Arthur Penn. Lettera agli amici di Torino e
Bologna
New York City, 5 dicembre 2007
[…]
Da
moltissimi anni l’Italia occupa un posto particolare nel
mio cuore. Alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo tre anni sotto
le armi, per lo più in Nord Europa, riuscii a realizzare un sogno
coltivato a lungo. Venni in Italia, a Perugia e Firenze, come studente.
Purtroppo la mia familiarità con la lingua italiana è andata svanendo
via via che gli anni trascorsi lontano dal vostro paese si sono
moltiplicati. Perciò la mia cara amica Maria Nadotti si è gentilmente
offerta di esprimere la mia pena di fronte allo sviluppo di eventi che
mi impediscono di essere presente e di parlarvi a viva voce. La mia
salute ha preso una brutta piega e dovrò farmi ricoverare in ospedale
per sottopormi a un energico trattamento richiesto da una grave
malattia del sangue. Non potete immaginare quanto mi dispiace non
essere lì con voi.
Ma
adesso parliamo
di cinema. In particolare vorrei rivolgermi ai giovani che aspirano a
fare film. Capita spesso che chi si avventura in questo campo mi chieda
di dargli qualche consiglio. E io rispondo sempre: impegnatevi con gli
attori, perché nelle immagini che costituiranno il film ci saranno
loro. Nel mio caso, ho avuto la fortuna, una volta rientrato negli
Stati Uniti dall’Europa, di trovare lavoro nella televisione. Lì ho
avuto modo di osservare da vicino gli attori che recitavano nei drammi
televisivi e, osservandoli, mi sono reso conto che la loro è un’arte,
ma che l’arte del recitare non esiste solo dove c’è talento. Come in
ogni arte il talento è il primo, magico ingrediente, ma i veri artisti
sviluppano un mestiere, e quel mestiere lo si può imparare. Perciò
esorto i colleghi che vogliono fare cinema a imparare il mestiere
dell’attore anche se non sono in grado di recitare.
In definitiva in un
film il vero materiale a disposizione del regista sono gli attori. Se
veniamo meno a questa relazione, che per noi è la più importante, ne
saremo impoveriti. Spesso, per compensare una recitazione
insoddisfacente o incompleta, si fa un uso deliberatamente eccessivo
della cinepresa. La cinepresa può trasformarsi facilmente in uno
strumento di separazione piuttosto che in una magica apertura
sull’immaginazione.
[…]
In risposta a
questo mio consiglio spesso mi sento dire: “e dove li posso trovare,
gli attori?” La miglior risposta che ho saputo formulare è la seguente:
cercateli tra gli amici, scovateli nelle piccole compagnie teatrali e
nelle recite scolastiche, ovunque si provi a fare teatro. I problemi
sono evidenti a ogni livello di tecnica attoriale. Lavorate con gli
amici, lavorate gli uni con gli altri, ma la mia raccomandazione è
sempre la stessa: cercate gli attori più capaci, fate in modo di
essergli utili e osservateli lavorare. Non ce n’è uno che lavori come
gli altri, i loro modi di praticare il mestiere dell’attore sono
numerosi quanto le impronte digitali, ma in definitiva il nucleo della
faccenda sta nel capire la paura che si accompagna al piacere che
traggono dal proprio mestiere. Godete del loro piacere insieme a loro,
ma siate pronti a comprendere la loro paura e a offrire simpatia e
apprezzamento.
Può darsi che tutto
questo suoni manipolativo e persino ingannevole quando in ballo ci sono
un regista e degli attori. Lo è! Ma è anche un ambiente di lavoro
accettato di comune accordo da regista e attori. È grazie ad esso che
gli attori possono avanzare nel caos di quanto non conoscono sul piano
emotivo e di sentirsi protetti e rispettati. Lasciate
che vi
racconti una storia che risale a una delle mie esperienze a fianco del
grande attore Marlon Brando. Il film si chiamava Missouri, gli
interpreti erano Jack Nicholson, Marlon Brando e molte altre persone
splendide.
Nel film si
racconta di Jack, capo di una banda di giovani che rubano cavalli ai
ricchi possidenti di ranch. Questi ultimi assumono un killer di
professione, perché dia la caccia ai ladri e li faccia fuori. Il killer
è Brando.
Brando e io
discutiamo a lungo del suo ruolo. Ognuno di noi ha le proprie idee su
come vada interpretato il personaggio del killer, una figura
volutamente misteriosa, elusiva. Secondo Brando bisogna farne un
indiano. A me quella soluzione non pare abbastanza interessante. Allora
lui suggerisce di farne un gentiluomo irlandese. Ancora una volta, per
quanto curiosa, la sua idea mi sembra troppo prevedibile. Marlon va
avanti a propormi una sfilza di strani personaggi, tutti singolari, ma
troppo specifici. Perciò io gli dico che, preso a sé, nessuno è
abbastanza misterioso. Sempre più irritato, Brando se ne esce con la
seguente proposta: “e se li interpretassi tutti?”
Ci penso su per un
istante e poi dico: “Sì, perché non li interpreti tutti?”
Sedotto dall’idea,
lui mi fa: “Ok, lasciami stare e quando giri prova a indovinare chi
sono”. La cosa aveva
scatenato la sua magnifica immaginazione, col risultato che nel film
Brando è una figura meravigliosamente misteriosa e pericolosa, che muta
ogni volta che lo vediamo: si porta dietro la morte e uccide vari
membri della banda in strani modi...
Un giorno arrivo
sul set e lo trovo seduto in groppa a un cavallo, vestito da donna
anziana. Quando la cinepresa si mette in funzione, la dolce vecchietta
dà la caccia a un membro della banda che è rimasto preso in trappola e
lo trafigge con una lancia nera. Mentre ne osserva la morte, Marlon
sorride come un vecchio gatto.
Grazie alla nostra
chiacchierata, qualunque cosa facesse, sentiva di non correre pericoli.
Il suo personaggio,
cambiando di continuo, riesce a sterminare a uno a uno i membri della
banda di Jack Nickolson, finché una notte Jack lo sorprende nel sonno e
gli taglia la gola.
Permettetemi di
tornare un momento sui miei anni italiani. Il vostro meraviglioso
paese, all’epoca così danneggiato dalla guerra, era nonostante ciò, una
galleria d’arte, un museo di cui non avrei immaginato la magnificenza.
I dipinti, le sculture, l’archeologia erano sbalorditivi. Scoprii
ovviamente capolavori noti in tutto il mondo, ma per me erano nuovi. Fu
un’epoca di stupore e meraviglia. Siete fortunati a vivere in mezzo a
questi splendori! Imparate da essi, esercitate gli occhi, in questi
capolavori ci sono lezioni che possono riempire l’intero arco della
vita.
E leggete, vi
prego, leggete libri. Siamo in un’epoca in cui le immagini digitali ci
saltano addosso da ogni direzione, stregandoci. Ma vi prego di non
abbandonare il piacere solitario di leggere. Nei grandi libri ci sono
insegnamenti che vi torneranno utili quando affronterete la storia che
volete raccontare attraverso il cinema. Nei grandi libri si possono
trovare struttura, forma e ritmo narrativo. I libri concedono il lusso
di ritrovare i passi che ci hanno intrigati. Sono, molto spesso,
lezioni di cinema. Abbiamo molto da imparare da questi grandi narratori
della storia umana.
[…]
[25 ottobre 2010]
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