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Andrea Zanzotto, Viaggio
musicale. Conversazioni a c. di Paolo Cattelan
Marsilio,
Venezia 2008, € 16,00
Andrea
Zanzotto, In
questo progresso scorsoio. Conversazione con Mario Breda
Garzanti,
Milano 2009, € 11,05
***
Due conversazioni con Andrea Zanzotto
Barbara Presenti
Viaggio musicale
Il
breve volumetto Viaggio
Musicale, edito da Marsilio, si
potrebbe considerare una sorta di ‘antefatto’
dell’altro libro del poeta veneto
e di cui si parlerà più avanti. Protagonista
assoluto, in entrambi i casi, è
l’eloquio vibrante e divertito, allo stesso tempo, che tanto
appartiene a
Zanzotto.
Questa
conversazione di tono
saggistico, condivisa con Paolo Cattelan (musicologo veneziano), ha
inizio con
una precisa domanda: “Che cos’è la
musica per Andrea Zanzotto…?”; la risposta
è
altrettanto mirata: (la musica) ӏ stata prima di
tutto, un bel canto popolare
(…) un canto, probabilmente non così dissimile da
quello che Leopardi avvertiva
svanire a poco a poco”. Proprio con il riferimento al poeta
di Recanati,
Zanzotto introduce subito uno dei suoi topoi
letterari, ovvero, il rapporto
della poesia con tutte le manifestazioni
della realtà.
Lungo
le pagine di questo volume,
Zanzotto (complice Cattelan) mette in luce quella che lui stesso
definisce la
complessità psicologica e “etnologica”
propria di certe arie del repertorio
operistico, facendo
puntuale riferimento
alla Norma che
“trapunge” la sua
raccolta poetica Il
Galateo in Bosco.
Con una di quelle illuminazioni tipicamente zanzottiane, la
tragicità
dell’opera belliniana diventa simbolo del terribile destino
che ha segnato
l’infanzia del poeta e di tanti suoi coetanei:
l’uscire da una guerra per
andare verso un’altra guerra.
Il
lettore, attento ai toni e
sottotoni di questa conversazione, non può non intuire la
reazione ‘poetica’
destata da tale trauma, ed è così che sente
parlare la fiducia zanzottiana in “un
modo di comunicare molto vivo” e il suo continuo appello a
quella forza
primordiale e mitica che lega canto e logos.
La musica, in quanto espressione del nostro inconscio collettivo
“elaborato
lungo il corso di catene lunghissime, di decine di millenni”,
condivide con il
linguaggio infantile, con l’oralità del mondo, le
potenzialità di
“un’universalità per difetto”,
ci dice Zanzotto.
E a
dimostrazione di questo, il
poeta, nel ricordare la sua collaborazione con Fellini, definisce in
modo
suggestivo le composizioni musicali di Nino Rota,
“procedimenti di
microvariazione” generati da
“nuclei
semantico-musicali” quasi ancestrali, di poche note, che
sembrano chiamare in
causa la teoria dei frattali.
L’indagine
delle affinità fra il
linguaggio delle note e l’aspetto musicale della lingua
è il tema principale di
queste pagine. Parlando del connubio fra elemento musicale e verbale,
Zanzotto
fa riferimento anche a Metastasio, “padre del canto di
poesia”, che riusciva a
animare le sue strofe con “una musichetta interna”,
delle arie che poi
fungevano “da polo di condensazione di temi dispersi dentro
l’opera”; come
suggerisce Cattelan, il significato delle strofette di Metastasio va
considerato
attraverso le variazioni del significante, le differenze fra suoni.
Durante
la conversazione, il
poeta veneto ribadisce più volte l’esistenza di un
“legame musaico” fra i due
codici (musicale e poetico), sottolineando come la parola, grazie ai
suoi accordi
e “anche minime discordie”, possa generare un
sottotesto
di assonanze e consonanze a
volte
trascrivibile in vere partiture. Sembra allora significativo che
Zanzotto
confessi (chiamando in causa le opere della coppia Weill-Brecht):
“vorrei che
certi miei versi fossero cantati in uno Sprechgesang”.
Ma il
rapporto fra espressione
musicale e poetica è anche oggetto di tensioni e contrasti,
soprattutto nella
contemporaneità. A questo proposito, Cattelan
‘provoca’ il suo interlocutore
con un accostamento inaspettato: la “disfida rap”
non potrebbe essere
“un’evoluzione attuale del poetare
all’improvviso?”. Zanzotto risponde con tono
perentorio; per lui, il rap è come una
“tachicardia parossistica”, una
realizzazione musicale da registrare sull’elettrocardiogramma
e nelle cui
aritmie il poeta avverte un malessere che ben rappresenta la
“pletora attuale”,
ovvero la fretta di chi “crede di andare verso una gioia e
scappare da un
pericolo”.
Due
riflessioni, che s’incontrano
rispettivamente nelle pagine centrali del volume e verso quelle finali,
possono
ben riassumere l’incontro fra Zanzotto e Cattelan,
nonché quello fra musica e
poesia; “la poesia è la roccaforte del principio e
quindi dell’imprendibile,
dove la lingua è musica oltre che significato”
dice Zanzotto, per aggiungere in
seguito che la sua poesia presenta una
“ossessività benigna”, concentrata
com’è
su temi ricorrenti che ogni volta rinnovano quel significato
“delfico” che “non
dice, ma segnala”. Questo,
l’”inscape”, il paesaggio interiore
zanzottiano.
***
In questo progresso
scorsoio
Il
secondo
libro-intervista
coniuga invece il “fantasticare” e il
“polemizzare”, per usare le parole dello
stesso Zanzotto, lasciando al lettore la sensazione di aver appena
ricevuto una
testimonianza etica, permeata dalla trasfigurazione poetica di luoghi e
personaggi veri e leggendari insieme.
Il
titolo risuona come una tipica
epifania zanzottiana, citazione di un aforisma creato dal poeta:
“In
questo progresso scorsoio/ non so se
vengo ingoiato/ o se ingoio”;
il sottotitolo, conversazione, richiama
l’informale concretezza propria di uno scambio di
riflessioni, di un confronto
empatico dove intervistato e intervistatore condividono lo stesso
codice
linguistico e morale (riferendosi entrambi a
“slogature”, “scissioni
dell’inconscio
collettivo”, “devastazioni sociali”).
Nel
volume edito da Garzanti,
Marzio Breda, saggista e giornalista del “Corriere della
Sera”, sollecita e
accompagna intuizioni, rivelazioni e premonizioni di un Zanzotto sempre
più
‘rintanato’ nella sua Pieve di Soligo e, da questa
postazione geografica e
mentale, sempre più lungimirante sul progresso delle umane
cose.
Le
sei sezioni, attraverso cui si
dipana la conversazione, recano profondamente incisa la cifra
autobiografica,
incoraggiata dallo stesso Breda che offre al suo interlocutore
l’incipit per il
racconto di un viaggio esistenziale e letterario.
‘Paesaggio’
e ‘linguaggio’ sono i
punti di partenza e di ritorno di questo raccontarsi, pudico e
coraggioso allo
stesso tempo.
Andrea
Zanzotto, nelle parole di
Breda “una delle poche sentinelle di
un’indispensabile
‘resistenza’”, fa
spaziare il suo e il nostro sguardo dai luoghi dell’infanzia
(su tutti, il
Montello “bosco anche stilistico”,
“groviglio verde, intricato e metamorfico”,
“il simbolo stesso dell’ utopia”) alla
realtà del Nordest riassunta
nell’immagine della “megalopoli padana”,
nata da uno sviluppo senza regole e
senza memoria, “cannibalistico”.
I
riferimenti alla schizofrenica
instabilità contemporanea puntellano tutto il volume: la
vicenda di Porto
Marghera, il teatrino della nostra politica “vero trionfo
dell’assurdo”,
l’emergenza climatica che “sta ormai modificando il
nostro statuto biologico”,
l’attuale tentazione di “sbrogliare la crisi
sociale (…) etnicizzandola”, la
delocalizzazione delle nostre industrie, l’affievolirsi di
uno spirito
comunitario in Veneto e non solo, le armi nucleari “che non
si possono usare
pena la fine di tutti”, simbolo di una deflagrazione
collettiva anche psichica.
Sono
queste le inquietanti
presenze che incombono sul delicato equilibrio umano e naturale,
minacciano le
biodiversità, incluse quelle linguistico-dialettali,
travolgono la cultura
contadina con “la pressione del fondamentalismo globalista
(…) che schiaccia e
annienta ogni cosa”, anche la memoria e
l’immaginario.
“Memoria”
è un’altra parola chiave di questo
viaggio e nella sua sfera semantica si ritrovano i ricordi del poeta
legati al
padre emigrante, vittima della persecuzione fascista, e la rievocazione
di
figure rivelatesi fondamentali per la sua formazione intellettuale e
umana; fra
queste ultime risalta quella di Antonio Adami “un pacifista
assoluto. Uno che
combatteva, ma disarmato”; accanto a lui
“l’eretico” Fortini, “apostoli
del
nuovo” come padre Turoldo e il filosofo tedesco Ernst Bloch,
conosciuto ad
Asolo nel 1964: un incontro che “significò
qualcosa di basilare, di essenziale”
dice Zanzotto di questa esperienza.
Proprio
la rievocazione di Bloch
e del suo “principio speranza” sembrano essere la
naturale introduzione al
terzo capitolo Tra
storia e memoria,
dove viene dato rilievo alla natura storiografica della poesia, in
quanto essa
“comunica un presente reale”, è voce del
tempo storico, del tempo geologico
(“un passato remotissimo”) e del tempo futuro. Come
esplicita lo stesso poeta:
“...è da dire che soltanto se
c’è una speranza che qualcosa duri e abbia a
valicare le curve del futuro, si ha l’atto poetico”.
La
‘necessità’ della poesia è
costante di tutto il volume e, nel capitolo successivo, Breda invita il
nostro
a esprimersi sull’accostamento fra poesia ed esperienza
mistica, regalandoci
così una dichiarazione ‘assoluta’ di
Zanzotto, quasi un manifesto esistenziale:
“Credo che l’esperienza poetica sia una cosa
diversa, che sta per conto
proprio. Nasce da un atto d’amore verso al realtà
(…) un atto d’amore verso la
bellezza e la bontà”.
Più
avanti, dialogando di
linguaggio e psicanalisi, il poeta risponde ad un’altra
sollecitazione di Breda
che sottolinea l’apparente legame fra molta poesia italiana e
la contemplazione
del dolore, un ripiegarsi e nutrirsi nella sofferenza; Zanzotto allora
chiama
in causa Rilke, riferendosi, invece che al dolore, allo stato di
perpetua
esaltazione e meraviglia proprio dell’arte e cita
“l’ossessiva mira” di cui
parlava Ungaretti per disegnare con le parole il movimento in avanti,
verso
l’altrove, della poesia.
Nell’ultimo
capitolo, intitolato Eros,
Zanzotto, come a far fronte al
moderno delirio di onnipotenza e chiedendosi se sia possibile
“dire ancora
‘amore’, ‘anima’,
‘entusiasmo’”, postula una rinominazione
dell’emozionalità,
possibile attraverso l’ansiosa ricerca che porta avanti la
poesia (oasi
salvifica) e l’inestricabile contraddizione che essa
rappresenta.
A
testimonianza di ciò, il volume
presenta anche degli inediti poetici, versi enigmatici e vigili come il
loro
autore:
Che allucinatoria disposizione
assume il verde nel gran prato estivo
percorso da tre serpi di fieno in taglio vivo
zenit terreno, tangibile passione?
***
[10 febbraio 2010]
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