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Czesław Miłosz: descrivere le fini dei mondi
Giovanna Tomassucci
1. Storie degli Ultimi Giorni
Nei primi anni Quaranta, durante la duplice occupazione sovietica e tedesca del
suo paese, Miłosz ha composto alcune poesie, poi raccolte in Ocalenie [Salvezza,
1945], in cui compare il tema dell’osservazione esterna di un dramma altrui o
addirittura della fine di un mondo. Mi riferisco a Piosenka o końcu świata
[Canzone sulla fine del mondo], Campo dei Fiori e Biedny chrześcijanin patrzy na
getto [Il povero cristiano guarda il ghetto]. Tutte e tre appartengono al breve
ciclo Głosy biednych ludzi [Voci di povera gente] e sono state ispirate da
episodi della Seconda guerra mondiale cui il poeta aveva assistito in prima
persona: l’annessione della Lituania all’Unione Sovietica nel giugno 1940, la
repressione del ghetto di Varsavia nell’aprile del 1943 e l’atto immediatamente
successivo, la sua distruzione totale. È importante inoltre ricordare che
proprio Miłosz è stato uno dei primi intellettuali a reagire a caldo a questi
avvenimenti.
Per descrivere gli eventi della seconda guerra mondiale più di una generazione
di poeti polacchi ha cercato di dar vita a un nuovo linguaggio poetico non solo
crudo e essenziale, ma anche fantastico e visionario. Miłosz è stato un maestro
in quegli anni e la sua lunga vita gli ha permesso di riflettere su questa sua
esperienza. Il poeta appare interessato a inserire quegli episodi da una parte
in una dimensione metastorica, metafisica, escatologica, dall’altra a
individuare costanti o certi circolari ricorsi del divenire storico.
Nell’introduzione alla propria traduzione dell’Apocalisse scriverà:
użyję terminu, który znalazłem u prawosławnego teologa Sergiusza Bułgakowa:
wizje świętego Jana dotyczą metahistorii. Kiedy je spisywał, Rzym stał u szczytu
potęgi, ale jego zagłada była przygotowana, jako że (...) wszechmoc światowego
imperium taki tylko mają koniec. Czas metahistorii jest inny niż czas historii,
inne są też jej prawa: lament podbitych narodów i krew męczenników są w niej
położone na szali i znajdują zadośćuczynienie. A jak metahistoria i historia są
ze sobą złączone, nie mnie zgadywaći1.
[Mi servirò di un termine trovato nel teologo ortodosso Sergej Bulgakov: le
visioni di San Giovanni riguardano la metastoria. Quando le scrisse, Roma si
trovava all’apice della propria potenza, ma la distruzione era già predisposta,
poiché (...) l’onnipotenza di un impero mondiale non può che aver fine. Il tempo
della metastoria è diverso da quello storico, altre sono le sue leggi: in essa
il lamento dei popoli sconfitti e il sangue dei martiri vengono posti sul piatto
della bilancia e ottengono soddisfazione. E non è mio compito indovinare il
legame che intercorre tra metastoria e storia].
Formatosi tra due culture, la polacca e la russa, allora particolarmente
sensibili al tema del tramonto della civiltà occidentale, il poeta
polacco-lituano si è interessato fin dagli inizi ai processi di distruzione e
ricostruzione della storia e ai meccanismi d’indifferenza e oblio di testimoni e
posteri. La sua poesia cerca di dar voce ai lamenti dei popoli sconfitti, ma si
propone di farlo in maniera correlata, mai direttamente rappresentativa: il
passaggio dalla storia alla metastoria implica uno scavo verso lo «sfondo
metafisico del mondo»2 e per rappresentarlo occorrono forme non realistiche.
Nei versi composti nella Varsavia del 1943, da lui definita «abisso totale»3,
ricorre perciò a una descrizione alterata, straniata che si ancora spesso a
ricorsi storici simili. La sua miscela di ironia e orrore, l’uso di una sorta di
«montaggio» tra scene analoghe, ma risalenti a periodi storici diversi (come in
Campo dei Fiori) sono unici nel loro genere. Il risultato è una visione
rarefatta, una prospettiva che permette di osservare sia da vicino che da
lontano, come con uno zoom, sia nello spazio che nel tempo. Le emozioni vengono
distanziate o filtrate da vari miti ed immagini più che da una riflessione
morale esplicita.
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L. Signorelli, Finimondo |
L. Signorelli, Predica e fatto dell’Anticristo (part.) |
Qualche anno prima, durante il suo primo viaggio in Italia nel 1937, il giovane
poeta era stato affascinato dagli affreschi di Signorelli nella cappella di San
Brizio del Duomo di Orvieto, in particolare dagli apocalittici Finimondo e
Predicazione dell’Anticristo, con scene di razzia e massacri, in cui feroci
angeli sterminatori bombardano con una pioggia di dardi una folla indifesa.
Riportiamo alcuni passi di un suo breve saggio, dall’eloquente titolo Sul
silenzio, che Miłosz volle dedicare un anno dopo al ciclo pittorico:
L. Signorelli, Predica e fatti
dell’Anticristo
Jakie znane grozy! Ależ o nas mówi
to malowidło! Diabelska władza. Antychrysta skrzydło. (…) I na uboczu dwaj
artyści, którzy milczą, nie biorąc udziału w wielkim świecie na cześć fałszywego
boga4.
[Che noti orrori! Ma è di noi che parla questo affresco! Il potere del diavolo.
L’ala dell’Anticristo (…). In disparte due artisti (probabilmente Beato Angelico
e Signorelli N. d. G. T.) osservano - proprio come noi oggi - in silenzio, senza
prender parte a quel grande mondo che venera un falso dio].
Lo sguardo esterno… Senza dubbio è questa la chiave di volta che unisce varie
sue poesie: Campo dei Fiori, Il povero cristiano guarda il ghetto,
Przedmieście
(Periferia). Nella prime due la catastrofe è vista da un osservatore anonimo e
distaccato.
Riportiamo qui il testo:
Canzone sulla fine del mondo
Il giorno della fine del mondo
L’ape gira sul fiore del nasturzio,
il pescatore ripara la rete luccicante.
Nel mare saltano allegri delfini,
Giovani passeri si appoggiano alle grondaie
E il serpente ha la pelle dorata che ci si aspetta.
Il giorno della fine del mondo
Le donne vanno per i campi sotto l’ombrello,
L’ubriaco si addormenta sul ciglio dell’aiuola,
I fruttivendoli gridano in strada
E la barca dalla vela gialla si accosta all’isola,
Il suono del violino si prolunga nell’aria
E disserra la notte stellata.
E chi si aspettava folgori e lampi,
Rimane deluso.
E chi si aspettava segni e trombe di arcangeli,
Non crede che già stia avvenendo.
Finché il sole e la luna sono su in alto,
Finché il calabrone visita la rosa,
Finché nascono rosei bambini,
Nessuno crede che già stia avvenendo.
Solo un vecchietto canuto, che sarebbe un profeta,
Ma profeta non è, perché ha altro da fare,
Dice legando i pomodori:
Non ci sarà altra fine del mondo,
Non ci sarà altra fine del mondo5.
Benché ispirata dall’improvviso arrivo dei carrarmati sovietici nel centro di
Vilna nel 1940, cui l’autore aveva assistito, la poesia non narra alcun evento
storico: si tende piuttosto a riflettere più generalmente sulla cieca pulsione
vitale della natura e degli uomini, indifferenti alle «fini dei mondi» e alle
altrui tragedie. È una sorta di «distillazione» del motivo ispiratore in un
«preparato» di immagini in assoluto contrasto con il titolo. Sono scene di
maniera di cui si potrebbe agevolmente ricercare l’origine o accostare una
specifica iconografia: api su fiori, gai delfini e passeri, serpenti, pescatori,
signore a passeggio per i campi, ubriachi e ortolani. Partecipano tutti a un
vibrante ciclo naturale che non può che renderli spettatori distratti o ignari
di quella «fine del mondo» che ha luogo forse non molto lontano.
La scena di Campo dei Fiori è invece innestata su una similitudine storica:
A Roma in Campo dei Fiori
ceste di olive e limoni,
spruzzi di vino per terra
e frammenti di fiori.
Rosati frutti di mare
vengono sparsi sui banchi,
bracciate d’uva nera
sulle pesche vellutate.
Proprio qui, su questa piazza
fu arso Giordano Bruno.
Il boia accese la fiamma
fra la marmaglia curiosa.
E non appena spenta la fiamma,
ecco di nuovo piene le taverne.
Ceste di olive e limoni
sulle teste dei venditori.
Mi ricordai di Campo dei Fiori
a Varsavia presso la giostra,
una chiara sera d’aprile,
al suono d’una musica allegra.
Le salve del muro del ghetto
soffocava l’allegra melodia
e le coppie si levavano alte
nel cielo sereno.
Il vento dalle case in fiamme
portava neri aquiloni,
la gente in corsa sulle giostre
acchiappava i fiocchi nell’aria.
Gonfiava le gonne alle ragazze
quel vento dalle case in fiamme,
rideva allegra la folla
nella bella domenica di Varsavia.
C’è chi ne trarrà la morale
che il popolo di Varsavia o Roma
commercia, si diverte, ama
indifferente ai roghi dei martiri.
Altri ne trarrà la morale
sulla fugacità delle cose umane,
sull’oblio che cresce
prima che la fiamma si spenga.
Eppure io allora pensavo
alla solitudine di chi muore.
Al fatto che quando Giordano
salì sul patibolo
non trovò nella lingua umana
neppure un’espressione,
per dire addio all’umanità,
l’umanità che restava.
Rieccoli a tracannare vino,
a vendere bianche asterie,
ceste di olive e limoni
portavano con gaio brusio.
Ed egli già distava da loro
come fossero secoli,
essi attesero appena
il suo levarsi nel fuoco.
E questi, morenti, soli,
già dimenticati dal mondo,
la loro lingua ci è estranea
come lingua di antico pianeta.
Finché tutto sarà leggenda
e allora dopo molti anni
su un nuovo Campo dei Fiori
un poeta desterà la rivolta6.
Varsavia, Pasqua 1943
Chi parla in questa poesia è un osservatore del XX sec., che si raffigura il
martirio di Giordano Bruno, ma il suo sguardo scivola ben presto dal rogo
all’attiguo mercato e alla folla, più attenta alle proprie occupazioni che alla
sorte del condannato. Si crea quindi una corrispondenza con una situazione di
cui è stato testimone nella Varsavia dell’aprile 1943: la giostra eretta di
fronte al Ghetto in fiamme su cui la gente andava a divertirsi.
Qualcosa di ancora più brutale accade ai due sfaccendati della poesia Periferia,
che giocano a carte in prossimità del muro del Ghetto di Varsavia, senza far
caso al lontano «guaito» dei convogli di deportati. È come se fosse stata messa
la sordina alle grida, alla sofferenza: la distanza emotiva si trasmette così
anche a noi lettori, che finiamo per contemplare astrattamente questa scena
desolata.
La riflessione sulla sofferenza di uomini e animali si associa quindi a quella
sull’indifferenza e sul distacco di spettatori più o meno lontani7. Se essa è
anche un dato caratteristico del pensiero dei migliori scrittori e poeti
polacchi, da Gombrowicz a Herbert, non bisogna dimenticare un poeta molto
ammirato da Miłosz, Wynstan H. Auden, che già qualche anno prima, in Musée des
Beaux Arts (1938), era giunto a considerazioni assai simili, ispirate alla
Caduta di Icaro di Bruegel il Vecchio:
About suffering they were never wrong,
The old Masters: how well they understood
Its human position: how it takes place
While someone else is eating or opening a window or just walking dully along;
How, when the aged are reverently, passionately waiting
For the miraculous birth, there always must be
Children who did not specially want it to happen, skating
On a pond at the edge of the wood:
They never forgot
That even the dreadful martyrdom must run its course
Anyhow in a corner, some untidy spot
Where the dogs go on with their doggy life and the torturer’s horse
Scratches its innocent behind on a tree.
In Breughel’s Icarus, for instance: how everything turns away
Quite leisurely from the disaster; the ploughman may
Have heard the splash, the forsaken cry,
But for him it was not an important failure; the sun shone
As it had to on the white legs disappearing into the green
Water, and the expensive delicate ship that must have seen
Something amazing, a boy falling out of the sky,
Had somewhere to get to and sailed calmly on8.
Troviamo qui lo stesso tono astrattamente riflessivo della Canzone sulla fine
del mondo e di Campo dei Fiori. Miłosz tuttavia sa anche virare verso reazioni
emotivamente più forti e immagini più visionarie. Accade nel Povero cristiano
guarda il ghetto:
Le api ricoprono il fegato rosso,
Le formiche ricoprono l’osso nero.
Comincia: lacerato, calpestate le sete,
Comincia: frantumati vetro, legno, rame, nickel, argento,
[schiuma di
Gesso, latta, corde di strumenti, trombe, foglie, sfere,
[cristalli -
Puff! Dalle pareti gialle un fuoco fosforescente
Inghiotte il crine di uomini e animali.
Le api ricoprono il favo dei polmoni,
le formiche ricoprono l’osso bianco.
Stracciata è la carta, il caucciù, la tela, la pelle, il lino,
La fibra, le stoffe, la cellulosa, il capello, la squama
[di serpente, i fili di ferro,
Crollano nel fuoco il tetto e i muri, la brace avvolge le fondamenta.
Sabbiosa, calpestata, con un albero spoglio, non c’è ormai che
La terra.
Lenta, scavando un tunnel, avanza la talpa-guardiano
Con una piccola lanterna rossa sulla fronte,
Tocca i corpi sepolti, li conta, si fa largo più in là,
Distingue le ceneri umane dal vapore iridescente,
La cenere di ciascun uomo dalla tinta della sua fiamma.
Le api ricoprono la traccia rossa,
Le formiche ricoprono il posto lasciato dal mio corpo.
Ho paura, tanta paura della talpa-guardiano.
La sua palpebra si è gonfiata come quella d’un patriarca
Solito star seduto al lume di candela
Leggendo il gran libro della specie.
Cosa gli dirò io, Ebreo del Nuovo Testamento,
Da duemila anni in attesa del ritorno di Gesù?
Il mio corpo frantumato mi tradirà al suo sguardo
Ed egli mi conterà fra gli aiutanti della morte:
I non circoncisi9.
Qui non si contemplano da lontano esecuzioni individuali o di massa, non si
distoglie lo sguardo dai mattoni del muro né si presta distrattamente orecchio
al rotolare di certi vagoni merci... L’io lirico viene catapultato direttamente
dentro la scena, non è più solo testimone, ma vittima della guerra e prova le
più forti emozioni: sofferenza, paura, disperazione…
Osservare e tacere è una colpa: Miłosz ha qui anticipato un’analoga, più tarda
riflessione di Primo Levi. Per il poeta l’ispirare i propri testi «all’Horror
del mondo o della vita» può condurre d’altra parte a un contagio dell’
«immoralità della storia»10. Comprendiamo così meglio perché negli anni Settanta
egli sia arrivato ad autoaccusarsi per aver descritto la morte altrui dal punto
di vista di un distaccato testimone esterno proprio in Campo dei Fiori11.
Il proposito del poeta è quello di distanziarsi dall’ottica autocelebrativa
della poesia polacca, tanto diffusa negli anni della guerra, e di narrare
l’apocalisse che avveniva sotto i suoi occhi, emancipandosi al tempo stesso
dagli stilemi delle sue due raccolte precedenti.
Ma in che modo Miłosz vi è riuscito? Quali letture possono averlo ispirato e
guidato? Mi concentrerò proprio sul Povero cristiano guarda il ghetto, parte del
breve ciclo Voci di povera gente assieme alla Canzone sulla fine del mondo,
Periferia e I canti di Adrian Zieliński. La mia scelta è stata dettata da vari
motivi. In primo luogo perché affronta «a caldo» in modo singolare e spietato,
(e forse per questo respinto dall’antologia clandestina, Z otchłani [Dall’abisso, 1944]12, edita dal
Żydowski Komitet Narodowy [Comitato Nazionale
Ebraico]), il tema della responsabilità morale dei polacchi13. In secondo
perché è straordinariamente visionario, tanto da apparire come un mosaico di
tessere di non facile interpretazione. In terzo luogo perché costituisce una
fase di sviluppo diversa rispetto alle altre poesie citate. In quarto luogo
perché finora è stato analizzato soprattutto nel suo esplosivo contenuto e assai
poco nei suoi procedimenti e richiami sia religiosi sia letterari.
2. Il Giudizio.
Il Povero cristiano guarda il ghetto si svolge in uno strano Aldilà,
quasi a realizzare la fantasia di «wydrążyć tunel do środka ziemi / żeby
zobaczyć piekło»14 [«scavare un tunnel fino al centro della terra / per guardare
l’inferno»] espressa nei coevi Canti di Adrian Zieliński. In questa poesia l’io
lirico sembra essere l’elemento meno enigmatico: è un Everyman, un non
circonciso che, con una formula di inaspettata fratellanza (oppure nel tentativo
di un ormai impossibile rovesciamento di ruoli?) si denomina «Ebreo del Nuovo
Testamento» [«Żyd Nowego Testamentu»] . È testimone, ma anche vittima, come
lasciano intuire i versi «Le formiche ricoprono il posto lasciato dal mio corpo»
[«Mrówki obudowują miejsce po moim ciele»] e «Il mio corpo frantumato» [«Moje
rozbite ciało»], forse eco biblica dei Salmi 21, 15-18 («Deus meus, Deus meus
respice in me»)15 e 140, 7 («Domine clamavi ad te, exaudi me»), in cui la
persecuzione ingiusta si accompagna al motivo delle ossa e dello Sheol16. Non
bisogna dimenticare che anche la stessa denominazione «Povero cristiano» è
arcaica e tipica della trattatistica religiosa. Troviamo un «Christianus pauper»
nei sermoni di Sant’Agostino, dove un cristiano povero, che si lagna della sua
condizione rispetto a quella dei ricchi pagani, viene esortato alla
contemplazione di un sepolcro in cui sono ormai confuse le ossa del ricco e al
povero, del pagano e del cristiano17.
Tra i vari organi umani che compaiono nell’allucinata scena della poesia di
Miłosz si trovano invece ossa nere e bianche, probabile richiamo alla
differenziazione tra Peccatori o Giusti. In questo modo il testo si colora dei
tratti di un dramma penitenziale della psiche, dagli aspetti complessi ed
ermetici. C’è molto di ultraterreno ed escatologico in questa visione, come
registrata da una cinepresa che si sposta in verticale, da sotto terra verso
l’alto e ritorno, da un inferno all’altro…. Oggi è ormai difficile concordare
con quei commentatori che hanno visto nella landa spettrale con un albero
scheletrico del Povero cristiano il ghetto di Varsavia bruciato e raso al
suolo18. Qui si trovano sparpagliate membra umane stranamente ancora integre
e vari materiali organici e inorganici (che potrebbero assurgere a simboli di
una Vanitas contemporanea, se non apparissero pronti a venir fusi e riassorbiti
dai processi di decomposizione naturale, in una sorte di feroce catena di
montaggio organico-simbolica)19. Lo sguardo dell’osservatore ci guida poi
rapidamente verso la superficie, dove sta crollando una casa incendiata, per poi
tornare ancora nella viscere della terra scavate dalla talpa-patriarca.
La terra «sabbiosa, calpestata, con un albero spoglio» [«piaszczysta, zdeptana,
z jednym drzewem»] è quella impura e maledetta della colpa. Come in Duch Dziejów
[Spirito della Storia] del Traktat poetycki [Trattato poetico, 1956]:
Ziemia zagłady, ziemia nienawiści,
Żadne jej słowo nigdy nie oczyści20
[Terra di sterminio, terra d’odio
Nessuna parola potrà purificarti]
Nell’intervista a Ewa Czarnecka (Renata Goszczyńska) Miłosz sarà più esplicito:
Na miłość boską, było getto i była likwidacja trzech milionów polskich Żydów.
Właściwie to jest pewnego rodzaju sprawa winy, która na tej ziemi, na całym
kraju kładzie się, woła o jakieś oczyszczenie21.
[per amor di Dio, ci sono stati il ghetto e la liquidazione di tre milioni di
ebrei polacchi. Qui si tratta di una sorta di colpa che si è deposta su quella
terra, su tutto quel paese e che invoca una purificazione.]
Miłosz eluderà la richiesta dell’intervistatrice di chiarire alcuni aspetti
enigmatici del Povero cristiano guarda il ghetto, limitandosi
semplicemente a definirne il paesaggio desolato l’ «immagine di una terra
ricolma di ceneri» [«jest po prostu obrazem ziemi pełnej prochów»22].
In quella terra, fino a poco prima sede della più grande comunità ebraica e ora
suo enorme cimitero, la purificazione può giungere attraverso un «Giudizio» non
più divino dei vivi e dei morti, dei colpevoli (perché osservatori e salvati e
perciò complici) e delle vittime. Il poeta aspira a rappresentare l’incontro con
il mondo dei morti, tanto presente sia nel folklore lituano, ebraico e polacco,
sia nella tradizione letteraria polacca dei sec. XIX-XX. Nel 1969, in Na trąbach
i na cytrze [Con le trombe e lo zither] del ciclo Miasto bez imienia [Città
senza nome] scriverà: «usłyszałem bijące w ciemności serce umarłych i
żywych»23 [«udii i cuori dei morti e dei vivi che battevano nell’oscurità»].
Nel Povero cristiano guarda il ghetto ci troviamo di fronte a una sua variante
molto particolare, che si svolge in una landa desolata, davanti a resti
eterogenei (la pelle di serpente, corde di strumenti e schiuma di gesso) e viene
descritto con registri diversi, l’apocalittico, il grottesco, perfino il ludico.
In questa chiave va interpretata l’assurda lanterna rossa collocata sul capo
della misteriosa talpa. Il poeta ha ricordato di aver steso questo testo e Campo
dei Fiori per reazione alla ferocia nazista, in un impulso vicino alla scrittura
automatica24. Qui ha creato un paesaggio assai vicino alla pittura
surrealista25, in una versione del Giudizio universale a un tempo arcana,
drammatica, caricaturale, in cui Dio, gli angeli, i demoni vengono sostituiti da
un’improbabile talpa semitica, in grado di riconoscere le parti del corpo di
Giusti e colpevoli, di vittime e «aiutanti della morte».
Alla domanda su cosa rappresentasse quell’inquietante figura animale guardiano,
Miłosz ha spiegato a Renata Gorczyńska:
Wyobrażenia ludzi o przestrzeni eschatologicznej: Niebie, Piekle, Hadesie czy
Szeolu ze Starego Testamentu są dziwne, bardzo rozchwiane, płynne, ale zawsze
jest pewnego rodzaju przestrzeń. Można więc sobie wyobrazić przestrzeń
podziemną, gdzie idzie jakaś postać, która nie jest martwa. Jeżeli przesuwa się
w ten sposób, to musi być kret. (…) Kiedy pisałem ten wiersz, nie myślałem w
sposób tak programowy, jak ex post wyjaśniam. Naturalnie, że tu chodzi o
odwiedziny Szeolu czy Hadesu przez jakąś postać ze świata żywych. A kto tak może
się poruszyć – kret chyba26.
[Anche se le raffigurazioni umane dello spazio escatologico (il Cielo,
l’Inferno, l’Ade o lo Sheol nell’Antico Testamento) sono strane, instabili,
fluide, non manca mai uno spazio di un certo tipo. Si può quindi immaginare uno
spazio sotterraneo dove avanza una figura che non è di un morto. Se si sposta a
quel modo dovrà essere una talpa (…). Quando scrissi quella poesia non pensavo
in un modo cosi programmatico, come ora spiego ex post. Ovviamente qui si tratta
di un viaggio nello Sheol o nell’Ade da parte di un personaggio del mondo dei
vivi. E chi può avanzare così? Forse solo una talpa].
L’affermazione del poeta appare un po’ troppo sbrigativa. La sua talpa è munita
di una «palpebra rigonfia» come quelle citate da Dante nel Purgatorio (XVII,
1-3): una membrana che le vela gli occhi, ma che non le impedisce di muoversi
agilmente nel suo habitat. Per questo è padrona e custode delle viscere della
terra e appare quindi come l’animale simbolico più idoneo a esplorarne i tragici
segreti e a selezionare le ceneri dei morti dopo l’apocalittica distruzione del
ghetto: «Moje rozbite ciało wyda mnie jego spojrzeniu». [«Il mio corpo
frantumato mi tradirà al suo sguardo»] (corsivo GT) – dirà spaventato il Povero
Cristiano.
Anche William Blake – poeta scoperto entusiasticamente da Miłosz proprio negli
anni di guerra – aveva dichiarato qualcosa di simile nel motto del suo Book of
Thel:
Does the Eagle know what is in the pit,
Or wilt thou go ask the Mole27.
Mondi diversi possono essere conosciuti solo dalle creature che le abitano: per
conoscere il mondo sotterraneo ci si deve rivolgere alla talpa. Thel,
protagonista del poema blakiano, è una figura allegorica, un’anima che desidera
incarnarsi, ma che per il timore che le suscitano le profondità della terra non
sarà capace di portare a termine il proprio processo di formazione e conoscenza
(Miłosz vi accennerà nel saggio La terra di Ulro [Ziemia Ulro])28. Uno dei
commentatori di Blake ha attribuito a questo animale il ruolo di custode della
coscienza o dell’inconscio29, interpretazione ben applicabile anche a ciò che
avviene nel Povero cristiano. La differenza – vi ho già accennato – è che in
questa simbolica discesa si toccano corde non solo surreali, ma perfino
autoironiche.
Riporto alcuni brani del coraggioso saggio di Jan Błoński, purtroppo da noi
sconosciuto, che affronta il tema della talpa che «drąży sumienia» [«scava la
coscienza»]:
I think that we are in rat’s alley e nella III,
The fire sermon, in cui il Re Pescatore sente alle sue spalle un
viscido ratto che sposta le ossa:
Nella
Waste Land, che pur è articolata attorno al tema antropologico della morte
e rigenerazione, è assente la speranza di ogni ricomposizione e le ossa spostate
qua e là dal ratto rimangono solo inquietanti segni di morte48. Diverso è
per la poesia di Miłosz, in cui accanto alle ossa appaiono anche organi vitali e
non macabri: polmoni e fegato, misteriosamente ricoperti di insetti. La stessa
definizione della talpa come patriarca ci autorizza a cercare ancora una volta
modelli anticotestamentari, quali ad es. la celebre profezia di Ezechiele sulle
ossa inaridite (37: 1-14)49, dove le ossa sparse in un’intera valle si
ricoprono di nervi e pelle, resuscitando sotto gli occhi del profeta. Va
ricordato che proprio questa visione ha conosciuto un’intensa fortuna prima in
ambito sionistico, poi come profezia della Shoah e quindi come mito fondatore
dello Stato d’Israele. Anche nell’ultimo poema visionario di Blake, Jerusalem
(cap. II, vv. 40-57), appaiono organi sparsi del corpo:
1.
Cz. Miłosz, Słowo wstępne do tłum. Apokalipsy, in Ewangelia według
Marka – Apokalipsa, Editions du dialogue, Paris 1984, p. 8.
[19 aprile 2012]
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Kim jest ten kret, trudno powiedzieć. Jest strażnikiem, może strażnikiem
pogrzebanych? Ma latarkę, a zatem widzi, widzi w każdym razie lepiej niż umarli.
A wśród tych umarłych znajduje się jakby także sam poeta, czy też raczej ten,
który wiersz wypowiada. I on tam leży i boi się. Boi się kreta. Osobliwy,
zdumiewający obraz. A zatem ten kret ma rysy Żyda, ślęczącego nad Talmudem czy
Biblią. Chyba Biblią, bo ona raczej zasługuje na nazwę «wielkiej księgi
gatunku», ludzkiego oczywiście. (...) Straszny to wiersz, bo pełen lęku. Ale są
w nim jakby dwa strachy. Jeden, to strach przed śmiercią, dokładnie przed
pogrzebaniem żywcem, co przecie zdarzyło się tylu ludziom, zasypanym w
podziemiach, także w piwnicach getta. Ale w tym pierwszym strachu jest drugi
strach, strach przed strażnikiem-kretem. Ten kret posuwa się pod ziemią, ale
także jakby – poniżej naszej świadomości. To poczucie winy, do jakiej nie chcemy
się przyznać. Pogrzebany pod ruinami między zwłokami Żydów, «nieobrzezany» boi
się, że zostanie policzony przez morderców. Więc lęk przed potępieniem, lęk
piekielny! Lęk nie-Żyda, który patrzy na walące się getto. Wyobraża sobie, że
mógłby tu – przypadkiem – także zginąć, i wtedy w oczach kreta, co umie
rozróżnić popioły, wyda się «pomocnikiem śmierci» . (...) A zatem jest w tym
chrześcijaninie lęk przed losem, jaki spotkał Żydów, ale jest także – stłumiony,
zaszyfrowany przez niego samego – lęk przed tym, że zostanie potępiony.
Potępiony przez kogo? Przez ludzi? Nie, ludzi już nie ma. To kret go potępia, a
raczej może potępić, ten kret, który dobrze widzi i zna «księgę gatunku» .
Własne moralne sumienie potępia (może potępić) biednego chrześcijanina. I on
chciałby się przed tym kretem-sumieniem ukryć, bo nie wie, co mu powiedzieć.
Miłosz, zapytany, co czy kogo ten kret oznacza, uchylił się od odpowiedzi.
Odparł, że napisał wiersz spontanicznie, nie zaś «programowo» . Jeśli tak, tym
lepiej, wiersz byłby bezpośrednim wyrazem grozy, która – jak to bywa we śnie i
także, w sztuce – wyłania z siebie obrazy. Unaocznia to, co nie w pełni
zrozumiane, to co było, a może jeszcze jest, w ludziach, zapewne także w poecie,
ale w niejasnym, zamazanym, przytłumionym kształcie. Wczytując się w taki
wiersz, lepiej siebie rozumiemy, bo to, co niejasne, oglądamy jakby przed nami.
Ja Biednego chrześcijanina trochę – jak każdy czytelnik – uzupełniłem,
skomentowałem.
[Chi sia quella talpa è difficile dirlo. Un guardiano, il custode dei sepolti,
forse? Ha una lanterna, quindi vede, in ogni caso meglio dei morti. Tra di loro
si trova forse lo stesso poeta o comunque chi narra gli eventi della poesia.
Anche lui giace in quel luogo e ha paura, paura della talpa. È un‘immagine molto
particolare, stupefacente. E poi quella talpa ha i tratti di un ebreo che studia
intensamente il Talmud o la Bibbia, la Bibbia più probabilmente, perché più
adatta al nome di «Gran libro della Specie» – umana, naturalmente. (...) È una
poesia terribile perché piena di terrore. Ma in essa vi sono come due paure. Una
è quella della morte, di esser sepolto vivo, cosa avvenuta davvero a molta gente
nei sotterranei e nelle cantine del ghetto. Ma quella prima paura ne racchiude
un’altra, la paura della talpa-guardiano. Quella talpa si muove non solo sotto
terra, ma in qualche modo anche al di sotto della nostra coscienza. È il
complesso di colpa che non vogliamo riconoscere. Sepolto sotto le rovine, in
mezzo ai cadaveri degli ebrei, «il non circonciso» ha paura di venir annoverato
tra gli assassini. È la paura della condanna, la paura dell’inferno, allora! La
paura di un Non-Ebreo che guarda crollare il ghetto. Lui si immagina di poter
morire anche lui e di apparire un «aiutante della morte» agli occhi della talpa
che legge le ceneri. (...) Quindi in quel cristiano c’è la paura di condividere
la sorte riservata agli ebrei, ma anche la paura, da lui «cifrata», messa in
sordina, di essere condannato. Ma da chi? Dagli uomini? Ma se non ce ne sono
più? È la talpa a condannarlo o meglio che lo potrebbe condannare, la talpa che
vede così bene e che conosce «il Libro della Specie» . È appunto la coscienza
morale a condannare (o meglio a poter condannare) il povero cristiano. E lui
vorrebbe nascondersi da quella talpa-coscienza, perché non sa cosa dirle.
Miłosz, a cui è stato chiesto di spiegare il significato di quella talpa, ha
evitato di rispondere, dicendo di non aver scritto «programmaticamente» quella
poesia. Tanto meglio: la sua poesia è perciò manifestazione diretta del terrore,
un terrore che – come accade nei sogni e nell’arte – genera immagini. Essa mette
in rilievo quello che non è del tutto comprensibile, che c’è stato e forse è
ancora rimasto dentro gli uomini, certo anche nel poeta, ma in una forma oscura,
offuscata, smorzata. Leggendo con attenzione questa poesia possiamo comprenderci
meglio, perché ci troviamo di fronte a ciò che non è chiaro. Ho completato un
po’, commentato il Povero cristiano, come ogni lettore]30.
La talpa è un piccolo animale che torna frequentemente nell’opera di Miłosz.
Rappresenta anche il nostro inconsapevole vivere nel ventre del Leviatano,
costituito dalla metropoli, dalla società, dalla civiltà moderna:
Żyjemy wewnątrz i nie ma na to rady, tak jak krety poruszają się pewnie pod
ziemią, natomiast powietrze zewnątrz, gdzie świeci słońce i śpiewają ptaki, jest
dla nich obcym żywiołem. (...) żyjemy we wnętrzu Lewiatana, do którego stosują
się nazwy: miasto, społeczeństwo, cywilizacja, epoka czyli wszelkie słowa
dotyczące międzyludzkich działań31.
[Come le talpe si muovono sicure sotto terra mentre l’aria di fuori, dove
splende il sole e cinguettano gli uccellini, è per esse un elemento estraneo
così anche noi viviamo dentro e non c’è niente da fare. (…) viviamo dentro un
Leviatano a indicare il quale si adoperano nomi quali città, società, civiltà,
epoca, ossia qualunque parola si riferisca all’interazione fra gli uomini]32.
O anche per guardare il mondo con i loro occhi, una visione straniata,
infantile, ingenua, ma più autentica della realtà:
Gdybym miał przedstawić czym jest dla mnie świat
wziąłbym chomika albo jeża albo kreta,
posadziłbym go na fotelu wieczorem w teatrze
i przytykając ucho do mokrego pyszczka
słuchałbym co mówi o świetle reflektorów,
dźwiękach muzyki i ruchach baletu33.
[Se dovessi raffigurare ciò che per me è il Mondo
Prenderei un criceto, un castoro o una talpa,
lo farei accomodare su una poltrona a teatro
e accostando l’orecchio al musetto umido
ascolterei ciò che dice sulla luce, i riflettori
la musica e i passi del balletto]34.
È come dire che si può rappresentare la realtà solo oltrepassando lo spesso
strato del noto e dello scontato, ricorrendo anche a una visione da «favola
zoologica». La lanterna rossa della talpa-guardiano rievoca infatti certi
stilemi della letteratura dell’infanzia tra Otto e Novecento, in cui il mondo
della natura si presenta come una divertente replica di quello umano. La talpa
compare infatti in vari classici dell’infanzia tra Otto e Novecento35, tra cui
un libro tanto caro non solo a Miłosz bambino, Gucio zaczarowany [Gustavino
incantato, 1884] di Zofia Urbanowska, ma anche al Miłosz poeta, cui ispirerà
l’omonimo poema appena citato. Il giovanissimo protagonista della Urbanowska
viene trasformato in mosca: tra le sue prime esperienze c’è la visita negli
«appartamenti» di una talpa, benigna «aiutante del contadino» oltre che custode
dei misteri sotterranei36. Queste associazioni e richiami permettono al poeta
polacco di descrivere non realisticamente l’orrore, instaurando una minore
distanza emotiva, mitigando la fredda analiticità della Canzone sulla fine del
mondo e di Campo dei Fiori.
Questa modulazione dell’apocalittico in grottesco è già un’esperienza
novecentesca, caratteristica di un altro autore particolarmente significativo
per il poeta polacco (e in seguito per molti altri poeti della sua terra): T. S.
Eliot37. La lettura dei suoi Collected poems lo accompagnerà intensamente
tra la primavera del 1943, durante la rivolta e la repressione del ghetto, fino
allo scoppio l’insurrezione di Varsavia, nell’agosto 1944, In questo tempo si
dedicherà alla traduzione integrale della Waste Land, la prima in Polonia, che
uscirà sulla rivista «Twórczość» nel 1946. Dopo il progetto non andato in porto
nel 1945 di un’antologia poetica di lingua inglese (in cui avrebbe dovuto
presentare il poeta accanto a Milton, Blake e Browning), Miłosz tradurrà in
seguito anche vari altri testi eliotiani: Gerontion, The Hollow men,
Burt
Norton, Journey of the Magi.
La terra desolata è stata definita da Miłosz una «tragedia grottesca»38 e
«un poema sulle rovine, in gran misura satirico sullo stato disperato della
civiltà occidentale»39. Come ricorda in Rodzinna Europa [Europa familiare],
la sua lettura si svolse nella terribile Varsavia degli anni di guerra:
Bełkot emocjonalny, wówczas powszechny, zawstydzał mnie i robiłem sobie wyrzuty,
ile razy zdarzyło mi się napisać coś, co mogłoby schlebiać ludziom czekającym
takiego właśnie bełkotu. Dlatego mam odrazę do paru moich wierszy, które zdobyły
sobie w okupowanej Warszawie popularność. Nie wcześniej niż po upływie trzech
lat zacząłem się «dokopywać» do głębszych pokładów, w czym sporo pomagały
rozmyślania nad poezją angielską. O naśladownictwie nie mogło być mowy ze
względu na całkowitą różność doświadczeń i na przykład
Ziemia jałowa T. S.
Eliota, czytana wtedy, kiedy nad miastem stała łuna palącego się getta, była z
lekka niesamowitą lekturą. Rodzinna Europa [Europa familiare]40.
[Provavo vergogna per quel farfuglio emotivo allora così diffuso e sentivo
rimorso ogni qual volta mi capitava di scrivere qualcosa che si accattivasse chi
si attendeva appunto qualcosa del genere. Per questo provo repulsione per alcune
mie poesie divenute popolari nella Varsavia occupata. Nei tre anni successivi
avrei però «scavato» in strati più profondi: in questo mi furono di grande aiuto
le mie meditazioni sulla poesia inglese. L’assoluta diversità di esperienze
impedì che fosse pura imitazione: così la lettura della Terra desolata di T. S.
Eliot, quando sulla città si levavano i bagliori del ghetto in fiamme, fu
davvero un’esperienza unica]41.
Secondo un’interpretazione di Miłosz dei tardi anni Quaranta, Eliot aveva
permesso di affrancarsi dalle impasses dell’estetismo, imponendo una nuova
concezione ritmica, non melodica, del verso. Abbandonando una dimensione troppo
individualistica e lirica, aveva restituito alla poesia una vis intellettuale e
al simbolo una nuova potenzialità42.
Una cosa altrettanto interessante è che nel poema eliotiano compaiono elementi
affini al Povero cristiano, come lo smembramento dei corpi, rappresentato da
ossa bianche smosse da un viscido ratto. Accade nella II parte, A game of chess:
here the dead man lost their bones
But at my back in a cold blast I hear
The rattle of the bones, and chuckle spread from ear to ear.
A rat crept softly through the vegetation
Dragging its slimy belly on the bank
(…)
White bodies naked on the low damp ground
And bones cast in a little low dry garret,
Rattled by the rat’s foot only, year to year43.
Anche qui ci sono le ossa e l’animale impuro. Se in Eliot le prime sono una
probabile reminiscenza degli orrori della Prima guerra mondiale44, in Miłosz
divengono un elemento metonimico dell’Olocausto. Il ratto, creatura
particolarmente repellente su cui si è modellato un certo stereotipo antisemita
(presente del resto anche nell’eliotiano Burbank with a Baedecker: Bleistein
with a Cigar)45, si trasforma invece in una creatura ctonia, la talpa. Essa si
può associare bene sia con i sepolti sommariamente, sia con i sopravvissuti
rifugiatisi nelle cantine o nelle fogne del settore «ariano» di Varsavia.
Un altro elemento comune alla Terra desolata e a Un povero cristiano guarda il
ghetto è la divisione in Ebrei e Gentili: in Miłosz la distinzione in circoncisi
e non circoncisi implica una logica di colpa e punizione del Giudizio post
mortem («I policzy mnie między pomocników śmierci: /Nieobrzezanych» [«Ed egli mi
conterà fra gli aiutanti della morte: /I non circoncisi»], mentre nella IV parte
della Terra desolata la differenziazione fra «Gentle» e «Jew» sembra venir
rarefatta nella prospettiva del destino comune della morte, mutuando i toni
della trattatistica cristiana del memento
mori46:
Death by water
Phlebas the Phoenician, a fortnight dead,
Forgot the cry of gulls, and the deep seas swell
And the profit and loss.
A current under sea
Picked his bones in whispers. As he rose and fell
He passed the stages of his age and youth
Entering the whirlpool.
Gentile or Jew
O you who turn the wheel and look to windward,
Consider Phlebas, who was once handsome and tall as you47.
3.
La rigenerazione.
The golden Gate of Havilah, and all the Garden of God,
The vegetating Cities are burned & consumed from the Earth.
And the Bodies in which all Animals & Vegetations, the Earth & Heaven,
Were contain’d in All Glorious Imagination are wither’d & darken’d:
The golden Gate of Havilah, and all the Garden of God,
Was caught up with the Sun in one day of fury and war:
The Lungs, the Heart, the Liver, shrunk away far distant from Man
And left a little slimy substance floating upon the tides50.
La dispersione degli organi vitali è la conseguenza dell’indebolirsi delle
potenzialità spirituali. Per Blake tuttavia è ben possibile una rigenerazione,
grazie all’armonia di spiritual regions cui corrispondono anche a organi vitali
del corpo: Bowlahoola, che presiede a stomaco, polmoni e cuore, e che è anche
simbolo della Creative imagination, e Allamanda, che corrisponde al sistema
neurovegetativo. Tra le molteplici funzioni del primo è il ricreare corpi per le
Wandering souls51.
Si può così anche intravedere come gli insetti che ricoprono fegato e polmoni
non debbano essere necessariamente un macabro indizio di morte, ma possano
erigersi a simbolo di vita. Formiche e api, legate alla teoria della generazione
spontanea risalente all’antichità, ma ancora vigente fino agli inizi del XIX
sec.52, sono state per questo chiamate «figlie della morte». Fonte di teologi e
naturalisti erano un passo del Libro dei Giudici (14, 6-8), in cui si narrava
come delle api avessero prodotto del miele dentro la carogna di un leone ucciso
da Sansone e un episodio assai simile delle Georgiche (IV, 528-558), in cui un
loro sciame di api nasceva dalla carcassa di un bue53.
Questa interpretazione mi sembra confortata dalla presenza di api e formiche nel
ritornello del Povero cristiano, che oltretutto viene riportato in corsivo, come
esterno alla «narrazione» stessa («Le api ricoprono il fegato rosso, /le
formiche ricoprono l’osso nero (…) / Le api ricoprono il favo dei polmoni, /le
formiche ricoprono l’osso bianco (…) / Le api ricoprono la traccia rossa, / le
formiche ricoprono il posto lasciato dal mio corpo»). Artur Sandauer ha
interpretato in maniera molto azzardata questo simbolo, come metafora degli
«sciacalli» che durante la guerra depredavano i morti54. In realtà Miłosz in
questo periodo ha piuttosto paragonato a formiche calpestate le vittime
dell’occupazione55. Mi pare perciò plausibile un’interpretazione di segno
diverso, connessa con il ciclo vitale e cieco della natura. L’immagine delle
ossa sparpagliate, tragicamente attuale nel 1943, accostata a quella mutuata
dalla Bibbia e dall’Antichità degli insetti che nascono da membra umane,
permetteva di mettere in risalto l’indifferenza dei meccanismi di distruzione e
rigenerazione della Natura. In essa è anche possibile intravedere una speranza
di riscatto e resurrezione (cosa che accade in maniera molto più retorica in
Campo dei Fiori, con il richiamo a una futura rivolta scatenata dalla «parola di
un poeta», probabilmente ebreo). I processi naturali, per quanto fisicamente
raccapriccianti, promettono una rigenerazione che la Storia non garantisce. Il
«Giudizio» della talpa patriarca potrebbe perciò premettere a un processo di
rinascita delle vittime e di dannazione dei testimoni, da essa considerati
«aiutanti» della morte. Non va dimenticato che nel ciclo della cappella del
Signorelli tanto amato da Miłosz c’è un glorioso finale, la Resurrezione della
carne, in cui gli scheletri dei morti si trasformano in corpi di uomini giovani
e maestosi.
La salvezza e la rinascita sono temi cari al poeta polacco fin dai suoi inizi.
Nell’interpretazione che ne dà Miłosz l’Apocalisse o la Resurrezione sono per
Blake «misteri connessi con la fine del tempo, ma non con la morte. Ogni
qualvolta un Individuo Respinga l’Errore e Abbracci la Verità, è sottoposto a un
Giudizio Universale»56.
Tutto questo si manifesta nella variante della metastoria, che pone sul piatto
della bilancia «il sangue dei martiri» e «ottiene soddisfazione», ben
diversamente che nella testimonianza di Ocalony [Superstite] di Tadeusz
Różewicz: «Widziałem /Furgony porąbanych ludzi / Którzy nie zostaną zbawieni»
[«Ho visto / Furgoni di uomini fatti a pezzi / Che non saranno redenti»]57.
È chiaro che la struttura del Povero cristiano guarda il ghetto accoglie la
lezione eliotiana di una poesia palinsesto che recepisce e stratifica miti,
testi e immagini provenienti dalle più varie culture, comunicando con il
lettore, non direttamente, ma attraverso degli objective correlatives: «invece
di dire ciò che sente o pensa, mostra (…) insiemi di oggetti associati a
determinate esperienze»58. Questo procedimento è presente anche nel
Povero
cristiano guarda il ghetto.
Dal baratro della Varsavia occupata Miłosz propone una poesia che salva i
sommersi e accusa i testimoni, ma che – conformemente al proponimento elaborato
nel 1944 insieme a Adolf Rudnicki – respinge ogni tentazione di nichilismo e
ogni «spirito assolutamente negativo»59.
Note
2. Si veda la lunga
intervista rilasciata a Renata Gostyńska e da lei pubblicata all’estero nei
primi anni Ottanta con lo pseudonimo di Ewa Czarnecka: Podróżny świata,
Rozmowy z Czesławem Miłoszem, Bicentennal Publishing Corporation, New York
1983, p. 64.
3.
Ivi, p. 61.
4. Cz. Miłosz, O milczeniu,
«Ateneum», 1938, ristampato in Id., Przygody młodego umysłu. Publicystyka i
proza 1931-1939, Znak, Kraków 2003, pp. 199-207.
5.
Cz. Miłosz, Poesie, a cura di P. Marchesani, Adelphi, Milano 1983, p. 35.
L’originale si trova in Id., Wiersze wszystkie, Kraków, Znak 2011, p.
206.
6. Ivi, pp. 32-33.
L’originale si trova in Cz. Miłosz, Wiersze wszystkie, cit., pp. 192-194.
7.
Si veda come in filastrocca nei Canti di Adrian Zieliński venga di nuovo
trattato il motivo del Luna park di fronte al Ghetto di Varsavia: «Na placyku
brzęczy karuzela, / Na ulicy ktoś do kogoś strzela» [«Sulla piazza la giostra
ronza / Spari per strada di qualcuno a chissà chi»], in Wiersze wszystkie,
cit., p. 216.
8.
W. H. Auden, Musée des Beaux Arts, in Collected Poems, ed. E.
Mendelson, Random House, New York 1976, p. 179.
9.
Cz. Miłosz, Poesie, cit., p. 37. L’originale si trova in Wiersze
wszystkie, cit., pp. 211-212.
10. E. Czarnecka, Podróżny świata, Rozmowy z Czesławem Miłoszem,
cit., p. 63. Miłosz si riferisce probabilmente al poeta e narratore Tadeusz
Borowski, detenuto politico ad Auschwitz e poi sostenitore accanito del regime
stalinista in Polonia, cui aveva dedicato un capitolo assai polemico del suo
Zniezwolony umysł [La mente prigioniera, Adelphi, Milano 1999, pp.
141-166).
11. Ivi.
12.
N. Gross, Dzieje jednego wiersza, in Poeci i Szoa. Obraz zagłady Żydów
w poezji polskiej, Offmax, Sosnowiec 1993, pp. 84 e 94.
13. Va ricordato che nelle sue letture di poesia negli Stati Uniti, in cui ha
vissuto per decenni, Miłosz ha scelto di non leggere i propri testi sulla Shoah:
«Nie czytam tych wierszy na wieczorach autorskich w Ameryce z powodu powszechnej
opinii, że Polacy są wszyscy antysemitami. Czytanie tych wierszy jest w pewnym
sensie samograjem». [«Non leggo quelle poesie alle serate di poesie in America a
causa dell’opinione diffusa che tutti i polacchi siano antisemiti. Leggerle
sarebbe in un certo senso cercare un consenso del pubblico con mezzi facili».]
Lo ricorda nel dialogo a quattro con M. Edelman e altri due intellettuali
fondamentali per il dibattito sull’antisemitismo in Polonia (Cz. Miłosz, M.
Edelman, J. Błoński, J. Turowicz, Ludzkość, która zostaje, «Tygodnik
Powszechny» 01-05-2005, http://tygodnik.onet.pl/1,21312,druk.html).
14. Cz. Miłosz, Wiersze wszystkie, cit., p. 216.
15. Salmo 21, 15-18: «sicut aqua effusus sum et dispersa sunt universa ossa mea
factum est cor meum tamquam cera liquescens in medio ventris mei / (....) et in
limum mortis deduxisti me (...) / dinumeraverunt omnia ossa mea ipsi (...)»
(grassetto di G.T.)
wikisource.org/wiki/Biblia_Sacra_Vulgata_(Stuttgartensia)/Psalmi.
16.
Salmo 140, 7, Sicut crassitudo terrae erupta est super terram dissipata sunt
ossa nostra secus infernum (grassetto di G.T.)
wikisource.org/wiki/Biblia_Sacra_Vulgata_(Stuttgartensia)/Psalmi.
17. Sermo 33 A, 3, Si enim in ista vita ideo nihil diu, quia est aliquid
extremum, non ad istam vitam desiderandam: «(…) Videt hoc christianus pauper,
ignobilis, in gemitibus cotidiano labore suspirans, et dicit forte apud semet
ipsum: Quid mihi prodest, quia christianus sum factus? Numquid ideo melior sum
quam ille qui non est, quam ille qui in Christum non credit, quam ille qui Deum
meum blasphemat?. (…). Attendebat enim forte christianus pauper, humilis, in
pagano forte divite ac potenti, attendebat florem faeni, et eligebat eum
fortasse patronum habere magis quam Deum. (…). Transeant aliquot anni. Moveatur
fluvius, sicut fieri solet, per diversa transcurrens aliqua sepulcra mortuorum.
Discerne ossa divitis ab ossibus pauperis».
18. A. Sandauer, O sytuacji
pisarza polskiego pochodzenia żydowskiego w XX wieku, Czytelnik, Warszawa 1982,
pp. 44-45.
19. Viene in mente ancora la lucida analisi del sistema
concentrazionario come gigantesca e macabra catena di montaggio del già citato
Tadeusz Borowsk, in particolare il racconto Da noi, ad Auschwitz in Da questa
parte per il gas, a cura di Giovanna Tomassucci, L’ancora del Mediterraneo,
Napoli 2009, pp. 47-95. Sul motivo della forza distruttrice e rigeneratrice
della natura, tanto presente nel pensiero di Miłosz, si veda invece
l’interessante capitolo di A. Fiut, Natura devorans, natura devorata, in
Moment
wieczny: poezja Czesława Miłosza, Open, Warszawa 1993, in particolare alle pp.
61-67.
20. Cz. Miłosz, Wiersze wszystkie, cit., p. 425. Nel corso della
stesura di questo testo il Trattato poetico è apparso in italiano nella
traduzione di V. Rossella (Adelphi, Milano 2012).
21. E. Czarnecka, Podróżny
świata, cit., p 66.
22. Ivi, p. 64.
23. Cz. Miłosz, Wiersze wszystkie,
cit., p. 569.
24. E. Czarnecka, Podróżny świata, cit., p. 65. Cfr. le
osservazioni dell’autore su Campo de Fiori nel già citato dibattito di Miłosz,
Edelman, Błoński e J. Turowicz, Ludzkość, która zostaje, cit.: «Ten wiersz
został wydarty jak i niektore inne wiersze pochodzące z moralnego oburzenia,
gniewu, został wydarty ze mnie przez zbieg okoliczności» [«Quella poesia mi è
stata strappata da dentro come altre che nascevano da un’indignazione morale, mi
è stata strappata da dentro da una concatenazione di circostanze»].
25. N. Gross, Dzieje jednego wiersza, cit., p. 94.
26. E. Czarnecka,
Podróżny świata, cit., pp. 64-65.
27. W. Blake, Complete Writings with
Variant Readings, Geoffrey Keynes, London Oxford Un. Press, New York-Toronto
1969, p. 127.
28. Cz. Miłosz, Ziemia Ulro, Institut Literacki, Paryż 1985, p.
130 [La terra di Ulro, Adelphi Milano 2001, p. 197].
29. Cfr. S. Foster
Damon, Morris Eaves, A Blake Dictionary: The Ideas and Symbols of William Blake,
Un. Press New England, Hannover NH, 1988, p. 283.
30. J. Błoński,
Biedni
Polacy patrzą na getto, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1994, pp. 16-17.
31.
Cz. Miłosz, Piesek przydróżny, Kraków, Znak 1997, p. 306.
32. Id.,
Il
cagnolino lungo la strada, a cura di Andrea Ceccarelli, Adelphi, Milano 2002, p.
350.
33. Id., Po ziemi naszej [Lungo la nostra terra, 1961] dalla raccolta
Król Popiel [Re Popiel, 1962], in Wiersze wszystkie, cit., p. 509.
34. Cfr.
Id., Gucio zaczarowany [Gustavino incantato, 1962]: «Nosiłem pióra, jedwab,
żaboty i zbroje, / Suknie kobiece, zlizywałem róż. / (...) / Stukałem w drzwi
zamknięte sal bobra i kreta./ Niemożliwe żeby tyle głosów nie zapisanych/Między
tubą pasty do zębów i zardzewiałą żyletką» [«Ho indossato piume, sete, jabots e
armature / Abiti di donna, ho leccato belletti / (...) / Bussato alla porta
chiusa delle sale di castori e talpe. /Incredibile quante voci non scritte /ci
siano tra un tubetto di dentifricio e una lametta arrugginita».] Ivi, p. 521: la
traduzione in italiano di entrambi i frammenti poetici è mia.
35. Cfr. i classici per l’infanzia The House of
Ardens (1908) di Edith Nesbit e The Wind in the Willows (1908) di Kenneth
Grahame.
36. L’edizione da me consultata è Z. Urbanowska, Gucio zaczarowany,
Wydawnictwo Officyna, Łódź 2010, pp. 42-44.
37. «I niewątpliwie, niewątpliwie T. S. Eliot znaczył dla mnie bardzo wiele»
[«E senz’alcun dubbio T. S. Eliot ha significato molto per me»] ha dichiarato
Miłosz a Brodskij, Rozmowa z Czesławem Miłoszem, «Zeszyty literackie», 3 [75]
2001, p. 59, ed. Web <http://zls.mimuw.edu.pl/ZL/zl75/rozmowa.php> Parte
dell’intervista è apparsa in italiano su «La Repubblica», 4 12 2011, pp. 52-53).
La fortuna di Eliot in Polonia risale agli anni Trenta con le prime traduzioni
fatte da un caro amico di Miłosz, Józef Czechowicz, e i due saggi di Wacław
Borowy T. S. Eliot jako krytyk literacki i teoretyk tradycji (1934-1935) e
Wędrówka nowego Parsyfala. Poezje T. S. Eliota (1936), in W. Borowy,
Studia i
szkice literackie, ed. Z. Stefanowska e A. Paluchowski, v. 1, Państwowy Instytut
Wydawniczy, Warszawa 1983, pp. 499-550. Sulle traduzioni di Eliot in polacco
vedi J. Dudek, Główne wątki polskiej recepcji T.S. Eliota: od W. Borowego i Cz.
Miłosza do Z. Herberta i T. Różewicza, in Granice wyobraźni,granice słowa.
Studia z literatury porównawczej XX wieku, Wydawnictwo Uniwersytetu
Jagiellońskiego, Kraków 2008, pp. 242-269, disponibile anche in web; di una
certa utilità può essere anche la bibliografia stilata da J. Gronau, Wędrówki po
bibliografii angielskiego (amerykańskiego) autora, Thomasa Stearnsa Eliota
(Thomas Stearns Eliot) 1888 - 1965, nakład autora, Kraków 2007, pp. 129-142.
38. Cz. Miłosz, Pensieri su Eliot, in T. S. Eliot, La terra desolata.
Quattro quartetti, Feltrinelli, Milano 1995, p. 11.
39. Josif Brodski,
Rozmowa z Czesławem Miłoszem, cit.
40. Cz. Miłosz,
Rodzinna Europa, Czytelnik, Warszawa 1998, p. 296.
41. Ho preferito una mia
traduzione a quella esistente (La mia Europa, Adelphi, Milano 1985, pp. 285-286)
che ne travisa il senso proprio nella parte finale.
42. Cz. Miłosz,
Wprowadzenie w Amerykanów [Introduzione agli Americani, 1948], in
Kontynenty,
Znak, Kraków 1999, pp. 97-104.
43. T. S. Eliot, The Waste Land, in La terra
desolata, a cura di A. Serpieri, Rizzoli, Milano 2006, pp. 110 e 118.
44. J.
E. Miller, T. S. Eliot’s Personal Waste Land: Exorcism of the Demons, Penn State
Press, University Park, Philadelphia 1977, pp. 91-92.
45. «The rats are underneath the piles / The Jew is underneath the lot». Ho
consultato l’edizione bilingue T. S. Eliot, Poesie, a cura di R. Sanesi,
Bompiani, Milano 1961, p. 214.
46. Anche Jerusalem, l’ultimo poema visionario
di Blake, è articolato del resto in tre parti rivolte a Cristiani, Ebrei e
Deisti.
47. T. S. Eliot, The Waste Land, cit., p. 132.
48. N. Tiwari, Imagery and Symbolism in T. S. Eliot’s Poetry, Atlantic Pub.,
New Dehli 2001, p. 137.
49. «facta est super me manus Domini et eduxit me in
spiritu Domini et dimisit me in medio campi qui erat plenus ossibus et
circumduxit me per ea in gyro erant autem multa valde super faciem campi
siccaque vehementer et dixit ad me fili hominis putasne vivent ossa ista et dixi
Domine Deus tu nosti et dixit ad me vaticinare de ossibus istis et dices eis
ossa arida audite verbum Domini haec dicit Dominus Deus ossibus his ecce ego
intromittam in vos spiritum et vivetis et dabo super vos nervos et succrescere
faciam super vos carnes et superextendam in vobis cutem et dabo vobis spiritum
et vivetis et scietis quia ego Dominus et prophetavi sicut praeceperat mihi
factus est autem sonitus prophetante me et ecce commotio et accesserunt ossa ad
ossa unumquodque ad iuncturam suam et vidi et ecce super ea nervi et carnes
ascenderunt et extenta est in eis cutis desuper et spiritum non habebant et
dixit ad me vaticinare ad spiritum va-ticinare fili hominis et dices ad spiritum
haec dicit Dominus Deus a quattuor ventis veni spiritus et insufla super
inter-fectos istos et revivescant et prophetavi sicut praeceperat mihi et
ingressus est in ea spiritus et vixerunt steteruntque super pedes suos exercitus
grandis nimis valde et dixit ad me fili hominis ossa haec universa domus Israhel
est ipsi dicunt aruerunt ossa nostra et periit spes nostra et abscisi sumus
propterea vaticinare et dices ad eos haec dicit Dominus Deus ecce ego aperiam
tumulos vestros et educam vos de sepulchris vestris populus meus et inducam vos
in terram Is-rahel et scietis quia ego Dominus cum aperuero sepulchra vestra et
eduxero vos de tumulis vestris populus meuset ded-ero spiritum meum in vobis et
vixeritis et requiescere vos faciam super humum vestram et scietis quia ego
Dominus locutus sum et feci ait Dominus Deus.»
http://la.wikisource.org/wiki/Biblia_Sacra_Vulgata_%28Stuttgartensia%29/Ezechiel.
50. W. Blake, Jerusalem, in Complete Writings, cit., p. 679 (plate
49).
51. S. Foster Damon, Morris Eaves,
A Blake Dictionary,
cit., p. 57; cfr. K. Hutchings, Imagining Nature: Blake’s Environmental Poetics,
Mc Gill Queem’s Un. Press, Montréal-Ithaca 2002, pp. 198-199.
52. Cfr. la
voce Bee nel sito The Medieval Bestiary,
http://bestiary.ca/beasts/beast260.htm.>
53. Liber Iudicum: «Inruit autem
spiritus Domini in Samson et dilaceravit leonem quasi hedum in frusta
concerperet nihil omnino habens in manu et hoc patri et matri noluit indicare
(…) et post aliquot dies revertens ut acciperet eam declinavit ut videret
cadaver leonis et ecce examen apium in ore leonis erat ac favus mellis»
<http://la.wikisource.org/wiki/Biblia_Sacra_Vulgata_%28Stuttgartensia%29/Iudicum>
Georgicae: «Hic vero subitum ac dictu mirabile monstrum / adspiciunt, liquefacta
boum per viscera toto stridere apes utero et ruptis effervere costis, /
immensasque trahi nubes, iamque arbore summa/confluere et lentis uvam demittere
ramis» <nodictionaries.com/vergil/georgic-4/548-558>
54. «Oto żydowska
dzielnica jest tylko kupą rumowisk plądrowana przez szabrowników, których (...)
przyrównuje poeta do (...) mrówek i pszczół: człowiek niewiele się tu różni od
owada» [«E il quartiere ebraico è solo un mucchio di rovine saccheggiato dagli
sciacalli che il poeta paragona a formiche e api: l’uomo non è così diverso da
un insetto».] A. Sandauer, O sytuacji pisarza polskiego pochodzenia
żydowskiego, cit., p. 44.
55. Cfr. Canti di Adrian Zieliński, in
Cz. Miłosz, Wiersze wszystkie, cit., p. 217.
56. Cz. Miłosz, La terra di
Ulro, cit., pp. 217-218, l’originale polacco si trova in Ziemia Ulro,
cit., p. 144.
57. T. Różewicz, Ocalony, cito dalla bella edizione
biligue Le parole sgomente: poesie 1947-2004, traduzione e cura di S. De
Fanti, Metauro, Pesaro 2007, pp. 52-53.
58. Cz. Miłosz,
Pensieri su Eliot, cit., p. 9.
59. A. Rudnicki, Piękna sztuka pisania (1945), p.
627, cit. in J. Sawicka, Adolf Rudnicki kronikarz «murów», «Kronika
Warszawy», 2 (90), 1993, ed. web
<http://mazowsze.hist.pl/search.php?author_id=278.>