmentée et douloureuse, - comme sont toutes les
adolescences – et toutes morts qui pleuvaient autour de lui.
Elle dormait sans doute – peut-être, peut-être. Sait-on jamais si l’autre dort vraiment ou si lui ou elle n’est pas aussi projeté dans son théâtre d’ombre, ailleurs, là-bas, là-bas ? Il lui avait dit, vingt ans après, je t’aime, très vite et très doucement, de crainte qu’elle ne l’entendît – car il était de ces hommes pour qui il y a des choses qu’un homme ne dit pas, parce qu’elles furent trop dites, parce qu’il y a des mots qu’on ne prononce pas, parce que l’amour c’est très grave, parce que l’on ne dit pas à une femme, pas même à Dieu, des mots pareils – c’est une affaire de pudeur – parce qu’un cheval ou un aigle, un ours, un caïman, ne dit jamais des choses pareilles, ni même un chien à son maître – et pourtant, il arrive qu’un aigle, qu’un cheval, qu’un ours et meme qu’un chien aime un homme ou une femme, parce que’il y a des choses qu’on ne dit qu’avec les yeux, ou le silence – les yeux et le silence qui sont les porte-parole de l’essentiel, de ce que l’on appelle âme et qu’une âme bien élevée ne parle pas avec des mots, les mots de toujours et de tout le monde si souvent trahis, parce que ce sont des choses que les poètes écrivent, comme ça, à personne, par pudeur aussi, mais que l’on n’adresse pas à l’intéressé, car on ne dit pas au feu qu’il brûle, car on ne fait pas de déclaration d’amour à la nuit, au soleil, à la tempête, car on ne remercie pas ses yeux parce qu’ils sont bleus, parce qu’on ne reproche pas à ses yeux d’être noirs ou verts, car on ne fait pas de compliments à son cœur parce qu’il bat fidèlement depuis l’aube, car on ne reproche pas à sa gorge d’être sèche ou humide, car l’amour est un fait de nature, une germination, une croissance, une fatalité, car une femme n’est pas un clair de lune, ni une mésange, ni une rose, (n’en déplaise à monsieur de Ronsard), car un homme n’est pas un épi de soleil, ni un dolmen endormi dans un repli du temps, car il était de ceux qui n’avouent jamais, comme les brigands d’autrefois ou les rebelles. Il lui avait dit je t’aime, vingt ans après, il le lui avait dit si vite et si bas qu’elle ne l’avait peut-être pas entendu, puis, feignant les gestes préalables à la mise en état de sommeil, très vite il s’était retourné sur le ventre et doucement, longuement, il avait mordu l’oreiller. |
V. Pesca con lenza |
Vent’anni
dopo, le aveva detto ti
amo, tra l’altro non senz’accortezza e
difficoltà, glielo aveva detto in una tale maniera
– e con un tono che poteva facilmente passare per scherzoso
– glielo aveva detto così piano e veloce che forse
lei non lo aveva sentito. Poi, fingendo di prepararsi per dormire, si
era girato rapidamente sulla pancia e lentamente, a lungo, aveva morso
il cuscino e ricominciato a pescare. Lui che non pescava mai, ora, come
quasi ogni sera prima d’addormentarsi, ripescava i vari
cadaveri della sua giovinezza: l’infanzia tenera e disperata
– come tutte le infanzie – l’adolescenza
tormentata e dolorosa – come tutte le adolescenze –
e tutte le morti che gli piovevano attorno. Sicuramente lei dormiva – forse, forse. Come si fa a sapere che l’altra persona dorma veramente o che non sia sprofondata anche lei, o lui, nel suo teatro d’ombre, altrove, laggiù, laggiù? Le aveva detto, vent’anni prima, ti amo, così piano e veloce, per paura che non lo capisse, - perché era uno di quegli uomini per i quali un uomo non dice certe cose, perché ne furono dette troppo, perché ci sono delle parole che non si pronunciano, perché l’amore è molto serio, perché simili parole non si dicono a una donna, figurarsi a Dio, – questione di pudore – perché un cavallo o un’aquila, un orso, un caimano non direbbero mai queste cose, come neanche un cane al proprio padrone, - eppure, capita che un’aquila, un cavallo, un orso o un cane amino un uomo o una donna, perché ci sono cose che si dicono solo con gli occhi, o col silenzio – gli occhi e il silenzio che sono i portavoce dell’essenziale, di quello che chiamiamo anima e che un’anima nobile non si esprime a parole, parole di sempre e di tanti così spesso tradite, perché le parole i poeti le scrivono a nessuno, così, anche per pudore, ma mai al diretto interessato, giacché non si dice al fuoco che brucia, giacché non si fanno dichiarazioni d’amore alla notte, al sole, alla tempesta, giacché non si ringraziano i propri occhi per essere azzurri, giacché non si rimproverano i propri occhi d’essere neri o verdi, giacché non si fanno complimenti al proprio cuore se batte fedele dall’alba, giacché non si apostrofa la propria gola se è secca o umida, giacché l’amore è naturale, una germinazione, una crescita, una fatalità, giacché una donna non è un chiaro di luna, né una cinciallegra, né una rosa (non me ne voglia il signor de Ronsard), giacché un uomo non è una spiga al sole, né un dolmen addormentato in una piega del tempo, perché era uno di quelli che non confessano mai, come i ribelli o i banditi di un tempo. Le aveva detto ti amo, vent’anni dopo, glielo aveva detto così piano e veloce che forse lei non l’aveva capito, poi, fingendo di prepararsi per dormire, si era girato sulla pancia e lentamente, a lungo, aveva morso il cuscino. |
(da J.-P. Rosnay, Danger falaises instables cit, pp. 9-10-11) |
* * *
VI.
Ordre du jour |
VI.
Ordine del giorno |
Tenir
l’âme
en état de marche Tenir le contingent à distance Tenir l’âme au-dessus de la mêlée Tenir Dieu pour une idée comme une autre un support, une éventualité, une contrée sauvage de l’univers poétique Tenir les promesses de son enfance Tenir tête à l’adversité Ne pas épargner l’adversaire Tenir parole ouverte Tenir la dragée haute à ses faiblesses Ne pas se laisser emporter par le courant Tenir son rang dans le rang de ceux qui sont décidés à tenir l’homme en position estimable Ne pas se laisser séduire par la facilité sous le prétexte que les pires se haussent commodément au plus haut niveau et que les meilleurs ont peine à tenir la route Etre digne du privilège d’être sous la forme la plus réussie: l’homme. Ou mieux encore, la femme. |
Tenere
l’anima sull’attenti Tenere a distanza il contingente Tenere l’anima al di sopra della mischia Tenere Dio per un’idea come un’altra un supporto, un’eventualità, una contrada selvaggia dell’universo poetico Tenere le promesse dell’infanzia Tenere testa alle avversità Non risparmiare l’avversario Tenere parola aperta Tenere alta la testa contro le proprie debolezze Non lasciarsi trasportare dalla corrente Tenere il proprio rango nei ranghi di chi è deciso a tenere l’uomo in stimabile posizione Non lasciarsi sedurre dalla facilità col pretesto che i peggiori agevolmente s’alzano al livello più alto e che i migliori penano a tener la strada Essere degno del privilegio d’essere nella forma più riuscita: l’uomo. O, meglio ancora, la donna. |
(da J.-P. Rosnay, Fragment et relief cit., p. 80 ) |
[10 maggio 2011]
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