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Acqua.
Una breve presentazione dei lavori per la rivista
Alessandra Reccia
Se decidiamo di dedicare una parte della sezione Conflitto-Lavoro alle
questioni che riguardano il tipo di sfruttamento e le modalità di gestione
dell’acqua è perché in questo campo si mette in evidenza, in forma chiara, la
capacità di reificazione del sistema di produzione attuale, che riesce a
trasformare in merce anche la più indispensabile, per la sopravvivenza umana,
tra le risorse naturali.
La maggior parte delle lotte attuali per la difesa dell’Acqua in quanto bene
pubblico, si concentrano intorno al problema della privatizzazione.
Nell’articolo che pubblichiamo di Giampaolo Pellegrini è messo bene in luce come
la privatizzazione dei servizi non passi direttamente per la proprietà del bene
da parte di uno o più privati, ma nella sua gestione. Questa nuova forma di
possesso, possibile solo grazie all’accordo tra le amministrazioni pubbliche (i
nostrani Governi e Regioni), che formalmente rappresentano i cittadini che sono
per legge i proprietari, e le imprese, che invece ne traggono vantaggio
economico, costituisce una delle principali fonti di reddito di cui il
capitalismo, nella sua fase attuale, dispone. La cosiddetta gestione dei servizi
pubblici consente di trarre profitto sfruttando i vantaggi del monopolio e
quelli contrattuali (che nel caso dell’Acqua, per esempio, garantiscono il 7% di
redditività dei capitali investiti tramite le bollette) scaricando, però, tutti
gli oneri di spesa sul “proprietario”, che in questi casi è l’insieme dei
cittadini.
Questa è una delle forme in base alle quali avviene in tutto il globo la
dismissione dello stato da tutti i settori pubblici economicamente rilevanti,
quali istruzione, sanità, materie prime, beni naturali e sociali (pensioni, ma
anche prodotti intellettuali, etc.).
Questo discorso ci interessa non solo perché descrive un nodo del processo
produttivo, ma anche perché mette in luce come certi aspetti della nostra vita
quotidiana pubblica e privata, siano da questi processi influenzata.
Lo studio, di prossima pubblicazione sul sito, svolto in Basilicata intorno al
Sinni, vuole non solo denunciare lo stato di malattia del fiume e di tutta la
valle (che quello aveva creato modificando con l’acqua le argille), in seguito
al convogliamento delle acque nella diga più grande d’Italia, e tra le più
grandi in Europa. Ma anche vuole recuperare, attraverso la raccolta delle storie
di vita, dei racconti e dei canti legati al fiume, la memoria di un legame
ormai perso tra l’uomo e l’ambiente. Non è semplice valore documentario quello
che l’Archivio lucano delle voci, che questa ricerca organizza, propone insieme
ad un piano di riqualificazione del fiume, al quale hanno lavorato un gruppo
composto di architetti, ingegneri e geologi. Lo studio degli aspetti antropici
del fiume vuole ribadire che la necessità di slegare l’acqua, o qualsiasi altra
delle risorse naturali e sociali, dallo sguardo pietrificante del capitalismo,
passa dalla riconsiderazione dello stato del rapporto uomo –natura.
Queste riflessioni costituiscono spesso la base dei comitati locali che in varie
parti di Italia mantengono l’attenzione sul problema e propongono soluzioni
alternative alle modalità di sfruttamento delle acque territoriali di superficie
e di falda. A questo proposito pubblichiamo un documento del Comitato per la
salvaguardia dell’Ambiente del Monte Amiata. Il lavoro degli abitanti del monte
toscano, che costituisce la più importante risorsa idrica del centro Italia,
denuncia con una ricerca geotermica di grande rilievo scientifico, la situazione
delle sorgenti dell’Amiata. Lo sfruttamento delle stesse da parte dell’Enel,
reso possibile da una serie di norme locali e regionali, provoca non solo una
diminuzione preoccupante della capacità di portata ma anche un forte
inquinamento dell’acqua. Lo sfruttamento del vapore geotermico a fini
elettrici, infatti, sottrae quantitativi enormi agli acquiferi superficiali, per
cui il bacino idrico dell’Amiata è diminuito di oltre il 50%, provocando una
concentrazione pericolosa, in base anche agli standard sanitari, delle sostanze
velenose nell’acqua quali arsenico e boro.
La proposta che la rivista fa pubblicando questi interventi non vuole essere
esaustiva rispetto ai problemi dell’acqua, ma spera di fornire contributi
importanti per la riflessione sul tema, per le forme di intervento e di studio e
per le pratiche organizzative ad esso attinenti.
[21 marzo 2009]
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