home> notizie> Arthur Penn. Lettera agli amici di Torino e Bologna

Arthur Il 28 settembre 2010, all’età di 88 anni, è scomparso Arthur Penn. Tra i suoi film Bonnie and Clyde (1967), Alice’s Restaurant (1969), Little Big Man (1970), Night Moves (1975), The Missouri Breaks (1976). La lettera che parzialmente pubblichiamo è tratta dal Blog di Maurizio Zaccaro, che ringraziamo per averla fatta conoscere al pubblico italiano.






 

 

 

Arthur Penn. Lettera agli amici di Torino e Bologna
New York City, 5 dicembre 2007

[…]

Da moltissimi anni l’Italia occupa un posto particolare nel mio cuore. Alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo tre anni sotto le armi, per lo più in Nord Europa, riuscii a realizzare un sogno coltivato a lungo. Venni in Italia, a Perugia e Firenze, come studente. Purtroppo la mia familiarità con la lingua italiana è andata svanendo via via che gli anni trascorsi lontano dal vostro paese si sono moltiplicati. Perciò la mia cara amica Maria Nadotti si è gentilmente offerta di esprimere la mia pena di fronte allo sviluppo di eventi che mi impediscono di essere presente e di parlarvi a viva voce. La mia salute ha preso una brutta piega e dovrò farmi ricoverare in ospedale per sottopormi a un energico trattamento richiesto da una grave malattia del sangue. Non potete immaginare quanto mi dispiace non essere lì con voi.

Ma adesso parliamo di cinema. In particolare vorrei rivolgermi ai giovani che aspirano a fare film. Capita spesso che chi si avventura in questo campo mi chieda di dargli qualche consiglio. E io rispondo sempre: impegnatevi con gli attori, perché nelle immagini che costituiranno il film ci saranno loro. Nel mio caso, ho avuto la fortuna, una volta rientrato negli Stati Uniti dall’Europa, di trovare lavoro nella televisione. Lì ho avuto modo di osservare da vicino gli attori che recitavano nei drammi televisivi e, osservandoli, mi sono reso conto che la loro è un’arte, ma che l’arte del recitare non esiste solo dove c’è talento. Come in ogni arte il talento è il primo, magico ingrediente, ma i veri artisti sviluppano un mestiere, e quel mestiere lo si può imparare. Perciò esorto i colleghi che vogliono fare cinema a imparare il mestiere dell’attore anche se non sono in grado di recitare.

In definitiva in un film il vero materiale a disposizione del regista sono gli attori. Se veniamo meno a questa relazione, che per noi è la più importante, ne saremo impoveriti. Spesso, per compensare una recitazione insoddisfacente o incompleta, si fa un uso deliberatamente eccessivo della cinepresa. La cinepresa può trasformarsi facilmente in uno strumento di separazione piuttosto che in una magica apertura sull’immaginazione.

[…]
In risposta a questo mio consiglio spesso mi sento dire: “e dove li posso trovare, gli attori?” La miglior risposta che ho saputo formulare è la seguente: cercateli tra gli amici, scovateli nelle piccole compagnie teatrali e nelle recite scolastiche, ovunque si provi a fare teatro. I problemi sono evidenti a ogni livello di tecnica attoriale. Lavorate con gli amici, lavorate gli uni con gli altri, ma la mia raccomandazione è sempre la stessa: cercate gli attori più capaci, fate in modo di essergli utili e osservateli lavorare. Non ce n’è uno che lavori come gli altri, i loro modi di praticare il mestiere dell’attore sono numerosi quanto le impronte digitali, ma in definitiva il nucleo della faccenda sta nel capire la paura che si accompagna al piacere che traggono dal proprio mestiere. Godete del loro piacere insieme a loro, ma siate pronti a comprendere la loro paura e a offrire simpatia e apprezzamento.

Può darsi che tutto questo suoni manipolativo e persino ingannevole quando in ballo ci sono un regista e degli attori. Lo è! Ma è anche un ambiente di lavoro accettato di comune accordo da regista e attori. È grazie ad esso che gli attori possono avanzare nel caos di quanto non conoscono sul piano emotivo e di sentirsi protetti e rispettati. Lasciate che vi racconti una storia che risale a una delle mie esperienze a fianco del grande attore Marlon Brando. Il film si chiamava Missouri, gli interpreti erano Jack Nicholson, Marlon Brando e molte altre persone splendide.
Nel film si racconta di Jack, capo di una banda di giovani che rubano cavalli ai ricchi possidenti di ranch. Questi ultimi assumono un killer di professione, perché dia la caccia ai ladri e li faccia fuori. Il killer è Brando.

Brando e io discutiamo a lungo del suo ruolo. Ognuno di noi ha le proprie idee su come vada interpretato il personaggio del killer, una figura volutamente misteriosa, elusiva. Secondo Brando bisogna farne un indiano. A me quella soluzione non pare abbastanza interessante. Allora lui suggerisce di farne un gentiluomo irlandese. Ancora una volta, per quanto curiosa, la sua idea mi sembra troppo prevedibile. Marlon va avanti a propormi una sfilza di strani personaggi, tutti singolari, ma troppo specifici. Perciò io gli dico che, preso a sé, nessuno è abbastanza misterioso. Sempre più irritato, Brando se ne esce con la seguente proposta: “e se li interpretassi tutti?”
 Ci penso su per un istante e poi dico: “Sì, perché non li interpreti tutti?”
 Sedotto dall’idea, lui mi fa: “Ok, lasciami stare e quando giri prova a indovinare chi sono”. La cosa aveva scatenato la sua magnifica immaginazione, col risultato che nel film Brando è una figura meravigliosamente misteriosa e pericolosa, che muta ogni volta che lo vediamo: si porta dietro la morte e uccide vari membri della banda in strani modi...

Un giorno arrivo sul set e lo trovo seduto in groppa a un cavallo, vestito da donna anziana. Quando la cinepresa si mette in funzione, la dolce vecchietta dà la caccia a un membro della banda che è rimasto preso in trappola e lo trafigge con una lancia nera. Mentre ne osserva la morte, Marlon sorride come un vecchio gatto.

Grazie alla nostra chiacchierata, qualunque cosa facesse, sentiva di non correre pericoli.
Il suo personaggio, cambiando di continuo, riesce a sterminare a uno a uno i membri della banda di Jack Nickolson, finché una notte Jack lo sorprende nel sonno e gli taglia la gola.
Permettetemi di tornare un momento sui miei anni italiani. Il vostro meraviglioso paese, all’epoca così danneggiato dalla guerra, era nonostante ciò, una galleria d’arte, un museo di cui non avrei immaginato la magnificenza. I dipinti, le sculture, l’archeologia erano sbalorditivi. Scoprii ovviamente capolavori noti in tutto il mondo, ma per me erano nuovi. Fu un’epoca di stupore e meraviglia. Siete fortunati a vivere in mezzo a questi splendori! Imparate da essi, esercitate gli occhi, in questi capolavori ci sono lezioni che possono riempire l’intero arco della vita.

E leggete, vi prego, leggete libri. Siamo in un’epoca in cui le immagini digitali ci saltano addosso da ogni direzione, stregandoci. Ma vi prego di non abbandonare il piacere solitario di leggere. Nei grandi libri ci sono insegnamenti che vi torneranno utili quando affronterete la storia che volete raccontare attraverso il cinema. Nei grandi libri si possono trovare struttura, forma e ritmo narrativo. I libri concedono il lusso di ritrovare i passi che ci hanno intrigati. Sono, molto spesso, lezioni di cinema. Abbiamo molto da imparare da questi grandi narratori della storia umana.

[…]

[25 ottobre 2010] 

home> notizie> Arthur Penn. Lettera agli amici di Torino e Bologna