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Brodskij legge Miłosz: Figlio d’Europa (1946).
Quattro versioni a confronto
Sara Martinelli, Magdalena
Rasmus
Far rivivere in un’altra
lingua un testo letterario è, per dirla con le parole di Antonio Prete,
non solo un’opera di alchimia, questo «poter dire l’altro in modo che
il mio accento non lo deformi, o mascheri, o controlli»1, ma
anche una
prova di audacia. Ed è appunto la prova che affrontano il
poeta-traduttore Josif Brodskij e il traduttore Pietro Marchesani con
loro rispettive versioni della poesia di Czesław Miłosz – presentate in
questo articolo insieme a una loro analisi – dimostrando quanto
l’“impossibile” compito del traduttore sia «saper stare tra le
lingue»2.
Nell’anno 2011 ricorre il centenario della nascita di Miłosz, Premio
Nobel per la Letteratura 1980. Nato in Lituania, costretto a lasciare
la sua terra d’origine a causa degli eventi tragici del XX secolo,
Miłosz ha vissuto a Varsavia, Cracovia, Parigi e negli Stati Uniti, per
tornare poi definitivamente in Polonia, a Cracovia. È stato non solo un
grande poeta, saggista, traduttore ma anche un testimone e osservatore
acuto della sua epoca, letto quasi in tutto il mondo.
Miłosz debutta nel 1933 con Poemat o czasie zastygłym (Poema
del tempo
congelato), segnato da preveggenze apocalittiche; seguono poi, nel
1936, Trzy zimy (Tre inverni), in cui il poeta si
richiama a una
simbologia religiosa che conferisce ai versi un particolare pathos, e,
nel 1945, la prima raccolta di liriche, Ocalenie (Salvezza),
che ha
ancora radici nella corrente catastrofista della letteratura fra le due
guerre. Fa parte di questa silloge il ciclo Głosy biednych ludzi
(Voci
della povera gente), che, radicato nell’incubo dell’occupazione
fascista, svela la crisi dei valori della cultura europea annichilita
dalla guerra. Di fronte al crollo dei principi morali e al compimento
della catastrofe portata dal fascismo Miłosz reagisce con la poesia:
guidato da un atteggiamento antiromantico, il poeta polacco tende a
oggettivare le emozioni, aprendo la lirica a un’amara riflessione
storico-filosofica e a un’enunciazione polifonica capace di mostrare la
realtà da un punto di vista molteplice. Questa strategia diventa nel
dopoguerra la cifra dello stile di questo grande rappresentante della
poesia mondiale.
Il Catastrofismo è la corrente letteraria che in Polonia, già a partire
dagli anni Venti, attraversa poetiche e stili diversi, dall’umorismo
grottesco e nichilista al pathos visionario. Si tratta dell’espressione
letteraria dei presentimenti apocalittici che segnavano l’epoca fra le
due guerre ed erano il frutto delle continue crisi socio-politiche e
della grande crisi economica di quel tempo. Le tendenze apocalittiche
si diffondono prima nella prosa degli anni Venti (di cui uno dei
massimi esponenti è Stanisław Ignacy Witkiewicz, scrittore di
anti-utopie, il quale nelle sue prose dà espressione alla vacuità delle
certezze occidentali), e successivamente nella poesia degli anni
Trenta, in cui – a eccezione delle visioni grottesche e deformate di
Julian Tuwim, l’autore di Bal w operze (Il ballo nell’opera,
1936), il
capolavoro del catastrofismo grottesco, e di Konstanty Ildefons
Gałczyński, le cui poesie svelano un atteggiamento carnevalesco nei
confronti della realtà – prevalgono le tonalità catastrofico-patetiche
dei poeti visionari, come in Józef Czechowicz o nei membri del gruppo
Żagary. La stessa corrente catastrofista, che nel periodo fra le due
guerre parte dal presupposto della caducità del patrimonio della
civiltà umana e dalla convinzione dell’impossibile continuità della
storia, trova nel periodo dell’occupazione nuove fonti di ispirazione:
la Seconda guerra mondiale, con gli orrori dei campi di concentramento,
diventa la conferma dei presentimenti apocalittici, della visione
escatologica del mondo, e porta inevitabilmente alla necessità di fare
i conti con la crudele realtà della storia. Di fronte a questa
situazione Miłosz propone di intendere la poesia come una forma d’arte
dotata di una propria autonomia, che continua ad avere una
responsabilità etica anche in un momento in cui l’etica sembra
completamente scissa dall’estetica. Brodskij, poeta russo naturalizzato
statunitense, insignito del premio Nobel per la Letteratura 1987,
scopre e traduce Miłosz in russo assimilandolo profondamente nella sua
poetica3.
Nel panorama culturale dell’Unione Sovietica, in particolare a partire
dagli anni Cinquanta e Sessanta, la traduzione ha svolto una funzione
fondamentale per i poeti che, non potendo nutrire la speranza di veder
pubblicati i propri versi, si sono rifugiati nella parola “altrui”,
tanto da dar vita al fenomeno del cosiddetto uchod v perevody,
ovvero
la fuga nelle traduzioni, l’unica attività che permetteva di
guadagnarsi da vivere col lavoro di penna, anche se di secondo grado.
Ciò ha creato una brillante pleiade di poeti-traduttori impegnati a
volgere nel proprio contesto culturale gli autori più diversi e dalle
più svariate lingue, conosciute o meno dallo stesso traduttore – in
molti casi, infatti, si trattava di podstročnye perevody,
traduzioni
interlineari, ovvero non condotte direttamente sull’originale, bensì
sulla versione letterale compiuta da un conoscitore della lingua su cui
poi il poeta creava una variante autonoma.
I poeti russi trovano quindi nella traduzione il veicolo privilegiato
per conoscere – e conoscere a fondo, effetto imprescindibile di ogni
lavoro di traduzione – le letterature europee: su tutte quella polacca,
attraverso la quale filtravano poi autori di altre nazionalità.
Esemplare è il caso di Brodskij che traccia questo percorso
testimoniando il suo avvicinamento prima ai poeti polacchi, poi ai
cechi, agli ungheresi e agli jugoslavi, per giungere infine ai francesi
e agli inglesi, che lasceranno l’impronta più duratura sui suoi versi.
È noto d’altronde come per Brodskij la traduzione non costituisse solo
una “fuga”, ma un modo per conoscere coloro che ci hanno preceduto e
dai quali abbiamo ereditato la lingua, non quella materna, nazionale,
ma la lingua intesa come poesia. Le traduzioni brodskiane sono compiute
dlja duši, per l’anima più che per il guadagno, e sono da
intendersi
come parte di quel patrimonio culturale ed esistenziale che ne ha
forgiato l’identità, se è vero che «l’uomo è ciò che legge, e tanto più
un poeta»4.
La poesia in lingua polacca è – nell’opinione di Brodskij – la migliore
del XX secolo5, e un legame particolare unisce il poeta
russo a Miłosz;
la traduzione delle sue poesie sembra nascere infatti da un’affinità di
sentire, da un comune modo di interpretare il mondo e la storia in un
secolo “tragico” come quello appena trascorso. Brodskij definisce
Miłosz appunto syn veka, ovvero figlio del secolo, un poeta che
ha
avuto il merito di presentire con un decennio di anticipo l’orrore che
si sarebbe compiuto di lì a poco e che avrebbe travolto, in primo
luogo, proprio il suo Paese: «La terra desolata che egli descrive nelle
sue poesie del tempo della guerra (e in alcune del dopoguerra)» –
scrive Brodskij – «corrisponde letteralmente alla realtà: non è Adone,
questa volta non risorto, che vi manca, ma milioni di suoi
compatrioti»6. La grandezza poetica di Miłosz risiede dunque
nell’aver compreso «la necessità di un’intonazione tragica, la tragedia
del nostro secolo consiste nell’aver dotato il poeta dell’esperienza
necessaria per esprimerla»7.
Questa visione del mondo “dopo la Storia”, dopo la fine di tutto8,
che
nelle lettere polacche ha portato al delinearsi di una corrente
letteraria ben definita, è in realtà tipica di tutta la letteratura
est-europea del dopoguerra, per la quale il critico Viktor Kullé parla
di «visione post-escatologica»9. Quando Brodskij osserva che
il
nucleo centrale della poesia di Miłosz è «l’insopportabile percezione
dell’impossibilità dell’essere umano di capire la propria esperienza»,
e che «quanto più il tempo lo separa da essa, tanto minori diventano le
possibilità di comprenderla»10, si riferisce anche a sé
stesso e alla
sua convinzione che la Storia non abbia nulla da insegnare all’uomo,
giacché nel tempo niente accade due volte. In questa visione della
storia – osserva Kullé – risiede anche la distinzione tra la visione
del mondo post-escatologico di Brodskij e di Miłosz rispetto a quella
dell’anti-utopia classica: la loro è estremamente “individuale”. In
opposizione al collettivismo proprio del regime comunista entrambi i
poeti sostengono l’idea che l’identità dell’uomo non si lasci plasmare
dalle ideologie ma mantenga la propria libertà interiore, e «se l’arte
insegna qualcosa […] è proprio la dimensione privata della condizione
umana»11.
Per comprendere meglio la posizione dei due poeti si deve pensare alla
generazione cui appartengono (nonostante tra i due vi sia uno scarto di
trent’anni: Brodskij nasce nel 1940), quella che ha risposto alla
domanda di Adorno «Come si può fare poesia dopo Auschwitz?» in modo
affermativo. Ancora illuminanti sono le parole di Brodskij pronunciate
in occasione del conferimento del Premio Nobel:
Questa generazione – la generazione nata proprio nel momento in cui i forni crematori di Auschwitz lavoravano a pieno regime, in cui Stalin era allo zenit del suo potere divino, così assoluto da sembrare avallato da Madre Natura in persona –, questa generazione è venuta al mondo, si direbbe, per continuare quello che, in teoria, doveva interrompersi in quei forni crematori e nelle anonime fosse comuni dell’arcipelago staliniano. Il fatto che non tutto si sia interrotto – almeno in Russia – è un merito che va attribuito in misura non trascurabile alla mia generazione; e io sono fiero di appartenerle, così come sono fiero di essere qui oggi. E il fatto che io sono qui oggi è un riconoscimento dei servigi che questa generazione ha reso alla cultura; anzi – vorrei aggiungere ricordando una frase di Mandel’štam – alla cultura mondiale12.
I versi di
Miłosz, nati dalle ceneri disperse di una civiltà, non
cantano tanto l’offesa e il dolore, ma ci sussurrano «il senso di colpa
di coloro che sono rimasti tra i vivi», e in virtù della loro poesia,
ci insegnano «a porci in relazione con questa colpa»13. Una
colpa
avvertita, pare, da Brodskij stesso, e che si rivela ancora nelle
parole pronunciate nell’atto di ricevere il Nobel, quando il poeta
ricorda tutti coloro ai quali quell’onore non è spettato, con
riferimento ai nomi della letteratura russa (Mandel’štam, Pasternak,
Cvetaeva, Achmatova) falcidiati – fisicamente o artisticamente – in un
secolo “carnivoro” come è stato il XX. Lo stato d’animo del
sopravvissuto traspare costantemente anche dai suoi versi, per esempio
nella lunga ninnananna al figlio rimasto in patria, Kolybel’naja
Treskogo Mysa (Ninnananna di Cape Cod), dove leggiamo:
«cтранно думать,
что выжил, но это случилось»14(È strano pensare che sono
sopravvissuto.
Ma questo è accaduto). Ma l’ingiustizia e l’orrore subìti non indulgono
mai a un facile compianto né ad alcun tipo di autocommiserazione,
secondo quella lezione impartita dall’arte che Brodskij e Miłosz
apprendono dai loro predecessori classici, così
[…] ciò che il poeta
enuncia è una versione spaventosamente asciutta
dello stoicismo, che non ignora la realtà, per quanto assurda e
orribile possa essere, ma la accetta come una nuova regola che la
persona deve assumere senza rinunciare ad alcuno dei suoi valori, già
ampiamente compromessi15.
Nella raccolta
delle opere di Brodskij (Sočinenija Iosifa Brodskogo),
oltre al Figlio d’Europa sono state pubblicate altre cinque
poesie di
Miłosz tradotte in russo. Si tratta di composizioni che attraversano la
produzione del poeta polacco sin dalla prima, risalente al 1944,
Lamento delle dame del tempo che fu (in russo Stenan’ja dam
minuvšich
dnej), cui seguono Prefazione (Posvjašenie k sborniku
“Spasenie”,
1945), Elegia per N. N. (Èlegija N. N., 1962), Dall’altra
parte (Po ty
storonu, 1962) e Una vita riuscita (Sčastlivec,
1975). In lingua
italiana è apparsa invece una raccolta di liriche di Miłosz dal titolo
Poesie, a cura di Pietro Marchesani, pubblicata da Adelphi nel
1983.
La poesia di Miłosz scelta come oggetto di analisi in questa sede viene
presentata in lingua originale (Dziecię Europy), con accanto la
traduzione italiana di Marchesani (Fanciullo d’Europa), e nella
versione russa (Дитя Европы) composta da Brodskij, affiancata, a
sua
volta, da una variante il più possibile letterale in italiano (Figlio
d’Europa), e seguita da un’analisi condotta stanza per stanza. Si
tratta di una lirica risalente al 1946 che è sembrata particolarmente
significativa sia all’interno della produzione poetica di Miłosz – è
infatti la prima delle liriche di riflessione storico-filosofica che
cerca di fare i conti con il mondo post-escatologico e racchiude un
vasto spettro di temi della sua poetica che si preciseranno più tardi
–, sia in relazione al suo traduttore Brodskij, il quale, a sua volta,
non solo traduce, ma reinterpreta e reinventa. La straordinaria forza
già insita nei versi polacchi acquista così nuovo vigore nella versione
russa, che rende la tragedia ebraica il segno di un’epoca piuttosto che
un suo momento eccezionale. Se la versione di Marchesani offre una resa
puntuale della composizione, Brodskij infonde alla poesia una spiccata
impronta personale, un atteggiamento caratteristico della sua attività
di traduttore, che qui assume tuttavia un valore aggiunto, dato dalla
comunione di esperienze e dal diretto coinvolgimento nella tragedia
immortalata da Miłosz. Certo, la lingua stessa favorisce una tale
immedesimazione; la lingua russa, infatti, può rievocare nelle sue
parole gli echi della realtà polacca – e più in generale dell’Europa
orientale – con una potenza semantica e lessicale immediata. Дитя
Европы è traduzione poetica perché non allenta mai la propria
consapevolezza di situarsi dopo l’originale polacco, perché sa
“fare di
questo dopo la culla dove il primo testo è scosso dal vento di
una
rinascita”16 ; perché sa rispondere alle parzialità della
lingua
originale con la ricchezza della propria; e infine perché dialoga
incessantemente, appassionatamente, amorosamente con il testo di
partenza. L’affinità profonda che lega Miłosz e Brodskij sta, senza
dubbio, nella comune visione della storia e nel valore attribuito da
entrambi alla poesia come all’unica forma d’arte in grado di dare voce
nuova al mondo; ma ciò che la rafforza ulteriormente è il carattere
delle versioni brodskiane di Miłosz: non “traduzioni di servizio”, ma
varianti al servizio del presente.
Note
1. A. Prete, All’ombra dell’altra lingua. Per una
poetica della traduzione, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 11.
2. Ibidem.
3.
« Cfr. L. Marinelli (a cura di), Storia della
letteratura polacca, Einaudi, Torino 2004, pp.361-406. J. Kleiner,
W. Maciąg, Zarys dziejów literatury polskiej, (Storia della
letteratura polacca) Osolineum, Wrocław-Warszawa-Kraków-Gdańsk-
1972, pp. 518-529.
4. I. Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi,
Milano 1987, p. 283.
5. Cfr. I. Brodskij, Come leggere un libro, in
Id., Profilo di Clio, a cura di A. Cattaneo, Adelphi, Milano
2003, p. 83.
6.
I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, in Č. Miłosz, Poesie,
a
cura di P. Marchesani, Adelphi, Milano 1983, p. 11.
7.
I. Brodskij, Syn veka (Figlio del secolo), in
«Literaturnoe obozrenie»,
3, 1999, p. 14.
8.
Non a caso una lunga poesia di Brodskij del 1969 si intitola Konec
prekrasnoj èpochi (La fine della bella Èpoque) e, più in
generale,
tutta la poetica brodskiana è segnata dal senso della fine: di un
amore, della vita, della fede e, di conseguenza, di un’intera civiltà.
9.
V. Kullé, Tam, gde oni cončili, ty načinaeš’ (O perevodach
Iosifa
Brodskogo), in: Special Issue: Joseph Brodsky, «Russian
Literature»,
Vol. XXXVII-II/III, Elsevier, North-Holland 1995.
10.
I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.
11.
I. Brodskij, «Un volto non comune». Discorso per il Premio Nobel, in
Id., Profilo di Clio, cit., p. 59.
12.
Ibid., pp. 68-69.
13.
I. Brodskij, Syn veka (Il figlio del secolo), traduzione
russa
dall’originale inglese (The Estate of Joseph Brodsky) di L.
Štern,
«literaturnoe obozrenie», 3, 1999, p. 14.
14.
I. Brodskij, Kolybel’naja Treskogo mysa, in Id, Sočinenija
Iosifa
Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol. II, p. 355,
trad. it. di
G. Buttafava, I. Brodskij, Ninna nanna di Cape Cod, cit., p. 79.
15.
I. Brodskij, Presentazione di Iosif Brodskij, cit., p. 12.
16.
A. Prete, op. cit., p.12.
* * *
Dziecię Europy
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Fanciullo d’Europa |
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1. |
1. |
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My, którym słodycz dnia przenika do płuc I widzimy gałęzie rozkwitające w maju Jesteśmy lepsi od tych co zginęli. My, którzy smakujemy długo żując jadło I oceniamo w pełni igraszki miłości Jesteśmy lepsi od nich, pogrzebanych. Z pieców ognistych, zza drutów w których świszcze wiatr [nieskończonych jesieni, Z bitw kiedy w spazmie ryczy zranione powietrze Uratowaliśmy się przebiegłością i wiedzą. Wysyłając innych na miejsca bardziej zagrożone, Podniecając ich krzykami do boju, Wycofując się w przewidywaniu straconej sprawy Do wyboru mając śmierć własną i śmierć przyjaciela Wybieraliśmy jego śmierć, myśląc zimno: byle się spełniło. Uszczelnialiśmy drzwi gazowych komór, kradliśmy chleb Wiedząc że dzień następny cięższy będzie od poprzedniego Jak należy się ludziom poznaliśmy dobro i zło. Nasza złośliwa mądrość nie ma sobie równej na ziemi. Należy uznć za dowiedzione, że jesteśmy lepsi od tamtych, Łatwowiernych, zapalnych a słabych, mało sobie ceniących [życie. |
5 10 15 20- |
Noi, che aspiriamo la dolcezza del giorno E vediamo a maggio i rami in fiore Siamo migliori di quelli che sono morti Noi, che assaporiamo piatti esotici E sappiamo apprezzare i trastulli d’amore Siamo migliori di loro, sepolti. Dai forni ardenti, da dietro i fili su cui fischiava il vento [di interminabili autunni, Dalle battaglie nel mugghiare spasmodico dell’aria ferita Ci siamo salvati con l’astuzia e il sapere. Inviando gli altri nei luoghi più esposti, Incitandoli con grida alla lotta. Ritirandoci in previsione dello scacco. Dovendo scegliere fra la morte propria e quella dell’amico Sceglievamo la sua, pensando freddamente: [purché si compia. Sigillavamo le porte delle camere a gas, rubavamo il pane, Sapendo che l’indomani sarebbe stato peggiore della vigilia. Come si conviene ad uomini, abbiamo conosciuto il bene [e il male. La nostra saggezza malvagia non ha eguali sulla terra. È da ritenersi provato che siamo migliori di quelli, Creduli, impetuosi, ma poco curanti della vita. |
2. |
2. |
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Szanuj nabyte umiejętności, o dziecię Europy. Dziedzicu gotyckich katedr, barokowych kościołów I synagog w których rozbrzmiewał płacz krzywdzonego [ludu, Dziedzicu Kartezjusza i Spinozy, spadkobierco słowa [„honor”, Pogrobowcze Leonidasów, Szanuj umiejętności nabyte w godzinie grozy. Umysł masz wyćwiczony, umiejący rozpoznać natychmiast Złe i dobre strony każdej rzeczy. Umysł masz sceptyczny a wytworny, dający uciechy O jakich nic nie wiedzą prymitywne ludy. Tym umysłem wiedziony, rozpoznasz natychmiast Słuszność rad których udzielamy. Niech dnia słodycz przenika do płuc Po to mądre a ścisłe przepisy.
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Tieni da conto i talenti
acquisti, fanciullo d’Europa. Erede delle cattedrali gotiche, delle chiese barocche E delle sinagoghe dove risuonava il pianto d’un popolo [oltraggiato, Discendente di Cartesio e Spinoza, erede della parola [«onore», Figlio postumo di Leonida, Rispetta i talenti acquisiti nell’ora dell’orrore. Hai una mente allenata, immediata nel distinguere I lati buoni e cattivi di ogni cosa. Hai una mente scettica ed elegante, fonte di piaceri Quali neppure immaginano i popoli primitivi. Guidato da questa mente, riconoscerai all’istante La fondatezza dei consigli da noi impartiti. Che la dolcezza del giorno ti gonfi i polmoni. A ciò servono le nostre istruzioni sagge e precise. |
3. |
3. | |
Nie może być mowy o triumfie
siły Bowiem jest to epoka gdy zwycięża sprawiedliwość. Nie wspominaj o sile, by cię nie posądzano Że w ukryciu uznajesz doktryny upadłe. Kto ma władzę, zawdzięcz ją logice dziejów. Oddaj logice dziejòw cześć jej należną. Niech nie wiedzą usta wypowiadające hipotezę O rękach ktòre właśnie fałszują eksperyment. Niech nie wiedzą twoje ręce fałszujące eksperyment O ustach, ktòre właśnie wypowiadają hipotezę. Umiej przewidzieć pożar z dokładnością nieomylną. Po czym podpalisz dom i spełni się co być miało. |
35 40 45 |
Non è pensabile che la forza
trionfi Perché questa è l’epoca del trionfo della giustizia. Non menzionare la forza, per non essere sospettato di professare in segreto dottrine fallite. Chi detiene il potere ne è debitore alla logica della storia. Rendi alla logica della storia l’omaggio che le compete. Le labbra enuncianti l’ipotesi non sappiano Delle mani che stanno falsando l’esperimento. Le tue mani falsanti l’esperimento non sappiano Delle labbra che stanno enunciando l’ipotesi. Impara a prevedere l’incendio con precisione infallibile. Poi incendia la casa e si compia ciò che doveva compiersi.
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4. |
4. | |
Z małego nasienia prawdy
wyprowadzaj roślinę
kłamstwa, Nie naśladuj tych co kłamią, lekceważącrzeczywistość. Niech kłamstwo logiczniejsze będzie od wydarzeń, Aby znużeni wędrówką znaleźli w nim ukojenie. Po dniu kłamstwa gromadźmy się w dobranym kole Bijąc się w uda ze śmiechu, gdy wspomni kto nasze czyny. Rozdając pochwały pod nazwą bystrości rozumowania Albo pochwały pod nazwą wielkości talentu. My ostatni, którzy z cynizmu umiemy czerpać wesele. Ostatni których przebiegłość niedaleka jest od rozpaczy. Już rodzi się pokolenie śmiertelnie poważne Biorące dosłownie co myśmy przyjmowali śmiechem.
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50 55 |
Da un piccolo seme fa’
crescere una pianta
di menzogna. Non imitare quelli che mentono sprezzanti della realtà. Che la menzogna sia più logica dei fatti, Perché chi è stanco di peregrinare vi trovi conforto. Dopo il giorno della menzogna raccogliamoci in circolo scelto E ridiamo smodati se qualcuno ricorderà i nostri atti. Dispensando lodi sotto il nome di acutezza di raziocinio Oppure lodi sotto il nome di grandezza di talento. Noi, gli ultimi capaci di attingere gioia dal cinismo. Gli ultimi la cui astuzia è prossima alla disperazione. Sta già nascendo una generazione mortalmente seria Che prende alla lettera ciò di cui noi ridevamo. |
5. |
5. | |
Niech słowa twoje znaczą nie
przez to co znaczą Ale przez to wbrew komu zostały użyte. Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń, Słowa jasne pogrążaj w ciemność encyklopedii. Żadnych słów nie osądzaj, zanim urzędnicy Nie sprawdzą w kartotece kto mówi te słowa. Głos namiętności lepszy jest niż głos rozumu, Gdyż beznamiętni zmieniać nie potrafią dziejów. |
60 65 |
Le tue parole significhino
non per ciò che significano Ma in rapporto alla persona contro cui sono usate. Delle parole ambigue fa’ la tua arma, Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie. Non giudicare nessuna parola prima che i funzionari Controllino nello schedario da chi sono state dette. La voce della passione è migliore di quella della ragione, Poiché gli impassibili non sanno cambiare la storia.
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6. |
6. | |
Nie kochaj żadnego kraju:
kraje łatwo giną. Nie kochaj żadnego miasta: łatwo rozpada się w gruz. Nie przechowuj pamiątek, bo z twojej szuflady Wzbije się dym trujący dla twgo oddechu. Nie miej czułości dla ludzi, ludzie łatwo giną Albo są pokrzywdzeni i wzywają twojej pomocy. Nie patrz w jeziora przeszłości: tafla ich rdzą powleczona Inną ukaże twarz niż się spodziewałeś.
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70 |
Non amare nessun paese: i
paesi periscono con facilità. Non amare nessuna città: con facilità vanno in rovina. Non conservare ricordi, perché dal tuo cassetto Si leverà un fumo che ti avvelenerà il respiro. Non provare tenerezza per gli uomini: periscono facilmente Oppure ricevono torti e invocano invano il tuo aiuto. Non guardare i laghi del passato: la loro superficie incrostata [di ruggine Ti mostrerà un volto diverso da come te lo aspettavi. |
7. |
7. | |
Kto mówi o historii jest
zawsze bezpieczny, Przeciwko niemu świadczyć nie wstaną umarli. Jakie zapragniesz możesz przypisać im czyny, Ich odpowiedzią zawsze będzie milczenie. Z głębi nocy wynurza się ich pusta twarz. Nadasz jej takie rysy jakich ci potrzeba. Dumny z władzy nad ludźmi dawno minionymi Zmieniaj przeszłość na własne, lepsze podobieństwo.
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75 80 |
Chi parla della storia è
sempre al sicuro, I morti non si leveranno a testimoniargli contro. Puoi attribuirgli le azioni che vorrai, La loro risposta sarà sempre il silenzio. Dal profondo della notte emerge la loro faccia vuota. Le darai i tratti che ti servono. Fiero del potere su gente da tempo trascorsa, Modifica il passato, abbellendolo, a tua somiglianza. |
8. |
8. | |
Śmiech powstający z szacunku
dla prawdy Jest śmiechem którym śmieją się wrogowie ludu. Wiek satyry skończony. Odtąd nie będziemy Podstępną mową szydzić z nieudolnych monarchów. Surowi jak przystało budowniczym sprawy Pozwolimy sobie jedynie na pochlebczą żartobliwość. Z ustami zaciśniętymi, posłuszni rozumowaniu Wkraczajmy ostrożnie w erę wyzwolonego ognia.
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85 90 |
Il riso che scaturisce dal
rispetto per la verità È il riso di cui ridono i nemici del popolo. Il tempo della satira è finito. Non dovremo più Deridere con subdolo dire gli inetti monarchi. Severi come si addice agli edificatori della causa Ci permetteremo solo una adulatoria lepidezza. Con le labbra serrate, ossequienti ai raziocinio, Entriamo circospetti nell’era del fuoco liberato. |
New York, 1946
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Дитя Европы |
Figlio d’Europa
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1. |
1. |
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Мы, чьи легкие впитывают
свежесть утра, чьи глаза восхищаются зеленью ветки в мае, — мы лучше тех, которые (вздох) погибли. Мы, кто смакует успехи восточной кухни, кто оценить способен нюансы ласки, — мы лучше тех, кто лежит в могилах. От пещи огненной, от колючки, за которой пулями вечьная осень свищет, нас спасла наша хитрость и знанье жизни. Другим достались простреливаемые участки и наши призывы не уступать ни пяди. Нам же выпали мысли про обреченность дела. Выбирая меж собственной смертью и смертью друга, мы склонялись к последней, думая: только быстро. Мы запирали двери газовых камер, крали хлеб, понимая, что завтра — кошмарнее, чем сегодня. Как положено людям, мы познали добро и зло. Наша подлая мудрость себе не имеет равных. Признаем доказанным, что мы лучше пылких, слабых, наивных, — не оценивших жизни. |
5 10 15 20 |
Noi, che assorbiamo
coi polmoni la rugiada del mattino e cogli occhi ammiriamo i rami di maggio in fiore, – noi siamo migliori di quelli (sospiro) che sono morti. Noi, che gustiamo i frutti della cucina orientale, che sappiamo apprezzare le sfumature d’una carezza, – noi siamo migliori di quelli che giacciono nelle tombe. Dai forni ardenti, dal filo spinato, dietro cui crepita un eterno autunno, ci hanno salvato l’astuzia e la conoscenza della vita. Agli altri, toccavano le zone esposte al fuoco e i nostri appelli a non cedere d’una spanna. A noi, spettavano le previsioni della sconfitta. Nella scelta tra la propria morte e la morte dell’amico, noi abbiamo inclinato per quest’ultima, con un pensiero: [che sia veloce. Noi abbiamo sprangato le porte delle camere a gas, abbiamo [rubato il pane, consapevoli che il domani sarà peggiore di oggi. Come si conviene agli uomini abbiamo conosciuto il bene [e il male. La nostra vile saggezza non ha eguali. È dimostrato che noi siamo migliori dei passionali, dei deboli, degli ingenui: che non apprezzano la [vita.
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2. |
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Цени прискорбное знанье,
дитя Европы, получившее по завещанью готические соборы, церкви в стиле барокко, синагоги с картавым клекотом горя, труды Декарта, Спинозу и громкое слово "честь". Цени этот опыт, добытый в пору страха. Твой практический разум схватывает на лету недостатки и выгоду всякой вещи. Утонченность и скепсис гарантируют аслажденья, невнятные примитивным душам. Обладая писанным выше складом ума, оцени глубину нижеследующего совета: вбирай свежесть утра всей глубиною легких. Прилагаем ряд жестких, но мудрых правил. |
25 30 |
Valuta la penosa
conoscenza, figlio d’Europa, che hai ricevuto in eredità cattedrali gotiche, chiese barocche, sinagoghe con le loro uvulari strida di dolore, le opere di Cartesio, Spinoza e la roboante parola “onore”. Valuta questa esperienza, raggiunta nell’ora del terrore. Il tuo senso pratico afferra al volo i vantaggi e gli svantaggi d’ogni cosa. Raffinatezza e scetticismo assicurano i piaceri, incomprensibili alle anime primitive. Possedendo una mente di tal fatta giudica la profondità del consiglio che segue: assorbi la rugiada del mattino a pieni polmoni. Offriamo una serie di regole severe, ma sagge.
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3. |
3. |
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Никаких разговоров о триумфе
силы. В наши дни торжествует, усвой это, справедливость. Не вспоминай о силе, чтоб не обвинили в тайной приверженности к ошибочному ученью. Обладающий властью обладает ей в силу исторической логики. Воздай же должное оной. Да не знают уста, излагающие ученье, о руке, что подделывает результаты эксперимента. Да не знает рука, подделывающая результаты, ничего про уста, излагающие ученье. Умей предсказать пожар с точностью до минуты. Затем подожги свой дом, оправдывая предсказанье. |
35 40 45 |
Evita i discorsi sul
trionfo della forza. Ai nostri giorni, tieni a mente, trionfa la giustizia. Non rammentare la forza, che non ti accusino di un segreto attaccamento alla dottrina sbagliata. Chi detiene il potere lo possiede in base alla logica della storia. Rendile il dovuto. Non sappiano le labbra che espongono l’ipotesi della mano che falsifica i risultati dell’esperimento. Non sappia la mano che falsifica l’esperimento cosa alcuna delle labbra che espongono l’ipotesi. Impara a prevedere l’incendio al minuto secondo. Poi incendia la tua casa, inverando la previsione.
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4. |
4. |
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Выращивай древо лжи, но - из
семени правды. Не уважай лжеца, презирающего реальность. Ложь должна быть логичней действительности. Усталый путник да отдохнет в ее разветвленной сени. День посвятивши лжи, можешь вечером в узком кругу хохотать, припомнив, как было на самом деле. Мы – последние, чья изворотливость схожа с отчаянием, чей цинизм еще источник смеха. Уже подросло серьезное поколенье, способное воспринять наши речи буквально. |
50 55 |
Coltiva l’albero della
menzogna, ma da semenza di verità. Non rispettare il mentitore sprezzante della realtà. La menzogna deve essere più logica della realtà. Il Viaggiatore stanco si riposi al suo ampio riparo. Dopo il giorno consacrato alla menzogna, a sera, puoi [ridertela della grossa fra i tuoi per ciò che è stato. Noi siamo gli ultimi la cui destrezza è affine alla disperazione e il cinismo è ancora fonte di riso. Già è cresciuta una generazione seria, che prende alla lettera le nostre parole.
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5. |
5. |
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Пусть слово твое значит не
то, что значит, но меру испорченной крови посредством слова. Двусмысленность да пребудет твоим доспехом. Сошли простые слова в недра энциклопедий. Не оценивай слов, покуда из картотеки не поступит сообщенья, кто их употребляет. Жертвуй голосом разума ради голоса страсти. Ибо первый на ход истории не влияет. |
60 |
La tua parola non ha
importanza per il suo significato ma secondo la misura del sangue guastato dalla parola. L’ambiguità sia la tua armatura. Sprofondino nelle viscere delle enciclopedie le parole semplici. Non giudicare le parole, finché dallo schedario giunga il rapporto su chi le adopra. Sacrifica la voce della ragione a quella della passione. Giacché la prima non influenza il corso della storia.
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6. |
6. |
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Не влюбляйся в страну:
способна исчезнуть с карты. Ни тем более в город: склонен лежать в руинах. Не храни сувениров. Из твоего комода может подняться дым, в котором ты задохнешься. Не связывайся с людьми: они легко погибают. Или, попав в беду, призывают на помощь. Также вредно смотреть в озера детства: подернуты ржавой ряской, они исказят твой облик. |
65 70 |
Non amare il paese:
può scomparire dalla mappa. E tanto meno, una città: può cadere in rovina. Non conservare souvenir. Dal tuo comodino può levarsi un fumo tale da soffocarti. Non legarti agli uomini: periscono facilmente. O, se cadono in disgrazia, ti chiamano aiuto. Altrettanto dannoso è fissare i laghi dell’infanzia: ricoperti da lemna rugginosa, deformano la tua immagine.
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7. |
7. |
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Того, кто взывает к истории,
редко перебивают. Мертвецы не воскреснут, чтоб выдвинуть возраженья Можешь валить на них все, что тебе угодно. Их реакцией будет всегда молчанье. Из ночной глубины плывут их пустые лица... Можешь придать им черты, которые пожелаешь. Гордый властью над теми, кого не стало, усовершенствуй и прошлое. По собственному подобью. |
75 80 |
Chi invoca la storia
raramente viene ucciso. I morti non resusciteranno ad avanzare obiezioni. Su questi puoi riversare tutto quello che desideri. La reazione sarà sempre il silenzio. Affiorano i volti vacui dalla profondità della notte. Puoi dare loro i lineamenti che vuoi. Fiero del potere su quelli che non sono più perfeziona anche il passato. A tua immagine e somiglianza.
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8. |
8. |
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Смех, бывший некогда эхом
правды, нынче оружье врагов народа. Объявляем оконченным век сатиры. Хватит учтивых насмешек над пожилым тираном. Суровые, как подобает борцам за правое дело, позволим себе отныне только служебный юмор. С сомкнутыми устами, решительно, но осторожно вступим в эпоху пляшущего огня. |
85 |
Il riso, che già un
tempo era l’eco della verità, è oggi l’arma dei nemici del popolo. Dichiariamo che l’età della satira è finita. Basta con le cortesi beffe all’attempato tiranno. Severi, come si addice ai difensori d’una giusta causa, d’ora in avanti ci permetteremo solo uno humor servile. Con le labbra sigillate, risoluti ma accorti, entriamo nell’epoca del fuoco danzante.
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COMMENTO
Il titolo
Dziecię Europy
è stato tradotto da Marchesani Fanciullo d’Europa. La parola «fanciullo» – che
nel lettore italiano richiama il fanciullino pascoliano – non restituisce
affatto il concetto di filiazione implicito nel termine polacco e così pregnante
per la comprensione della lirica stessa. La scelta adottata da Brodskij, invece,
risulta perfettamente equivalente all’originale: infatti il termine russo Дитя
riesce a conservare sia la componente di filiazione sia il carattere arcaico
della parola. Per questo motivo la scelta più appropriata ci è parsa: Figlio
d’Europa.
I stanza
Al v. 4
Marchesani rende jadło con piatti esotici, raffinando la ruvidezza del termine
originale che letteralmente significa “cibo”, “alimento”, “vivanda”. Inoltre,
smakujemy długo żując, che alla lettera vuol dire “assaporiamo a lungo
masticando”, viene ridotto a un semplice assaporiamo. In questo modo cambia
completamente l’immagine dell’io lirico, uno di noi, cioè uno dei superstiti
dell’orrore dei campi di concentramento, i quali, vista l’asperità presente
nella descrizione di questa attività fisiologica, erano tutt’altro che migliori
di loro, sepolti. Si perde così l’effetto ironico prodotto dal registro
antifrastico con cui Miłosz sottolinea già nel v. 9 che i migliori si sono
salvati in modo per niente nobile, e cioè con l’astuzia e il sapere.
Sin dalla
prima terzina, Brodskij firma la traduzione con la propria impronta personale,
inserendo tra parentesi un’indicazione di carattere teatrale: vzdoch, cioè
“sospiro”. Questa intrusione anticipa il tono ironico presente nei versi
successivi di Miłosz. In più, Brodskij ricorre all’uso del trattino a
sottolineare il carattere perentorio della sentenza finale di ciascuna delle
prime due terzine. Nel v. 4, alla stregua di Marchesani, il poeta russo attenua
la cruda immagine del cibo introducendo uspechi vostočnoj kuchni (frutti della
cucina orientale) e non rende pienamente la puntualità dell’espressione polacca
ridimensionandola al semplice verbo russo smakovat’ (assaporare, gustare).
Il
tratto peculiare dell’intonazione di questa lirica è il carattere mimetico della
lingua assunto appositamente da Miłosz: la lingua non è obiettivo in sé stessa,
ma serve per descrivere il mondo, la sua spietata crudeltà, per cui il poeta
polacco ricorre alle ripetizioni evitando di proposito l’ellissi. Brodskij
comprende profondamente questa esigenza e la restituisce in modo fedele nella
sua versione, come nel v. 13 con la ripetizione del sostantivo smert’ (morte).
Il procedimento di Marchesani è volto, invece, ad alleggerire l’andamento grave
del testo, e si rivela nell’eludere le reiterazioni dell’originale, ad esempio
nell’elisione del termine “morte” o a conclusione della prima stanza in cui il
traduttore elimina l’aggettivo słabych (deboli). Nella stessa sede, nella
variante russa possiamo osservare un’inversione dei termini; Brodskij, infatti,
mantiene i tre sostantivi: pylkich (passionali), slabych (deboli) e
naivnych
(ingenui) collocandoli, però, in diverso ordine.
II stanza
Nella seconda
stanza si nota il passaggio dal monologo, in cui l’io lirico si annovera fra
noi, al tu diretto; il destinatario di questo dialogo è il figlio d’Europa, il
frutto-prodotto della nuova epoca storica costretta a misurarsi col proprio
passato. La dialogicità di questo brano mette in risalto il procedimento
polifonico prediletto da Miłosz, che, in questo caso, si rivolge a quel figlio
postumo di Leonida cui spetta il compito di «considerare che questo è stato».
D’altronde il poeta avverte come un’intima esigenza il bisogno di ancorare
l’esperienza umana alla tradizione intesa come contesto storico e culturale
della civiltà europea. Di conseguenza, la parola poetica non è, per Miłosz, un
ente autonomo, ma si dota di significato solo alla luce della tradizione di cui
si fa portavoce; per questo la sua poesia è costellata di parole-chiave
(cattedrali gotiche, chiese barocche, sinagoghe, Cartesio e Spinoza).
Brodskij,
nelle sue scelte traduttorie, attribuisce una particolare attenzione alle parole
adottate dal poeta e tenta di riprodurne i significati più reconditi. Osserviamo
ad esempio la ricorrenza del verbo cenit’ / ocenit’ – alla lettera: “dare un
prezzo”, “dare valore”, e derivatamente anche “stimare”, “giudicare” – che si
ripete dalla prima (ocenit’ v. 4, ocenivšich v. 19) alla seconda stanza (Ceni,
v. 20, Ceni v. 25, oceni v. 31) e che, grazie al suo ricco contenuto semantico,
conserva intatto il valore dell’immagine originale. In tal modo Brodskij
esplicita anche i livelli della lirica che il poeta polacco lascia intuire ai
suoi lettori; infatti nella traduzione russa il termine cenit’ / ocenit’ si
ripete anche nella seconda stanza, là dove Miłosz usa il verbo szanuj,
“rispetta” (v. 21 e v. 26). È per questo che nella nostra variante italiana, che
restituisce la rivisitazione di Brodskij, abbiamo preferito mantenere lo stesso
termine (valuta) in tutti i luoghi della seconda stanza. Marchesani, al
contrario, ha scelto due diverse espressioni (tieni da conto, rispetta) più
consonanti alla lingua italiana in relazione al contesto.
Un altro segno
autoriale di Brodskij si nota ai vv. 23-24, dove egli restituisce l’immagine
delle sinagoghe, luogo che ha visto il pianto d’un popolo oltraggiato, con la
metafora del klëkot, lo stridio degli uccelli, di cui è sottolineata la
pronuncia spiccatamente ebraica (con le loro uvulari / strida di dolore).
Elemento che ricorre nei versi brodskiani, spesso in riferimento al poeta
stesso, che in Elegie romane si definisce un «torso nomade» in un panorama di
rovine le quali «si riconoscono nella ”erre” rotta ebraica». Inoltre, al v. 25
Brodskij opera un’audace scelta traduttoria all’insegna del mettere e levare,
per cui alla parola čest’ (onore) fa precedere l’aggettivo gromkoe (altisonante)
assente nel testo polacco, e al contempo elimina il verso seguente (Figlio
postumo di Leonida).
III stanza
Nell’originale si assiste a un cambiamento di registro nell’uso di un linguaggio
che mima quello burocratico proprio del regime comunista. La stanza è cadenzata
da cinque distici che racchiudono i consigli impartiti al figlio d’Europa in
forma imperativa: non menzionare, rendi, non sappiano, impara, incendia.
Miłosz
impiega la tecnica del montaggio cinematografico creando immagini-scene che
mostrano l’erede della civiltà in rovina prima da lontano per poi
avvicinarglisi; è un modo di presentare la realtà attraverso le sue minime
manifestazioni e accidenti: le labbra, le mani. Lo stile sineddotico permette al
poeta di suddividere la realtà in una serie di partes pro toto che sottraggono
il mondo alla tirannia della generalizzazione.
Nel primo distico della sua
versione Brodskij inserisce un altro inciso, posto tra due virgole: usvoj èto
(tieni a mente, v. 36), col quale rafforza il tono sarcasticamente didattico
della stanza.
IV stanza
Miłosz si pone
in polemica con la tradizione post-simbolista – che in Polonia comprende anche
la prima avanguardia – la quale tracciava una linea di divisione tra la lingua
poetica e quella parlata. Per Miłosz la lingua della poesia deve rimanere in
stretto contatto con la realtà perché solo così può adempiere al suo fine
salvifico, come scrive già nel 1945, in Prefazione: «Tu, che non ho potuto
salvare, / Ascoltami. / Cerca di capire questo linguaggio semplice, mi
vergognerei di un altro»1.
In questa stanza un esempio di linguaggio colloquiale
è offerto dall’espressione Bijąc się w uda ze śmiechu (piegarsi in due dalle
risate) che Brodskij riproduce fedelmente con il verbo chochotat’ (ridere a
crepapelle); d’altronde il poeta russo anche nei propri versi giustappone lo
stile alto a termini ed espressioni gergali. La soluzione di Marchesani, ridiamo
smodati, in questo contesto risulta invece indebolita. Come in altri punti della
lirica pare che Brodskij, affascinato dalla bellezza dell’immagine, avverta la
necessità di arricchirla ulteriormente: al v. 50 aggiunge il participio passato
razvetvlennoj (letteralmente “ramificato”), quasi a prolungare la percezione
dell’albero (drevo) che, pur radicandosi nella verità, matura nella menzogna.
Inoltre, ancora una volta Brodskij interviene marcatamente sul testo eliminando
un distico che corrisponde ai vv. 53-54 dell’originale polacco.
V stanza
In questi versi
viene toccato il nucleo centrale della riflessione di Miłosz, ovvero il ruolo
della parola poetica. Il distico: Ze słów dwuznacznych uczyń swoją broń, / Słowa
jasne pogrążaj w ciemność encyklopedii (Marchesani: Delle parole ambigue fa’ la
tua arma, / Le parole chiare sprofondale nel buio delle enciclopedie)
costituisce un’altra prova del superamento della dicotomia tra lingua poetica
convenzionale e linguaggio colloquiale. Miłosz la risolve adottando una terza
soluzione: lo stile delle parole pure ed eleganti, non inteso quale sinonimo di
registro alto o di pathos, ma vicino alla lingua biblica.
Nella variante
brodskiana si assiste a un mutamento nel primo distico, dove il secondo verso
acuisce il significato già denso di questa stanza. Nell’originale si allude al
potere delle parole che, a maggior ragione in uno stato totalitario, decidono le
sorti degli uomini (nelle condanne a morte o, come era frequente sotto il regime
sovietico, nelle delazioni) divenendo una potente arma contro il “nemico”, che
di volta in volta viene individuato dalle autorità. In russo, il poeta introduce
l’immagine del sangue guastato dalla parola, quasi la menzogna e il male fossero
penetrati sotto pelle come una malattia. Le parole – che nella gerarchia
brodskiana, esattamente come in Miłosz, hanno un valore altissimo poiché sono il
sinonimo della lingua poetica – divengono qui uno strumento di morte, compiendo
il peggior delitto possibile.
VI stanza
I “quattro
comandamenti” impartiti al figlio d’Europa dall’io lirico si iscrivono
nell’ambito del procedimento antifrastico di Miłosz: egli rifugge
dall’emozionalità tipica della poesia di confessione prediligendo
l’oggettivazione dei sentimenti propria della lirica di ruolo. L’autore si
scinde dall’io lirico per costruire una distanza auto-ironica dall’ego
romantico.
Questi versi, tradotti puntualmente da Brodskij, rievocano la stessa
poetica, in particolare il catalogo delle perdite proprio dell’esule, quale il
paese, la città natia, l’infanzia, i familiari... È un elenco doloroso esperito
da entrambi i poeti – prima da Brodskij e successivamente da Miłosz – che
tramuta la loro comune esperienza offrendo loro una forma di catarsi.
VII stanza
Riemerge in
questa stanza la concezione della storia precedentemente illustrata, comune a
entrambi i poeti, e che si può sintetizzare con queste parole di Brodskij:
«[...] la storia è l’arte degli spettatori, dato che la caratteristica
principale delle vittime è il silenzio in quanto il delitto le priva della
parola. Se qui il poeta si sta riferendo alla storia di Caino e Abele, allora la
storia è sempre la versione di Caino»2.
Nel primo distico, per tradurre il
sintagma polacco jest zawsze bezpieczny (è sempre al sicuro), Brodskij sceglie
deliberatamente il verbo perebivajut, il quale oltre a significare “ammazzare”,
“uccidere”, contiene in sé anche il valore di “rompere”, “spezzare”, che ci
riporta al processo di reificazione della vittima dei campi di concentramento.
Inoltre, a chiusura della stanza il poeta russo spezza l’ultimo verso con un
punto, isolando l’espressione biblica po sobstvennomu podob’ju (a tua immagine e
somiglianza) per confermare ancora una volta il carattere malizioso dell’ironia
di Miłosz.
VIII stanza
A
conclusione della lirica, Miłosz, con la frase nominale Wiek satyry skończony
(Il tempo della satira finito) annuncia la fine dell’epoca della civiltà
occidentale che si serviva della satira e, al contempo, insinua l’avvento di una
nuova epoca in cui l’unica arma rimasta ai “nemici del popolo” è l’ironia. Come
il cataclisma dei campi di concentramento crea la categoria dei “sommersi e
salvati”, così il mondo post-escatologico crea la dicotomia tra i nemici del
popolo e i severi edificatori della causa cui non spetta già lo strumento
dell’ironia quanto la adulatoria lepidezza. L’epoca wyzwolonego ognia (del fuoco
liberato) solo apparentemente è l’èra della libertà sognata da Prometeo: chi
vive nel mondo post-escatologico è forse sfuggito all’apocalisse ma non a un
incerto destino. Da qui l’ammonimento implicito di Miłosz a varcare le soglie
della nuova realtà con cautela e le labbra serrate che non sanno ancora se
enunceranno frasi ironiche o quelle dello humor servile.
Note
1. Cz. Miłosz, Prefazione
in: Id., Poesie trad. it di P. Marchesani, Adelphi, Milano 2010, p. 41.
2.
I. Brodskij, Profilo di Clio, cit., p. 128.
* * *
Riferimenti bibliografici
Brodskij I., Djetja Evropa,
in: Id., Sočinenija Iosifa Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol
III, Puškinskij Fond, Sankt-Peterburg 1994.
Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, Milano 1987.
Brodskij I., Kolybel’naja Treskogo mysa, in Id, Sočinenija Iosifa
Brodskogo (Le opere di Iosif Brodskij), vol II, Puškinskij Fond,
Sankt-Peterburg 1994.
Brodskij I., Profilo di Clio, a cura di A. Cattaneo, Adelphi, Milano
2003.
Brodskij I., Syn veka (Il figlio del secolo), traduzione russa
dall’originale inglese (The Estate of Joseph Brodsky) di L. Štern,
«literaturnoe obozrenie», 3, 1999.
Brodskij, J., Wytrwałość bólu (La persistenza del dolore), in: Apokryf nr
9, giugno 1999 aggiunta a Tygodnik Powszechny.
Miłosz Cz., Dziecię Europy, in: Id., Miasto bez Imienia. Poezje,
Instytut Literacki, Parigi 1969.
Marchesani P. (trad. di), Fanciullo d’Europa, in: Cz. Miłosz, Poesie,
trad. di P. Marchesani, Adelphi, Milano 2010.
Kullé V., Tam, gde oni cončili, ty načinaeš’ (O perevodach Iosifa
Brodskogo), in: Special Issue: Joseph Brodsky, «Russian Literature», Vol.
XXXVII-II/III, Elsevier, North-Holland 1995.
Kleiner, J., Maciąg, W., Zarys dziejów literatury polskiej, (Storia della
letteratura polacca) Osolineum, Wrocław-Warszawa-Kraków-Gdańsk- 1972.
Marinelli, L. (a cura di), Storia della letteratura polacca, Einaudi,
Torino 2004.
Prete A., All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione,
Bollati Boringhieri, Torino 2011.
[27 dicembre 2011]
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