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Giuliano Scabia,
Il tremito.
Che cos’è la poesia?
Bellinzona,
Casagrande, 2006, 93 pagg., e. 11,50
Luca Lenzini
Ci sono libretti di poche
pagine, raccolte un po’ casuali di conferenze, appunti,
riflessioni, che sanno trovare il tono giusto per parlare di quella
cosa chiamata “poesia” meglio di tanti saggi che si
danno importanza a colpi di analisi specialistiche e di straordinari
approcci di nuovo conio. Non necessariamente, ma facilmente quei
libretti sono opera di poeti che vi fanno confluire la propria
esperienza, in dialogo con altri poeti o, più semplicemente,
con quanto per un attimo (o per una vita) ha fermato la loro
attenzione. È il caso di Il tremito di
Giuliano Scabia, autore che non è affatto confinabile
nell’immagine, per quanto accreditata, di
teatrante-avanguardista (anzi di «uno dei padri fondatori del
nuovo teatro italiano», come a ragione ci rammenta la quarta
di copertina) e che può ormai vantare un buon numero di
raccolte poetiche e di libri di narrativa, da Nane oca
a Opera della notte e Le foreste sorelle
(Einaudi), tappe di una ricerca in progress non per caso sfuggente alle
definizioni della critica. Nel Tremito si parla
di Cosa sarebbe il mondo senza bambini animali e piante,
di Tarkovskij e Nievo, della «gallina padovana» e
di San Francesco, Rigoni Stern e Zanzotto (un piccolo capolavoro
è poi L’apparizione di Borges);
e se le domande che forniscono il tema ai testi sono ben impegnative (Chi
è la voce?, Chi è il
narratore?; e si veda, del resto, lo stesso sottotitolo del
libro), l’angolazione di Scabia – scriva in versi o
in prosa - è sempre obliqua e inventiva, ancorata a
situazioni e luoghi determinati, mai astratta o pedante, come si
conviene ad uno abituato a andare Per sentiero e per foreste
(così s’intitola un brano del libro,
più di altri rivelatore). Attento alle voci plurali del
mondo, al «grande racconto» che in mille forme gli
si propone, passo dopo passo, il camminatore ci consegna la preziosa
immagine, elusiva eppure astante, concreta e visionaria, di una poesia in
itinere e di un teatro come lingua vivente che si spiegano e
svelano mentre accadono all’aperto, con gioia, sotto i nostri
occhi.
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