home> recensioni> Sulla "dignità dell'ateismo". La Teologia portatile di d'Holbach

Sulla "dignità dell'ateismo". La Teologia portatile di d'Holbach
 

Massimo Cappitti
 

«Anatemi. Caritatevoli imprecazioni che i ministri del dio di pace lanciano contro coloro che loro dispiacciono, destinandoli, per il bene delle loro anime, a supplizi eterni, ogniqualvolta non possano in alcun modo far subire ai loro corpi dei supplizi temporali».

Paul–Henri Thiry d'Holbach

 

Scrive d'Holbach nella Teologia portatile – ripubblicata recentemente da Gammarò Editori con la traduzione e la cura raffinata e rigorosa insieme di Tomaso Cavallo1- che è dovere dei preti, se «lo giudicano necessario al bene della religione», «tormentare, esiliare, bruciare» tutti coloro che non hanno a cuore la propria salvezza, «che sono fuori dal cammino che vi conduce»2 e, peggio, possano sviare e corrompere gli altri, insegnando loro a dubitare delle stravaganze della teologia alimentate dall'impostura sacerdotale. Questo tema, ovvero la violenza della chiesa e dei suoi rappresentanti, ritorna con insistenza nelle diverse e numerose voci che compongono il testo, un piccolo dizionario della religione cristiana, come recita il sottotitolo, aperto dalla voce Abate e chiuso dalla voce Zelo. Genere – il dizionario – amato, come ricorda Cavallo nella sua introduzione, dagli illuministi, poiché consente di unire felicemente al rigore dell'ordine alfabetico e alla lapidarietà dei singoli lemmi l'ambizione alla compiutezza enciclopedica.
Apparsa clandestinamente nell'estate del 1767, la Teologia rappresenta una risposta volta a volta intrisa di ironia corrosiva, di sarcasmo amaro se non di aperto disprezzo, ai difficili anni '50, agli anni cioè della «repressione culturale e governativa»3 che aveva colpito gli intellettuali illuministi costringendoli ad assumere posizioni moderate e prudenti. La Teologia, quindi, precede di pochi anni Il buon senso, dove d'Holbach estende la critica radicale alla religione e alle sue istituzioni, all'idea stessa di dio di cui evidenzia una ineliminabile e duplice contraddittorietà. Logica, perché di dio i teologi fanno affermazioni tra loro in contrasto e, quindi, inconciliabili4 e, soprattutto, etica perché la presenza evidente del male nel mondo confligge con l'immagine di un dio onnipotente, buono, premuroso nei confronti del genere umano che, invece, appare straziato dalla negatività e dalla disperazione. Da qui, dalla constatazione, cioè, di una sofferenza estrema e immedicabile, lo scacco di ogni tentativo di spiegare e giustificare l'operato divino.
Prima di Kant e con argomentazioni che sembrano anticipare Nietzsche e Ivan Karamazov, d'Holbach porta alla luce e denuncia i limiti di ogni teodicea, ossia di ogni posizione che pretenda di assolvere dio dalle sue responsabilità rispetto alla presenza e alla persistenza del male nella sua creazione5.Se, infatti, i preti garantiscono che dio «vede tutto», che la sua provvidenza, seppur imperscrutabilmente, opera perché si realizzi il meglio, tuttavia l'esperienza dimostra che egli «non rimedia ad alcun male»6.C'è pertanto, una sproporzione tra i fatti e i piani divini: la tragica incompiutezza e l'ineliminabile precarietà delle vicende umane mostrano, inequivocabilmente, i limiti della progettualità di dio. Egli «si adira molto di essere offeso, e tuttavia mette ognuno in condizione di offenderlo. Ammiriamo la sua sapienza, la sua perfezione che si rivela nelle opere, eppure le sue opere sono piene di imperfezioni, sono di breve durata»7.

Attraverso domande che si susseguono senza sosta, riversandosi a cascata sui lettori, l'autore contesta le tradizionali posizioni della teologia. Dio appare, allora, un «essere onnipotente che non compie mai ciò che desidera»8. Ne sono testimonianza «il male, le imperfezioni, la follia» che scaturiscono «da una causa che ci dicono piena di bontà, di perfezioni, di saggezza»9.
Anche quando, come fanno i preti, si voglia attribuire la responsabilità del negativo alla peccaminosità umana, resta da chiedersi perché un essere perfettissimo abbia tratto dal nulla e, soprattutto, abbia potuto e voluto dar vita a creature così fallibili, quasi godesse di irriderle e metterle alla prova per saggiarne i limiti che lui stesso ha posto loro10. Infatti, sottolinea d'Holbach, «se dio stesso non ha potuto rendere impeccabile la natura umana, con quale diritto punisce gli uomini per i loro peccati?»11 e «come egli potrebbe punire degli esseri che soltanto da lui sarebbe dipeso correggere, e che, non avendo ricevuto la grazia, non possono agire altrimenti da come agiscono?»12. Infine, rimane, invalicabile obiezione alla bontà e alla saggezza divine, la sofferenza «inutile», la sofferenza degli innocenti, che permea e segna l'intero vivente, destinandolo a un dolore privo di redenzione, definitivo e assoluto13.

 

«Santi rigori» e «salutari crudeltà»

Nella Teologia portatile non mancano i cenni al dio «vendicativo e rancoroso» che tende «trappole agli uomini» per poi «punirli per esservi caduti»14 o che decide, senza ragione, di riservare agli uni la salvezza e agli altri la dannazione eterna. Tuttavia, in questo testo, d'Holbach prende di mira i crimini sacerdotali: le «sacre macellerie» e le «compulsioni», ovvero quelle «gentilezze piuttosto insistenti»15 di cui i credenti amano servirsi per condurre o ricondurre alla fede coloro che ne sono privi. I cristiani ambiscono a «vivere nella miseria, nell'indigenza e tra le lacrime», la religione esige «che i preti disputino tra loro e i loro seguaci si combattano, che i popoli siano sventurati in questo mondo, onde essere felici nell'altro»16. Esiste pertanto una frattura insuperabile tra il tempo umano della caduta e l'eternità, tra il mondo presente e l'aldilà, dove il primo è, nichilisticamente, consegnato al disprezzo e all'irrilevanza perché caduco e insensato a fronte di un più completo appagamento riservato, nel mondo «di lassù», agli eletti17.
La funzione dei preti è quindi instillare negli uomini questo disprezzo e rinfocolare le loro paure. Empio, allora, e buono da bruciare, «al fine di impedire che altri imitino il suo modo di pensare»18,è chi manifesti una cattiva opinione del clero, ne metta in dubbio, cioè, ragioni e comportamenti.

In tal caso, la chiesa non si fa alcuno scrupolo a usare la violenza più estrema. Di qui «la santissima inquisizione, i suoi roghi, le sue torture, gli esilii, gli imprigionamenti, i formulari, le bolle etc che, come si sa, rimediano perfettamente agli errori impedendo loro d'estendersi»19. Violenza, però, come nota con ironia d'Holbach, esercitata sempre per garantire il bene di chi la subisce, praticata con «dolcezza evangelica», che instilla la fede «a forza di ingiurie, minacce e supplizi»20. Nella religione cristiana ciascuno si sente autorizzato a «immischiarsi nella coscienza del vicino e interessarsi vivamente alla sua salvezza»21, costringendolo, attraverso la «correzione fraterna», a emendarsi dalle colpe e a ripudiare i suoi errori. La storia della chiesa è, allora, storia di massacri, di persecuzioni, dei tentativi, sempre rinnovati, del clero di plasmare autoritariamente la società a propria immagine22. Nessuno può né deve sottrarsi alla tutela sacerdotale23: i sovrani «obbligati in ogni epoca a piegare le ginocchia davanti ai ministri di potenze ignote»24 e, soprattutto, il popolo.
A tal scopo, i preti perseguono l'obiettivo di «istupidire i popoli imbecilli»25, ossia di mantenerli in quello stato infantile – caratterizzato da «debolezza», «ignoranza» e «imbecillità» - che li rende docilmente disponibili ad accettare, senza discussioni, tutto ciò che i preti affermano. Diventano – i popoli -, cioè, pronti a credere a cose oscure «di cui nessuno capisce nulla». Infatti «le verità della religione non sono mai sentite meglio che da coloro che sono incapaci di ragionare»26.
Da questa persuasione prende corpo il «profondo disprezzo per la ragione profana», per il «buon senso», che permette di «conoscere le verità più semplici» e rifiutare le assurdità più manifeste»27, ovvero ciò che appare incomprensibile e privo di fondamento. La religione nasce e si fonda sulla paura e sul «meraviglioso», su «ciò che non si può comprendere»28. L'ignoranza delle vere cause degli eventi porta gli uomini a immaginare presenze soprannaturali che agiscono secondo piani misteriosi di cui i sacerdoti pretendono di detenere l'interpretazione esclusiva.
L'esercizio della ragione, che rivela l'inconsistenza e la vacuità delle spiegazioni sacerdotali, diventa così una intollerabile minaccia per la sopravvivenza della chiesa. L'uscita dalla «minorità», come avrebbe scritto Kant, consiste nel diffidare di tradizioni e credenze consolidate giacché l'antichità di un'opinione non è affatto garanzia della sua validità.

Non solo, «se gli uomini si persuadessero che bisogna essere dolci, umani, indulgenti, giusti, non si vedrebbero più discordie, intolleranza, odii religiosi, persecuzioni, schiamazzi, così necessari al sostegno del potere della chiesa»29. Sottrattisi al giogo oppressivo e opprimente del clero, emancipati dal dispotismo politico che si fonda su quello religioso, gli individui, finalmente, tornano ad affidarsi alla loro coscienza. Questa costituisce «la testimonianza interiore, che noi diamo a noi stessi, di aver agito in modo da meritare la stima o il biasimo degli esseri con i quali viviamo»30.
Scompare, in d'Holbach, ogni riferimento a un principio trascendente che guidi e orienti le scelte umane. Anzi, proprio la consapevolezza dell'inaffidabilità – se non della malignità – di dio e della sua provvidenza che si beffa del genere umano, unita alla persuasione che la teologia consiste nell'«ingarbugliare» le idee e la metafisica presume di insegnare «cose bellissime» di cui i sensi non «forniscono neppure una pallida idea»31, spinge a cercare nel mondo di «quaggiù», l'unico senso possibile e accessibile agli uomini.

 

«La dignità dell'ateismo»32

Dalla pretesa di incarnare la verità deriva la percezione dell'altro come nemico, spogliato di ogni dignità, cui è legittimo muovere guerra. Infatti, l'esistenza dell'assoluto, il «fatto stesso di credere in uno scopo più alto» permette, come osserva Žižek, «di strumentalizzare gli individui», di vincerne «gli scrupoli morali» e, in tal modo, spingerli ad uccidere altri esseri umani per soddisfare una «causa sacra»33. Paradossale, allora, appare la scelta di affidare alle religioni, ovvero ai responsabili delle violenze che tormentano il mondo, il compito di sanare il male da loro stessi prodotto. Si tratta, piuttosto, di rovesciare l'idea dostoevskijana secondo la quale «se dio non esiste, allora tutto è permesso». All'opposto, proprio l'esistenza di dio legittima e giustifica le violenze esercitate in suo nome34. La religione, lungi dal garantire una pacifica convivenza mitigando la violenza, ne è, invece, «la segreta ispiratrice» e la «forza principale».
Restituire «dignità all'ateismo» significa sposarne la «consapevolezza dell'amaro esito di ogni vita umana» dal momento che «non esiste alcuna autorità superiore che badi al nostro destino e ci garantisca un esito felice»35.

Ritrovare, come sottolinea d'Holbach, nella coscienza che ci lega agli altri il movente del nostro agire implica, allora, in assenza di un valore trascendente di riferimento, l'assunzione – dolorosa e problematica – della nostra responsabilità. Comporta, al contempo, la persuasione che, se vulnerabilità e finitezza costituiscono i tratti peculiari della condizione umana, determinandone l'invalicabile tragicità, tuttavia, solo il riconoscimento della loro universalità può consentire l'edificazione di una comunità libera dalla tirannia degli assoluti.

 

 

note

1. P-H. Thiry d'Holbach, Teologia portatile ovvero piccolo dizionario della religione cristiana, Gammarò Editori, Sestri Levante (Ge) 2008. Rinvio, per approfondire la storia del testo, all'introduzione di T. Cavallo, Dizionari settecenteschi e polemica antireligiosa: Voltaire, d'Holbach e le “forbici” di Diderot, pp. vii-xxix.

2. Ivi, cit., p. 10.

3. T. Cavallo, Introduzione, cit., p. ix.

4. «La teologia potrebbe a giusta ragione esser definita “la scienza delle contraddizioni”. Ogni religione non è che un sistema immaginato per conciliare delle nozioni inconciliabili». (P-H. Thiry d'Holbach, Il buon senso, a cura di S. Timpanaro, Garzanti, Milano 1985, p. 100). Si rinvia alla bellissima introduzione di Timpanaro per approfondire le posizioni di d'Holbach. (pp. vii-lxxv)

5. Scrive, ad esempio, «dio può tollerare l'ingiustizia anche per un solo istante? Permettere il male che si può impedire significa dare il proprio assenso a che il male venga compiuto». (Ivi, p. 76). Qualche riga prima, d'Holbach aveva scritto che «questo indugiare di fronte a un male di cui si è a conoscenza è prova o di debolezza, o d'incertezza, o di complicità». (ibidem)

6. Ivi, p. 12.

7. Ibidem.

8. Ivi, p. 23.

9. Ivi, p. 33. Cfr. anche la voce Natura nella Teologia portatile, dove si legge: «È opera meravigliosa di un dio saggio onnipotente e perfetto; e tuttavia la natura si è corrotta, volendola dio così, al fine d'avere qualcosa con cui divertirsi e adirarsi». (Teologia portatile, cit., p. 91)

10. Cfr., tra le molte, la voce Mortificazioni in  Teologia portatile, cit., pp. 89-90, dove si legge che «non è assolutamente concesso d'uccidersi d'un sol colpo: ciò potrebbe impedire il piacere che il buon dio prende se le nostre sofferenze durano a lungo». (p. 90)

11. Id., Il buon senso, cit., p. 61.

12. Ivi, p. 66.

13. «Sotto un dio infinitamente buono e potente, è mai possibile concepire che un sol uomo possa soffrire?». (Ivi, p. 50). O ancora, per citare solo alcuni dei numerosi esempi, «da quali indizi gli uomini possono riconoscere la tenerezza di un padre che ha dato la vita ai suoi figli solo perché trascinassero sulla terra una vita penosa, agitata e piena di amarezze?». (Ivi, p. 79). Cfr. anche la voce Bontà nella Teologia politica: «È vero che, malgrado la sua bontà, ci fa o permette che ci si faccia del male; ma questo non prova nulla: per i suoi preti è sempre buono e questo deve bastarci». (p.33)

14. Id., Teologia portatile, cit., p. 70.

15. Ivi, p. 41.

16. Ivi, p. 11. Del resto, «le sofferenze e le sventure sono le vere strade della salvezza». (ibidem)

17. «Consolazioni. La religione cristiana fornisce infinite consolazioni ai devoti: li consola dei mali e delle tribolazioni di questa vita insegnando loro che hanno a che fare con un dio buono che li castiga per il loro bene in questo mondo perituro e che, per un effetto della sua divina tenerezza, potrebbe avere la fantasia di cuocerli in eterno, il che è molto consolante per i freddolosi». (Ivi, p. 43)  Cfr. anche la voce Abnegazione. (p. 21)

18. Ivi, p. 16. Poco prima d'Holbach aveva scritto «È senza dubbio parte del discorso della provvidenza che gli uomini siano sempre malvagi perché le loro guide spirituali abbiano sempre il piacere di predicare e di essere eternamente pagati per le loro istruzioni eterne». (p. 13)

19. Ivi, p. 16.

20. Ivi, p. 54.

21. Ivi, p. 44.

22. Cfr. ivi le voci, ad esempio,  Autorità ecclesiastica (p. 29) e Braccio secolare (p. 33).

23. «Nulla è più criminale che resistere ai ministri del Signore, nulla è più presuntuoso che volersi porre sullo stesso piano con loro, nulla è più temerario che pretendere di giudicare o sottomettere uomini interamente divini a leggi umane». (Ivi, p. 8)

24. Ivi, p. 6.

25. Ivi, p. 78.

26. Ivi, p. 89. Nella voce Cervello si legge «per essere un buon cristiano è importantissimo non avere cervello, o averlo angusto il più possibile». (p. 38).  Cfr. anche la voce Follia. (p. 63)

27. Id, Il buon senso, cit., p. 3.

28. Id., Teologia portatile, cit., p. 86.

29. Ivi, p. 14.

30. Id, Il buon senso, cit., p. 176.

31. Id., Teologia portatile, cit., p. 87.

32. Rinvio alle considerazioni di S. Žižek, La violenza invisibile, Rizzoli, Milano 2007, pp. 136-142. Mi sembra fondamentale il rilievo dato da Žižek alla ripresa della «tradizione materialistica» e della visione ateistica. Tema al quale, in questo breve paragrafo conclusivo, ho potuto solo accennare. In questa sede non sarebbe stato possibile svilupparlo ulteriormente.

33. Ivi, p. 138.

34. Riprendo  Žižek, cit., p. 139.

35. Ivi, p. 141.

 

[1 febbraio 2009]

home> recensioni> Sulla "dignità dell'ateismo". La Teologia portatile di d'Holbach