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Adelelmo Ruggieri
1 Nel mio 2° libro (Vieni presto domani, peQuod, 2006) ci sono due iscrizioni. La prima è da Pavese. L’altra da Fortini (Foglio di via, “E tu pregali”)
E tu
pregali i sette muratori,
Pregali, pregali, i sette maestri
Poi la poesia
prosegue. I muratori, “che devono murare” vanno
pregati perché ti lascino “sette
spiragli” dai quali “arrivino a te / La luce e il
pane”.
Incontrare “i muratori” nella poesia di Fortini per
me fu molto importante. Conosco bene, per il lavoro che faccio, la loro
saggezza, i loro silenzi, le brevi pause di mezzogiorno, in piena luce,
quando si sta raccolti a mangiare un panino, a bere una birra, e ogni
parola è di più, non serve. La loro
dignità è assoluta in quelle pause di
mezzogiorno. E le parole che vengono dette sono spesso scherzose,
spesso pesanti, martellate. Sì, poi
c’è tutto quanto non va. Come potrebbe essere
diversamente? Tirare su un edificio è difficilissimo,
è faticosissimo. Ma loro stanno lì, pazienti. E
lasceranno quegli spiragli che Fortini chiede loro; li lasceranno in
forma di finestre e di porte, e in forma di poesia, di luce e di pane.
2 Nel 3° (Porta marina, peQuod, 2007, a quattro mani con Massimo Gezzi) ho riportato uno stralcio di un brano di Fortini su Franco Matacotta (anche lui nato a Fermo) per davvero centrale nella mia formazione. Allego parte del testo testo con in grassetto la citazione da Fortini:
Torno indietro. Risalgo con
il fiatone del fumatore la ripida scala. Devo vedere il penultimo libro
di Matacotta. È “La peste di Milano e altri
poemetti”. Venne pubblicato nel 1975 dalle edizioni
L’Astrogallo di Ancona, via Santo Stefano 43. Lo introdusse
Franco Fortini. A quell’ultimo lavoro dedica sette pagine
fitte e appassionate passandone in rassegna l’opera intera
fino a quell’ultima prova. Quelle pagine iniziano a questa
maniera:
“La sorte di un
poeta che conosce la notorietà da giovane e la dimenticanza
del mondo in età matura; che da giovane coglie lo spirito
del tempo e quando, non più giovane e percosso dalla sorte,
vuole invece ben altro raggiungere, scopre con sofferenza e rabbia una
via troppo lunga ormai per poter essere ancora percorsa; e che di
questo fa, finalmente, i suoi versi; questa non è, ecco,
anche se può sembrarlo, una sorte eccezionale. Essa
assomiglia invece alla confidenza che tanti giovani – non
perché giovani ma per le circostanze che li investivano
– ebbero nella lotta, in senso largo politica e di
trasformazione dei rapporti tra gli uomini, una trentina
d’anni fa (e di nuovo dieci o cinque anni fa). Avrebbero poi
scoperto, non tanto che la speranza aveva loro mentito quanto che le
forze, intellettuali non morali e sociali non individuali, erano impari
alla grandezza, complicazione e mutevolezza del campo delle operazioni.
In questo senso,
quando ebbi a leggere la parte più certa
dell’opera di Matacotta, gli Inni, qui
pubblicati e scritti fra il 1961 e il 1965, avvertii che cosa era
accaduto nel ventennio trascorso fra le strofe scatenate e colorate di
Fisarmonica rossa (né ho dimenticato, nel
memorabile numero di “Mercurio”, stampato a Roma
nell’ottobre 1944 e letto con tanta ansia nel Nord, la sua
traduzione, esaltante, di Gli Sciti di
Alekxànder Block) e questa sua ricerca interrogativa. Era,
niente di meno, passata la vita; tutto era
diventato più chiaro e feroce.”
3
Una delle poesie che
giudico per me decisiva è Parabola
da “Poesia e errore”, quando Fortini ci
dice cosa “è stato” nei suoi giorni; e
allora ci dice che “a una sorte” può
(e non sente) “assomigliarsi”,
e quella “sorte” l’ha “veduta
nei campi”; è la sorte dell’uva che
“ai ricchi giorni di vendemmia” “fu
trovata immatura / ed i vendemmiatori non la colsero”; e poi
“nella vigna”, “smagrita dalle pene
dell’inverno / non giunta alla dolcezza / non compiuta la
macerano i venti.”
È una poesia che t’inchioda letteralmente
a ciò che sei, all’umiltà, al tuo
sforzo per starci, alla dignità del tuo essere, e lo fa come
scrive Francesco Leonetti [Franco Fortini, Poesie scelte, a cura di
Pier Vincendo Mengaldo; Mondadori, 1974, pag 27] attraverso quella
“sillabazione lenta, attenta e continuamente
protratta”.
4 In breve io credo che l’opera di Franco Fortini - la sua poesia, il suo alto insegnamento - costituisca ancora un riferimento necessario di etica e di stile.
[12 settembre 2008]
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