Il diario cinese di Edoarda Masi. Un caso di rifiuto editoriale degli anni Sessanta
Irene Mordiglia
1.
Pubblicare, non pubblicare: quali meccanismi regolano la mediazione
editoriale? Perché un testo diventa un libro?
Perché non lo diventa mai, o non lo diventa subito? In un
saggio pubblicato per la prima volta nel 1999 e riproposto in italiano
sulle pagine dell’«Ospite ingrato» con il
titolo Una rivoluzione conservatrice nell’editoria,
Pierre Bourdieu rispondeva a queste e ad altre domande partendo da una
premessa: per indagare il processo di selezione che distingue il
“pubblicabile”
dall’“impubblicabile” «si deve
evidentemente esaminare il dispositivo istituzionale (comitati di
lettura, lettori, direttori di collana, specializzati o meno, ecc.)
che, in ogni casa editrice, è incaricato di fare una cernita
dei manoscritti proposti»1. Per
comprendere a pieno come questo dispositivo operi all’interno
di una casa editrice, prosegue Bourdieu, sarà necessario
considerare la struttura del campo editoriale all’interno del
quale la singola casa editrice svolge la sua attività.
È la struttura del campo editoriale che determina
«le dimensioni e la struttura dell’unità
responsabile della decisione»2;
è la struttura editoriale che definisce «il peso
relativo, nei rapporti tra i diversi agenti, dei diversi criteri di
valutazione»3. Ogni casa editrice
occupa all’interno della struttura editoriale nel suo
complesso una posizione: «è questa posizione
strutturale – sostiene Bourdieu – che orienta le
prese di posizione [dei responsabili della selezione editoriale], le
loro strategie in materia di pubblicazione […], definendo il
sistema dei condizionamenti e degli scopi che a loro si impongono e i
“margini di manovra”, spesso piuttosto stretti,
lasciati al confronto e alle lotte tra i protagonisti del gioco
editoriale»4.
Secondo Bourdieu, possiamo dedurre le linee portanti della politica
culturale di una casa editrice dalla posizione che essa occupa
all’interno del sistema editoriale. Lo studio statistico di
esperienze editoriali diverse permetterebbe inoltre di determinare
alcune tendenze costanti dell’attività editoriale:
ad esempio, ad una mancanza di ingenti risorse economiche
corrisponderebbe una maggiore propensione alla sperimentazione
destinata a perdersi via via che la casa editrice si sposta
«verso posizioni dominanti»5.
Bourdieu propone quindi un metodo interpretativo in cui il macro spiega
il micro perché il generale determina il particolare:
l’autonomia dei «luoghi di decisione»
è un’illusione dettata dall’ignoranza
dei «condizionamenti del campo»6.
Al metodo di determinazione dei meccanismi della mediazione editoriale
proposto da Bourdieu vorrei contrapporre un metodo a mio avviso meno
arbitrario e astratto, il metodo del contesto storico: quali vantaggi
ha? In che termini la sua applicazione si traduce in acquisizione di
conoscenza? Per rispondere a queste domande, applicherò
questo procedimento di ricerca a un caso di rifiuto editoriale, poco
noto e poco documentato, che ebbe luogo tra il 1960 e il 1961 presso la
casa editrice Einaudi.
2.
Nel dicembre 1960 Edoarda Masi, giovane sinologa e
bibliotecaria di professione, scrive a Franco Fortini: «sono
un’amica di Maria Regis e Renata Pisu e con loro una dei
pochissimi italiani che in questi ultimi anni hanno abitato in Cina per
un periodo piuttosto lungo. E ho raccontato qualche cosa della nostra
vita laggiù»7.
Fortini,
consulente della casa editrice torinese, legge il resoconto della Masi,
lo apprezza e vuole pubblicarlo:
Lei ha scritto un bel libro, una
cosa importante, e ha delle vere qualità da scrittrice
[...]. Mi pare evidente che un libro come il suo avrebbe la forza di
una bomba. Va dunque presentato con ogni cautela, perché
esploda nel luogo e nel tempo giusto. [...] Ho bisogno di sapere, prima
di tutto, se l’idea di una pubblicazione (Einaudi –
nonostante prevedibile difficoltà – anzitutto; e
solo subordinatamente, Feltrinelli, Lerici...) la interessa o no8.
Quando la Masi si dichiara interessata, Fortini si mette all’opera per sondare il terreno delle varie possibilità editoriali. L’8 gennaio 1961 le scrive:
Ho parlato del libro con un
influente personaggio einaudiano. Le obiezioni sono state quelle che
prevedevo, cioè del tipo: “in Germania di questi
libri ne esce uno al mese, non bisognerebbe fornire armi
all’avversario ecc.” aggiunga che i suddetti
personaggi, ad esempio, hanno bloccato tutte le testimonianze, e ve ne
sono di serie, sui campi di concentramento sovietici
dell’età staliniana, allegando
l’opportunità di uno studio minuzioso di tutta la
questione ad opera di uno specialista italiano che non
c’è e non ci sarà. Questo tipo di
discorsi mi mettono in uno stato di furore folle9.
Chi si nasconde dietro l’espressione «influente personaggio einaudiano»? Renato Solmi ha ricordato di aver esaminato il diario della Masi, sua amica, e di averne sconsigliato la pubblicazione «nell’interesse dell’autrice, per cui nutrivo la massima stima e con cui ero in rapporti molto amichevoli, ma anche per timore delle conseguenze che il libro avrebbe potuto avere in quegli anni, gettando una luce sfavorevole su ciò che stava avvenendo in Cina»10. La stessa Edoarda, ricordando in un’intervista alla rivista «Kamen´» il suo soggiorno cinese, ha menzionato Solmi come principale responsabile della mancata pubblicazione del diario:
Da Einaudi vi fu un grande litigio
intorno al mio libro, perché conteneva delle critiche al
regime cinese, fatte da un punto di vista socialista, non da un punto
di vista ostile. Però alcuni non erano d’accordo,
sostenevano che qualsiasi critica sarebbe andata a vantaggio del
nemico. C’era questa mentalità un po’
stalinista, anche fra non stalinisti. Si oppose principalmente Renato
Solmi, un uomo straordinario col quale in seguito ho stretto amicizia,
ma in quel momento troppo osservante e timoroso dell’eresia11.
Riprendiamo la lettura della corrispondenza tra la Masi e Fortini. Da essa emergono non soltanto le identità e i ruoli di singoli individui coinvolti nella pubblicazione di un libro, ma anche i contorni di un modo di “fare editoria” tanto ideologizzato – l’argomento ideologico è avanzato sia dai detrattori sia dai fautori del diario della Masi – quanto problematico e, soprattutto, dialettico. In questa dialettica interna alla casa editrice viene coinvolto anche Raniero Panzieri, già conoscente di Edoarda Masi12 e all’epoca responsabile della serie “Nuova società” e, insieme a Solmi, della collana dei “Libri bianchi”. In febbraio Fortini la informa che Panzieri ha letto il diario:
P.[anzieri] è
d’accordo con me nel valutare l’importanza del
libro e nel giudicarlo positivamente. Ha grande stima di lei e vorrebbe
parlarle. Concorda però con me su quella che è la
debolezza anche politica: uno squilibrio fra le posizioni politiche
generali (politiche e morali), con le quali P. è
perfettamente d’accordo, e le applicazioni particolari,
occasionali, sulla pagina che gli paiono relativamente arretrate
rispetto alle prime. [...] P. [freccetta a lato del testo:
«lei se ne può fidare. È davvero un
compagno»] è dunque deciso a presentare
positivamente il libro in casa editrice anche se non si nasconde che il
libro dovrà essere difeso dalla casa editrice stessa dagli
attacchi comunisti e anche entro la casa editrice13.
La giovane Edoarda è dunque sostenuta da due collaboratori della casa editrice che, nel 1960, godono di esperienza e prestigio. Per promuovere la pubblicazione del diario della Masi, Fortini redige un parere editoriale, oggi conservato tra le carte dell’Archivio del Centro studi Franco Fortini di Siena14.
Questo libro –
scrive Fortini – non ha bisogno di giustificarsi. Esso
definisce fin dalle sue prime pagine, con sufficiente chiarezza, quali
sono le premesse politiche e morali dell’autrice, Edoarda
Masi, e indica le condizioni preliminari di una lettura autentica e
quali lettori essa accetti o rifiuti.15
Fortini dedica più della metà del suo scritto all’insufficienza di studi e testimonianze sulla realtà della Repubblica Popolare Cinese, «quest’altro continente socialista che già determina tutti gli altri e che fra poco entrerà a far parte di quella comunanza degli stati alla quale da oltre dieci anni di fatto appartiene»16. Secondo Fortini, deve manifestarsi una volontà politica che a livello italiano ed europeo si schieri a favore della rivoluzione cinese affinché essa raggiunga «ad un costo umanamente accettabile i suoi fini maggiori; e li raggiunga conservando e sviluppando i suoi caratteri socialisti»17. Ma affinché questo avvenga, prosegue Fortini, il coraggio e la lealtà di chi solidarizza con la rivoluzione cinese «debbono provarsi di fatto, dicendo e dicendosi la verità». Dire la verità è anche, per Fortini, ammettere la parzialità del proprio punto di vista e della propria esperienza. Di questa parzialità Edoarda Masi è consapevole e per questo, secondo Fortini, ha scelto di raccontare il suo soggiorno cinese «in forma narrativa e non problematica»:
Dunque un punto di osservazione
limitato e parziale. E tuttavia, soccorsa da una intelligenza e da una
rara capacità di reazioni umane, oltre che dalla conoscenza
della lingua e della cultura cinesi, sa vedere da quella vicenda tanto
privata, con i compagni di studi che per formazione occidentale le sono
più simili, i volti, le tensioni e le contraddizioni di una
società intera, per quanto se ne riflette nella vita dei
quartieri universitari.
Chi è
Franco Fortini nel 1960, quando
legge il diario cinese di Edoarda Masi? Fortini è
l’unico degli einaudiani che è stato di persona
nella Cina di Mao: un elemento biografico non irrilevante, che aiuta a
comprendere non soltanto perché la Masi si sia rivolta a lui
ma anche, e soprattutto, il tipo di approccio che Fortini poteva avere
verso l’argomento cinese. Ad esso aveva dedicato un libro, Asia
Maggiore, pubblicato da Einaudi nel 1956, tre anni prima di
ricevere il diario della Masi18.
Anche
Panzieri era stato in Cina, nel settembre-ottobre 1955, con una
delegazione del Psi guidata da Nenni. Un’esperienza che aveva
raccontato subito nelle Note di un viaggio in Cina pubblicate
su «Mondo operaio» (novembre 1955) e in un diario
rimasto inedito fino al 198219.
All’incirca
nello stesso periodo Fortini viaggiava per il continente cinese come
membro di un’altra delegazione italiana, questa volta
patrocinata dal Centro studi per le relazioni economiche e culturali
con la Cina: un soggiorno breve e rigidamente organizzato da cui
Fortini si rendeva conto di poter trarre solo «impressioni,
note di colore», che non toccavano «la
realtà dell’uomo della strada, la condizione umana
del cinese odierno»20.
Il racconto
dell’esperienza vissuta in prima persona da una conoscitrice
della cultura e della lingua cinese, qual era Edoarda Masi,
rappresentava nel 1960 un tipo di testimonianza nuovo rispetto al
panorama editoriale italiano. Fortini ne è consapevole e per
questo si dimostra sin dall’inizio un interlocutore curioso e
incoraggiante per Edoarda Masi. La quale ha dunque valide ragioni per
proseguire il lavoro di revisione del testo, in vista di una imminente
pubblicazione. Ma sulla volontà di Fortini prevalgono altre
ragioni, altre volontà: «il mio libro vada
all’inferno – scrive la Masi nell’aprile
del 1961 – ci sono cose tanto più importanti. Solo
desidero che la cosa finisca presto e, giacché ha preso la
piega storta, di riavere il testo perché, contrariamente a
quanto quei signori hanno creduto, non provo nessun gusto a esibire i
miei fatti personali, e non mi piace di sapere chi l’ha in
mano»21. Con l’amarezza
della Masi si conclude il percorso di ricostruzione di un fatto
condotto sulla documentazione dell’epoca.
3.
Il saggio
di Bourdieu mette in rapporto la
dimensione minima del dispositivo istituzionale preposto al vaglio dei
testi da pubblicare e la dimensione massima del settore editoriale
nella sua totalità. In questo rapporto, secondo Bourdieu, il
termine massimo (la struttura del campo editoriale) orienta,
determinandolo, il termine minimo (il dispositivo istituzionale): la
scelta di non pubblicare il diario della Masi dovrebbe dunque esser
stata dettata dalla posizione che la casa editrice Einaudi occupava nel
mercato dell’editoria del 1960. In tal modo Bourdieu crea una
sproporzione notevole tra un fatto e la sua spiegazione: i particolari
di questo rapporto, i passaggi intermedi che lo costituiscono, si
perdono nella vaghezza di una teoria che si pretende valida a priori.
Il metodo della ricerca storica, la disciplina del contesto, procede
invece come progressiva determinazione di rapporti minimi: a poco a
poco, passaggio dopo passaggio, il singolo fatto storico assume
significato alla luce di un contesto inteso come «insieme di
altri significati»22. Un contesto che
va ricostruito: da dove partire? Dove inizia il contesto? Individuerei
il punto zero del nostro percorso di indagine nel testo stesso del
diario della Masi: che tipo di testo era? Quali elementi potevano
risultare sospetti o sgraditi a coloro che, in casa editrice Einaudi,
lessero il diario e lo giudicarono non pubblicabile? Possiamo tentare
di rispondere a queste domande perché, a differenza di altri
casi di rifiuto editoriale, il contenuto del libro è
pubblicamente fruibile da tutti: infatti, nel 1993, a più di
trent’anni dalla sua stesura, il diario della Masi
è stato pubblicato da Feltrinelli con il titolo Ritorno
a Pechino23.
Il diario,
trascritto in terza persona, racconta la vita dell’autrice e
di altri giovani comunisti europei giunti
all’Università di Pechino nel settembre del 1957
attraverso descrizioni impressionistiche che oscillano tra reportage e
romanzesco: «Dmitrij li guardava con un sorriso russo dove la
benevolenza non sa farsi ironia. L’aria calda, la grande
stanza piena di fiori chiari. A quell’ora evidentemente non
partivano aeroplani. Più che un aeroporto era la terra. Poi
Dmitrij se n’era andato, e avevano continuato ad aspettare
soli» – questo l’incipit del libro.
Siamo negli ultimi mesi del 1957: la spinta innovatrice dei
“Cento fiori” si sta esaurendo per lasciar spazio
al movimento repressivo contro gli elementi di destra e alla diffusione
della pratica del xiafang, l’invio
forzato degli intellettuali nelle fabbriche e nelle campagne. La vita
degli europei come Edoarda Masi si immerge nel «penetrante
silenzio» che avvolge la Cina, dove la popolazione
è classificata in «buoni» e
«non buoni»:
E c’era una gradazione di
maggiore e minore bontà. Frequentare chi era meno buono era
rischioso e dubbio per chi era a un grado più alto, ma per
la stessa ragione era difficile riuscire a frequentare chi fosse
migliore di te24.
Edoarda
Masi è una giovane
comunista europea che non chiude gli occhi di fronte a una
realtà inaspettata: «le lenti
deformanti» dell’ideologia, che pur sono ammesse
dall’autrice nella prefazione del ’9325, non le impediscono di cogliere sfumature e contraddizioni di una
realtà complessa e all’epoca facilmente mitizzata.
La prospettiva adottata dalla Masi non aveva convinto i redattori
einaudiani, in testa Solmi, dell’opportunità di
pubblicare il diario. Che tipo di approccio alla Cina maoista veniva
privilegiato in quegli anni dalla casa editrice Einaudi? Una rapida
scorsa del Catalogo storico einaudiano evidenzia un ritardo della casa
editrice relativo alle pubblicazioni sulla Cina moderna. Oltre al
già citato Asia Maggiore di Fortini, il
catalogo presenta un solo altro volume sull’argomento: Le
origini ideologiche della rivoluzione cinese di Enrica
Collotti Pischel, pubblicato nel 1958 nella collana dei
“Libri bianchi”26.
Il volume
era stato promosso e curato da Renato Solmi fin dal 1956. Enrica
Pischel lavorava al libro dalla fine dell’anno prima,
sollecitata soprattutto da Solmi a concluderlo in fretta. Ma nel marzo
del ’56 il saggio non è ancora pronto e Solmi
informa l’autrice che occorre fare in fretta
perché «tra poco uscirà il libro di
Fortini (Asia Maggiore) di cui il tuo dovrebbe
essere il pendant scientifico-storico»27. Nel maggio del 1957 Solmi, che si trova a Francoforte, scrive a Daniele
Ponchiroli una lunga lettera nella quale espone pregi e difetti della
trattazione della Pischel:
Avrete ricevuto (nel frattempo) il
manoscritto della Pischel, di cui ho portato con me la seconda parte.
Chi lo vedrà (e immagino che sarà Bobbio) si
renderà conto dei suoi difetti; e non starò
quindi a parlarvene qui. Credo, però, che non vadano
sopravvalutati, e che quello che vi è di valido e di
sostanziale nel libro (e che si ricollega, secondo me, alla sua
interpretazione propriamente filosofica del rapporto fra il marxismo e
la rivoluzione cinese) è così importante da far
passare in secondo piano i difetti o le ingenuità
dell’esecuzione (che del resto, in parte, sono più
apparenti che reali.) Ricordo che il saggio aveva fatto molta
impressione anche a te e a Calvino (da cui partì, anzi, la
proposta); e per quanto mi riguarda, devo dire che la sua Cina
(più di tutte le altre cose che ho letto in proposito) si
è inserita così saldamente nel mio quadro mentale
da farmi pensare che (per mostrarsi così tenace) debba avere
qualcosa a che fare con la Cina in sé. Ma essendo affetto,
come l'autrice, dal virus hegeliano, la mia testimonianza
può riuscire sospetta28.
Dalla
lettera di Solmi emerge una cifra
che penso si possa dire tipica del modo di fare editoria firmato
Einaudi in quegli anni: la cifra della partecipazione emotiva e
intellettuale che redattori e consulenti dimostrano nei testi da loro
curatori. Nella corrispondenza tra autori e redattori o tra i redattori
stessi, nei verbali delle riunioni editoriali non c'è
traccia di discussioni sulla
“vendibilità” di un libro: esso
è a tutti gli effetti concepito come veicolo di un messaggio
culturale, politico e ideologico e mai come prodotto commerciale.
Le origini ideologiche della rivoluzione cinese
esce
nel dicembre del 1958. Un secolo di storia
cinese, dalla guerra dell’oppio del 1840-42 alla
proclamazione della Repubblica socialista del 1949, è
interpretato dalla Pischel come lungo e complesso processo
rivoluzionario che modifica le strutture sociali, economiche e
politiche ma, prima ancora, le categorie morali, religiose e culturali
della civiltà cinese. Questo processo storico, di cui la
Pischel individua come tappe fondamentali la rivoluzione dei
T’ai-p’ing, la cosiddetta “riforma dei
gentiluomini”, la rivolta dei boxer, il radicalismo teorico
elaborato da Sun Yat-Sen, l’attivismo degli studenti
universitari di «Gioventù nuova», si
conclude nell’adesione all’unica ideologia che
può definitivamente portarla al superamento di millenni di
stabilità, chiusura rispetto al mondo, disuguaglianze e
squilibri: il socialismo.
Il volume è introdotto da una nota editoriale, pubblicata
anonima, ma sicuramente redatta da Solmi, nel quale il lavoro della
Pischel è presentato come «strumento non solo di
conoscenza storica ma anche di orientamento nella realtà
politica – così strettamente, ormai, solidale e
connessa – del mondo contemporaneo»29. È
interessante leggere queste note editoriali che accompagnano i
“Libri bianchi” perché esse, oltre a
fornire le coordinate bio-bibliografiche dell'autore del libro,
dichiarano la motivazione per cui esso era stato pubblicato. Ci
troviamo dunque di fronte a scritti che rivendicano, senza
ambiguità o facili equilibrismi, scelte non soltanto
editoriali ma politiche e ideologiche. Solmi constata la
superficialità del punto di vista occidentale rispetto alla
complessa realtà della Cina moderna; la Pischel, scrive
Solmi, è particolarmente qualificata a colmare questa
mancanza di conoscenza, non solo per la sua approfondita preparazione
scientifica ma anche, e soprattutto, perché inspirata da una
«forma mentis – quella, per
intenderci, liberamente educata sul pensiero marxista – che
è forse la sola in grado di avvicinare ed interpretare
secondo una prospettiva universale i processi storici anche
più diversi e remoti del mondo moderno»30. La sua analisi
storica ha quindi il merito, secondo Solmi, di rendere
manifesto ai lettori il carattere universale del «messaggio
marxista». Scrive Solmi:
L’incontro fra Cina e
Occidente su un piede di parità e di originalità
reciproca si verifica – così conclude
l’autrice – sulla piattaforma universale del
marxismo. Dove il lettore è portato a supporre – e
l’autrice non manca di suggerirlo – che
all’universalità del messaggio marxista abbia
corrisposto, o sia venuto incontro, in Cina, qualcosa come un retaggio
universalistico di cui si potrebbe forse (con tutte le riserve che una
simile supposizione comporta) cercare l’equivalente anche in
Russia.
La prospettiva marxista della Pischel diventa la linea di interpretazione della questione cinese adottata nel contesto dei “Libri bianchi”, la sola collana einaudiana che in quegli anni affronti l’argomento della Cina maoista. A discapito di altri punti di vista, di altre ideologie31.
4.
Tra la
fine del 1960 e i primi mesi del 1961 Franco
Fortini si adopera invano per la pubblicazione di un libro: il libro
non viene pubblicato, o almeno non subito e non dall’editore
a cui per primo era stato proposto. Sulla volontà del
consulente Fortini hanno prevalso le ragioni di altri consulenti in
probabile accordo con l’editore.
Partendo dalla corrispondenza privata tra una giovane studiosa e un
affermato intellettuale che collabora con un’importante casa
editrice siamo arrivati a vedere, seppur di sfuggita, alcuni dei
meccanismi della mediazione editoriale attivi in casa Einaudi nei primi
anni Sessanta. Recuperando il testo del diario rifiutato, leggendolo
con le categorie ideologiche con cui potevano averlo letto Fortini,
Solmi, Panzieri ed altri, confrontando il libro rifiutato con un libro
pubblicato, in quello stesso periodo, sullo stesso argomento, abbiamo
costruito intorno a un fatto il suo contesto.
Il metodo di Bourdieu si fonda sul principio di causalità:
la struttura del campo editoriale e la posizione che in essa vi occupa
l’Einaudi determinerebbero
l’impossibilità per Fortini di imporre la
pubblicazione di un libro considerato ideologicamente scomodo. In tal
modo Bourdieu perviene alla spiegazione di un effetto dalla
determinazione della sua causa. La disciplina del contesto storico
azzera invece ogni gerarchia tra sopra e sotto, tra causa/e e effetti
definendo il contesto come groviglio di significati in rapporto
dinamico e reciproco tra loro. La determinazione di questi rapporti
– come questi rapporti si sono svolti e
non perché – è la
spiegazione a cui la disciplina del contesto storico vorrebbe pervenire.
note
1 Pierre Bourdieu, Una rivoluzione conservatrice nell’editoria, in «Actes de la recherche en sciences sociales» 126-127, marzo 1999; poi in «L’ospite ingrato» (Semestrale del Centro studi Franco Fortini), numero dedicato a Editoria e industria culturale, 2, 2004, pp. 19-59.
2 Ibid., p. 20.
3 Ibid.
4 Ibid., p. 21.
5 Ibid.
6 Non avendo nessuna funzione selettiva, il comitato di lettura di una casa editrice non è altro, secondo Bourdieu, che una «banca di capitale sociale e di capitale simbolico attraverso cui la casa editrice può esercitare il suo potere su accademie e premi letterari, su radio, televisioni e giornali» (ibid.).
7 Lettera di Masi a Fortini, 28 novembre 1960, conservata presso l’Archivio del Centro Studi Franco Fortini di Siena (d’ora in avanti AFF).
8 AFF, Lettera di Fortini a Masi, 8 dicembre 1960.
9 AFF, Lettera di Fortini a Masi, 8 gennaio 1961.
10 Testimonianza di Renato Solmi a chi scrive.
11 L’intervista è disponibile all'indirizzo internet http://www.criticamente.com/bacheca/bacheca_cultura_e_arte/ Masi_Edoarda_-_Kamen_Intervista.htm. «In quell’occasione ho avuto un rapporto un po’ più discorsivo con Panzieri il quale mi consigliò: “Non lo dare ad altri editori perché perderebbe il suo carattere”. Oggi non è più così, ma allora Einaudi aveva una certa sua nobiltà. Le case editrici non erano tutte uguali come oggi.»
12 «Avevo conosciuto Raniero Panzieri, quando ero in partenza per un anno di studio all’Università di Pechino. […] La Cina in quegli anni era lontanissima dal nostro pubblico, e parevano esploratori tre studenti italiani all’Università di Pechino – i primi dall’Europa occidentale dopo il ’49. Panzieri si mostrò entusiasta, mi invito a mandargli delle corrispondenze. (Che non ci furono: la Cina reale era troppo diversa da quella dipinta dalla superficialità giornalistica, troppo ricca e complessa e contraddittoria per essere comunicata in brevi articoli a un pubblico troppo ignaro)». Testimonianza di Edoarda Masi raccolta nel libro Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di Paolo Ferrero, Edizioni Punto rosso, Milano 2005, p. 172. La Masi ha ricordato il suo soggiorno in Cina del 1957 in una lunga intervista a Radio Popolare ascoltabile all’indirizzo http://www.radiopopolare.it/fileadmin/trasmissioni/speciali/EDOARDA_MASI_PRIMA_PUNTATA____CINA_ridotto.mp3
13 AFF, Fortini a Masi, 22 febbraio 1961.
14 Una parte cospicua di queste carte è stata pubblicata nel volume Un giorno o l’altro, a cura di Marianna Marrucci e Valentina Tinacci, Quodlibet, Macerata 2006. Il parere editoriale sul diario, riprodotto nel volume, non è datato.
15 Ibid., p. 282.
16 Ibid.
17 Ibid., p. 283.
18 Franco Fortini, Asia Maggiore. Viaggio nella Cina, Torino, Einaudi 1956; poi Asia maggiore. Viaggio nella Cina e altri scritti, manifestolibri, Roma 2007.
19 Il diario è pubblicato in Raniero Panzieri, L’alternativa socialista. Scritti scelti 1944-1956, a cura di Stefano Merli, Einaudi, Torino 1982, pp. 165-74.
20 Fortini, Asia maggiore cit., p. 177.
21 AFF, Masi a Fortini, 23 aprile 1961.
22 «La disciplina storica è, anzitutto, la disciplina del contesto; ogni fatto può acquistare significato solo entro un insieme di altri significati» (E.P. Thompson, Società patrizia cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Settecento, cura di Edoardo Grendi, Einaudi, Torino 1982, p. 258).
23 E. Masi, Ritorno a Pechino, Feltrinelli, Milano 1993. Paolo Di Stefano ha segnalato l’uscita del libro della Masi definendo la vicenda «un caso insolito dell’editoria italiana» (P. Di Stefano, Edoarda Masi: “La mia Cina rifiutata da Einaudi”, «Corriere della sera», 29 aprile 1993).
24 Ibid., p. 97.
25 «Guardavamo (guardavo) alle cose cinesi attraverso lenti deformanti» (ibid., p. 15).
26 Enrica Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Einaudi, Torino 1958.
27 Archivio Einaudi (d’ora in avanti AE), incart. Collotti Pischel, 14 marzo 1956.
28 AE incart. Solmi, 28 maggio 1957.
29 Nota editoriale a Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese cit.
30 Ibid.
31 Nella già citata lettera inviata a Ponchiroli il 28 maggio per sostenere il libro della Pischel, Solmi riferisce un parere di lettura su China auf eigenen Wegen di L.L. Matthias: pur riconoscendo che lo studio sia dotato di sistematicità e profondità analitica, Solmi constata che esso ha «il guaio di essere scritto per un pubblico borghese» muovendo la propria analisi «da un punto di vista che si pretende al di là dell’opposizione comunismo-anticomunismo» (AE, incart. Solmi, 4 maggio 1957). Nel ’62 la collana dei “Libri bianchi” ospiterà, sempre di Enrica Collotti Pischel, La rivoluzione ininterrotta, seguito nel ’65 da La Cina rivoluzionaria. Nel ’64, invece, veniva pubblicata la raccolta di documenti sulla disputa cino-sovietica Coesistenza e rivoluzione curata dalla Pischel con Paolo Calzini.
[6 aprile 2009]
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