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Massimo Rizzante,
Non siamo gli ultimi. La letteratura tra fine
dell'opera e rigenerazione umana
Milano. Effigie,
2009, pp. 126.
Simona Carretta
Ultime notizie dal regno di
Literaturistan. Questo è il nome con cui nel saggio Non siamo gli ultimi.
La letteratura tra fine dell’opera e rigenerazione umana Massimo Rizzante
designa ciò che resta oggi della letteratura– e dell’umanità che ne è plasmata
–, dopo la «fine della Repubblica delle Lettere». Questa svolta sembra essere
segnata dalla disgregazione di quei valori che fino alla metà del secolo scorso
la letteratura era ancora in grado di riconoscere e proteggere: promuovere
l’opera «come luogo di apprendimento per la vita» e non come semplice strumento
di evasione; comprendere gli obiettivi cognitivi che contraddistinguono le varie
arti letterarie e che ne scandiscono la loro storia; valorizzare i «limiti» di
ogni arte, ovvero puntare sulla specifica missione conoscitiva che differenzia,
ad esempio, il romanzo dalla poesia o dal saggio, e che ne costituisce così la
sua raison d’être. Nel regno di Literaturistan, secondo Massimo
Rizzante, ciò viene negato dall’attuale tendenza a confondere tutti i generi
letterari nell’unico e vago concetto di «scrittura» (annacquata eredità della
critica e del pensiero filosofico degli anni Sessanta), a cui tutti ormai si
dedicano nella più completa ignoranza del patrimonio costituito dalla tradizione
delle singole arti. Altro valore in declino nella «ex Repubblica delle Lettere»,
celebrato da Rizzante in diversi capitoli del suo libro, è l’attenzione rivolta
all’invenzione formale, all’arte della composizione, che permette al romanzo di
scoprire sempre nuovi aspetti dell’esistenza e che oggi invece risulta
trascurata dagli autori, a profitto esclusivo del plot. Si tratti di
cronache di vita vissuta che giovani autori confessano nei cosiddetti romanzi
generazionali o di peripezie di maghi e folletti, è soprattutto l’intreccio, la
trama ad attirare i lettori, al punto che Il Signore degli anelli, fino a
qualche decennio fa ritenuto semplicemente un bel libro per l’infanzia, è ormai
considerato «l’opera letteraria del XX secolo». Così vanno le cose all’epoca
della «fine dell’opera»: la progressiva scomparsa dei criteri che un tempo
regolavano il rapporto tra gli individui e la letteratura avviene parallelamente
a un processo di infantilizzazione della società; la riduzione dell’opera da
termine di confronto a semplice «décor» priva l’umanità della possibilità
di rapportarsi alla sua storia, condannandola a un «eterno presente». Non
siamo gli ultimi ripropone alcuni temi già affrontati dall’autore nelle sue
due raccolte di poesia Lettere d’amore e altre rovine (Biblioteca
cominiana, 1999) e Nessuno (Manni, 2007), e nel suo precedente saggio sul
romanzo, L’Albero (Marsilio, 2007). Se in quest’ultimo Rizzante tentava
di tracciare una mappa estetica del romanzo europeo ed extraeuropeo secondo una
prospettiva sovranazionale, in Non siamo gli ultimi l’obiettivo
principale sembra essere quello di una perlustrazione della società
contemporanea, condotta tuttavia sempre alla luce rischiarante del romanzo. Nel
capitolo che chiude la prima delle tre parti che compongono il saggio, Rizzante
spiega che il destino di immaturità che incombe sugli uomini, ancor meglio che
da Freud, era stato pronosticato come possibilità umana nei romanzi di Svevo e
Gombrowicz. Così, davanti alla progenie di «infantosauri» – questa
«specie che non sarà mai adulta fino al giorno della sua creazione» – che popola
il mondo contemporaneo, Rizzante si rende conto che quella che si sta
manifestando è solo una delle tante possibilità esistenziali che l’uomo ha
scelto di esplorare. Così non manca di ricercarne altre, da contrapporre come
antidoti. Nelle pagine dei Beati anni del castigo di Fleur Jaeggy, ad
esempio, la stessa struttura compositiva dell’opera, modellata sulla «forma del
ricordo», è indice della capacità di rielaborare in maniera essenziale il
passato e chiave per la salvaguardia dell’identità individuale; in quelle di
Second adieu di Sylvie Richterová, scrittrice ceca di stanza in Italia
dall’epoca della Primavera di Praga, i personaggi romanzeschi, tutti esuli in
continuo pellegrinaggio da una parte all’altra del mondo, sono alle prese con la
stesura della loro biografia, dimostrando così di non poter rinunciare alla
sfida di ricomporre in maniera unitaria un’esistenza altrimenti destinata a
risultare frammentaria e disgregata. Non a caso la seconda sezione di Non siamo
gli ultimi, i cui capitoli sono quasi interamente dedicati all’analisi di questi
romanzi-antidoti, è intitolata Il fiore inosservato della bellezza.
Rizzante sembra suggerirci che il rimedio per sottrarsi alla tirannia del
proprio tempo che assedia i «figli dell’eterno presente», consiste nel non
avvalersi della letteratura come di uno specchio da cui attendersi semplice
conferma di ciò che già sappiamo, di ciò che già siamo, né di ergersi a giudici
dei desideri umani, per quanto questi sembrino rovinosi, ma, al contrario, di
addentrarsi nelle opere letterarie come nei meandri di un tunnel, alla ricerca
dei nuovi modi di interrogarsi dell’uomo.
[2 febbraio 2010]
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