home> recensioni> Il barbiere di Pilos. Viaggi in Grecia di Giancarlo De Carlo
Il
barbiere di Pilos.
“Viaggi
in Grecia” di
Giancarlo De Carlo
Quodlibet, 2010, pp. 172, € 20
Giovanni Giustolisi
Da
quando il mio barbiere storico ha chiuso i battenti dopo
cinquant’anni di gloriosa carriera, non sono più
riuscito ad andare nello stesso posto più di due volte. In
una di queste occasioni mi sono imbattuto in un ragazzo piuttosto
giovane e a prima vista intraprendente che, con la loquacità
tipica di tutti i barbieri (o parrucchieri: qualcuno si offende, e
anche il nostro si offese quando lo chiamai barbiere), dopo aver
snocciolato tutti i luoghi comuni e il sarcasmo su politica,
meteorologia e società malata, mi chiese: «Ma tu
che lavoro fai?». Domanda normale se non fosse per una mia
deformazione, o innata riservatezza trasmessami da mio padre, che mi
spinge a non raccontare mai che cosa faccio, di che cosa mi occupo, che
lavoro facciano i miei genitori. Spesso, per eludere la domanda,
invento mestieri nuovi, a volte medico, altre impiegato di banca, altre
ancora archeologo, e così via.
Tornando al nostro barbiere/parrucchiere, dopo qualche mugugno di
circostanza da parte mia, le sue insistenze si fecero tali che dovetti
cedere. Confessai così a mezza bocca: «Sono
architetto».
La reazione fu inaspettata: il viso si illuminò e apparve un
sorriso che fino a quel momento era stato nascosto dal cipiglio con cui
osservava la mia testa: «Ma allora si può dire che
siamo colleghi! In fondo anch’io con la mia arte creo
qualcosa che prima non c’era».
Rimasi ammutolito per lo strano paragone e contrariato dal fatto che
sia opinione diffusa paragonare l’architettura
all’arte, alla creazione. Tutte le mie ideologie razionaliste
e socialiste sull’architettura e sulla sua funzione sociale
erano state demolite in una battuta.
Questo episodio mi è tornato alla mente leggendo
la raccolta di scritti di Giancarlo De Carlo Viaggi in Grecia, edita da
Quodlibet nel 2010. Tra questi, un incontro con un barbiere di un
paesino greco presso il quale la moglie di De Carlo, Giuliana, decide
di farsi tagliare i capelli. Mi sono un po’
vergognato della mia superficialità, nel leggere e
rileggere questo aneddoto in cui De Carlo osserva con ammirazione il
lavoro del barbiere e lo mette in relazione con i complessi rapporti
spazio-temporali esistenti nella piazza su cui si affaccia la bottega.
Non solo: l’episodio diventa spunto per una breve riflessione
sulla necessità di fare e insegnare la progettazione in
aderenza alle relazioni tra le parti, per sconvolgerle con fantasia e
immaginazione e poi ricomporle, ma sempre mantenendo il contatto con lo
scopo per cui si progetta.
In realtà, anche se gli scritti coprono un arco temporale di
oltre trent’anni, si può affermare che
il filo logico della riflessione di De Carlo sia assolutamente lineare
(nella sua complessità). L’interesse per ogni
forma di architettura, per tutto ciò che
“fa” architettura, per tutte le componenti che
entrano nel gioco dell’architettura, siano esse il tempio di
Bassae o il barbiere di Pilos, rappresenta l’humus su cui si
fonda la ricerca di De Carlo, che non riguarda solo
l’architettura costruita, ma anche quella insegnata e
divulgata attraverso i numerosi scritti e soprattutto attraverso la
rivista «Spazio e Società». È
stata questa una delle poche riviste “libere” di
architettura in cui, oltre ai preziosi editoriali di Giancarlo, si
potevano leggere e conoscere progetti e architetti impresentabili per
l’accademia. Accademico egli stesso, De Carlo ha saputo
cogliere al meglio tutte le contraddizioni
dell’università italiana (e non solo) dal
dopoguerra ad oggi, attuando una critica serrata delle istituzioni
preposte all’istruzione e fornendo una chiave di lettura
diversa e anticonformista della architettura e del suo
insegnamento in Italia.
Anche di questo si parla nella raccolta di scritti sui viaggi in
Grecia; in particolare, uno spunto molto interessante e che merita
senz’altro un approfondimento per
l’attualità del tema si trova nelle pagine
intitolate Maestri e pedagoghi (pp. 86-88). In questo scritto, De Carlo
svolge un’analisi dello “stato di fatto”
piuttosto precisa (non aggiornata all’oggi, ma al momento in
cui scrive; in seguito e ai giorni nostri la situazione è
molto peggiorata) su ciò che è diventata la
scuola e quindi anche l’università in Italia.
Ciò che stupisce e che merita appunto di essere
approfondito, è la conclusione, una previsione che diventa
quasi una profezia (o un auspicio) su ciò che
potrà essere in futuro la scuola e lo spazio in cui si
esercita l’insegnamento.
Come quest’ultimo, molti altri scritti di questo volume sono
inediti; alcuni sono apparsi su «Spazio e
Società» e in altre raccolte. In essi ritroviamo
tutti i temi cari a De Carlo e altri spunti interessanti di
riflessione. Sullo sfondo, la Grecia che entra in ogni argomento del
racconto e diventa una sorta di quinta scenografica sulla quale si
svolge il racconto dell’architettura.
E infatti di questo si tratta: di ricondurre ogni espressione
architettonica alle persone, agli eventi, in una parola al contesto
(ovvero alla/e società) che l’hanno generata nel
corso del tempo e che l’architetto osserva, registra,
metabolizza e traduce in una nuova espressione architettonica.
L’architettura come specchio della società e non
come imposizione dall’alto necessaria al miglioramento della
società, secondo l’illusione – o la
falsa coscienza – di molti architetti più o meno
contemporanei.
Il messaggio di De Carlo induce a invertire i termini della questione:
non si tratta di migliorare la società attraverso
l’architettura, ma di analizzare profondamente la
società e ciò che essa produce, di individuare i
suoi processi di mutamento includendo fra essi anche
l’architettura a tutte le scale, dal dettaglio
all’urbanistica; infine di realizzare architettura che
risponda allo scopo per cui viene richiesta dalla società e
alle esigenze reali delle comunità che la compongono.
Se ancora si pubblicano e vengono letti gli scritti di Giancarlo De
Carlo abbiamo buoni motivi per essere fiduciosi.
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[14
giugno 2011]
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