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Sul discorso di João Pedro Stédile
Edoarda Masi
Nell’intervento di João Pedro Stédile al recente
Incontro Nazionale del MST sono chiaramente espresse alcune verità, ormai
evidenti a chiunque non tema di aprire gli occhi: in primo luogo, la
connessione fra le lotte nel campo dell’agricoltura – oggi direttamente
dominata dal capitale – e la necessaria resistenza, da parte del lavoro in
ogni suo settore (incluso quello dei “lavoratori della conoscenza”) contro
il dominio esercitato dallo stesso capitale nelle forme attuali. L’agribusiness
si vale dei medesimi meccanismi – a partire dal sistema dei brevetti –
utilizzati dalle imprese transnazionali nel campo della produzione
scientifica e culturale. Il collegamento oggettivo può essere la base della
riunificazione del lavoro, attualmente frantumato. Non solo, ma il
riferimento all’agricoltura trasforma la mozione ecologista (per la salvezza
della vita sul pianeta) da velleità moralistica in contenuto concreto della
lotta di classe.
Leggiamo l’invito di Stédile per “… Una riforma agraria che
si preoccupa, in primo luogo, di produrre alimenti, cibo salubre. Una
riforma agraria che ha l’obiettivo di preservare i semi naturali in quanto
eredità del nostro popolo. Una riforma agraria che sia combinata
necessariamente con la scolarizzazione e l’educazione, affinché tutti i
contadini, giovani ed adulti, possano avere accesso alla conoscenza
scientifica.” È il richiamo a un’ipotesi di socialismo, radicale come
quella che era stata dei Kibbutz ma esente dalla contraddizione interna (il
nazionalismo, il disprezzo per un altro popolo) che finì per annientare quel
magnifico progetto.
Nella presente contingenza, quando sembra esaurita la fantasia creatrice
dell’opposizione, è forse il caso di cominciare a recuperare i contenuti di
quelle ipotesi del passato per tentare vie realmente nuove (escluso il vacuo
“cambiamento”). È quanto ci suggeriscono i contadini brasiliani.
[21 marzo 2009]
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