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Beatrice Sica, Poesia surrealista italiana
Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2007, pagg. 289, s.i.p.

Luca Lenzini

Mentre c’è chi, come Jean Clair, si adopera in esercizi di revisionismo sulle avanguardie, Breton ed il Surrealismo francese, ecco un’ampia e ben curata antologia dedicata alla Poesia surrealista italiana che offre testi e strumenti utili a valutare, entro un quadro storicamente consapevole, alcune significative esperienze poetiche del nostro Novecento, non senza elargire qualche piacevole sorpresa. Se poi il lettore stanco delle mille etichette escogitate, lungo il Secolo Breve, sia dalla critica sia dagli stessi artisti, avesse dei dubbi sul titolo così categorico esibito dal libro, basterà a rassicurarlo l’Introduzione della curatrice, dove ne è subito chiarita la prospettiva: «Durante la sua vicenda novecentesca – scrive Sica (p. 9) - la poesia italiana è stata percorsa da una tensione al surreale che ha avuto diverse ragioni e ha trovato esiti diversi, variamente incoraggiata, nel tempo, tra paure e attrazioni, ripulse e amori suscitati dall’ipotesi di un abbandono al flusso automatico della parola.»
Dunque non è di un Movimento ma di una «tensione» e dei suoi esiti plurali che qui si fa storia e documento, ed è quel che sinora mancava in un panorama critico più attratto dai “manifesti” (ovvero dalle intenzioni) che dalla sostanza (la poesia). Nelle pagine introduttive, volte a tracciare la ricezione in Italia del surrealismo francese, le “poetiche dominanti” forniscono la cornice del discorso, mentre la Premessa ai testi argomenta scelte e partizioni dell’antologia, che dagli anni del Futurismo si spinge sino alla fine dei Sessanta. Tre le campate in cui sono adunati i testi, partendo da Campana e Soffici per giungere a Scabia e Albertazzi: Avanguardia storica, Ermetismo e postermetismo, Neoavanguardia e parasurrealismo. Date le premesse “pluralistiche”, vale per la triplice gabbia il beneficio d’inventario; e quanto ai singoli testi, non è forse un caso che tra le proposte più interessanti siano alcuni autori eccentrici e difficilmente classificabili come Jacobbi, Bodini, Delfini, Villa, Scabia: più che nell’analogismo di ambito “ermetico” o nella deregulation programmatica dei “neoavanguardisti” di stretta osservanza, è in questi irregolari che sembra brillare qualche bagliore dell’oltranza e dello spirito di emancipazione (intrinseco alla Modernità) del movimento originario, a sua volta assai più efficace quanto a risultanze nella pittura e nel cinema che non nella letteratura. Sarà poi vero che la «naturale capacità armonizzante» della tradizione italiana, e la sua «memoria di paese classico», secondo un luogo comune riportato - non però acriticamente - dalla curatrice, da noi abbiano fatto prevalere la «parte della ragione» sui messaggi provenienti dal «buio» (p. 49); ma a leggere di seguito l’antologia non sembra che la parte della «ragione» sia poi così coercitiva, mentre si avverte piuttosto il peso di un gusto tutto letterario e di un pregiudizio lirico che suonano convenzionali anche quando l’io poetico è addobbato alla moda.
Si era capito: breve fu la stagione di Perelà. Bene perciò ha fatto Sica a porre a suggello del suo libro alcuni versi da Via delle cento stelle del vecchio Aldo Palazzeschi; ed a ricordarci, nell’Introduzione, la battuta di Delfini, che una volta, richiesto da Bodini del perché non ci fosse un surrealismo in Italia, rispose: «Perché l’italiano ha la coda di paglia.» (e quanto lunga…) Si estragga allora da Per la nostra educazione umana quest’impertinente quartina, sperando qualche writer metropolitano, nei nostri tempi conformisti e revisionisti, se ne appropri: «C’è un generale che stabilisce i blocchi stradali / c’è una stufa che scoppia e matura dei cachi: / moriran come bruchi i giornalisti maiali / ingoiando la vita condita coi bachi.»

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