home> recensioni> Carlo Muscetta, L'erranza. Memorie in forma di lettere

Carlo Muscetta, L'erranza. Memorie in forma di lettere

a c. di S.S. Nigro, Sellerio, Palermo 2009, pp. 306, euro 18,00.


Lorenzo Giustolisi

«“Lei chi è?” spio il carrabbineri. “Sono il ragionier Muscetta”».
Non è un passo dell’Erranza che si sta citando. Il ragionier Muscetta non è altri che il commissario Salvo Montalbano, in vena di “babbiare”, fermato a un posto di blocco dei carabinieri, nell’ultimo romanzo di Andrea Camilleri, La danza del gabbiano (pubblicato da Sellerio nel giugno 2009, quasi in contemporanea col libro che qui si recensisce). Tra le decine e forse centinaia di migliaia di lettori del romanzo di Camilleri – tra quelli che non hanno mai sentito nominare Carlo Muscetta, beninteso –  a qualcuno capiterà senz’altro, avendo memorizzato il passaggio citato in qualche angolo del cervello, entrando in libreria, di trovare tra le eleganti copertine blu dei bei volumi Sellerio quel nome, Muscetta, e di acquistare, o almeno di sfogliare, le 306 pagine dell’autobiografia del critico irpino.
Sospettare di Nigro, curatore dell’Erranza ed autore dei ricercati risvolti di copertina dei gialli di Camilleri, per questa strategia editoriale piuttosto scoperta, è fin troppo facile; in vena di babbiare sono in realtà proprio i due numi della casa editrice palermitana, lo scrittore e il critico, Camilleri e Nigro, e forse si sarebbe divertito anche Muscetta a leggere il suo nome nelle pagine dell’autore di gran lunga più venduto dell’ultimo decennio. Carlone e le sue maschere è il titolo dell’introduzione di Nigro a L’erranza, e chi non tenga conto degli aspetti estrosi, satirici, stravaganti della figura e della scrittura di Muscetta si perderebbe un aspetto importante, ancorché parziale, del suo profilo.
Per completare i contorni e le circostanze di questa ripubblicazione dobbiamo fare il nome di un terzo siciliano, Sciascia: nel ventennale della morte dello scrittore (1989), e nel quarantennale della casa editrice (1969), Sellerio pubblica l’autobiografia del critico che definì Sciascia “letterato di mafia”. Annunciata fin dal 2004, anno della scomparsa dell’autore, l’opera di Muscetta deve attendere degli anni, nei cassetti di Nigro, l’occasione di questo doppio anniversario. Anche se va detto, per chiudere finalmente queste premesse, che del feroce scontro con Sciascia nell’Erranza non c’è quasi traccia1.

Ripubblicazione, abbiamo detto, de L’erranza: sì, perché l’opera, col titolo privo dell’articolo: Erranza, era uscita in 300 copie fuori commercio per le edizioni del Girasole di Valverde (Ct), nel 1992, nell’occasione dell’ottantesimo compleanno dell’autore. Già questa circolazione per pochi iniziati bastava a rendere necessaria una ripubblicazione, nonché il bisogno delle cure filologiche ed editoriali prestate da Nigro e puntualmente indicate nella Nota editoriale che conclude il volume. La quale nota, per la verità, non dà spiegazioni dell’avvenuto cambiamento del sottotitolo: da Autobiografia in forma di lettere a Memorie in forma di lettere. Né si spiega, per continuare questi minimi appunti, nell’indice del volume Sellerio, il mancato accompagnamento del titolo delle quaranta lettere con i rispettivi immaginari destinatari, cosa che nella edizione del Girasole c’era e permetteva di farsi una prima idea degli interlocutori, pubblici e privati dell’ottuagenario che ripercorre la propria vita2: Antonio La Penna, Giorgio Caproni, Natalia Ginzburg, Luigi Pintor, Luigi Cortesi, Franco Fortini, Dario Fo, solo per fare alcuni nomi.

Con L’erranza, per  ammissione dello stesso autore nell’ultima lettera del volume, Autopsia fatta da esso – quella indirizzata baudelairianamente al lettore, alle pp. 285-287 –  Muscetta non è approdato al capolavoro. Non se ne preoccupa, e credo che non dovremmo preoccuparcene neanche noi, tanto il libro di cui parliamo è ricco e importante e di piacevole lettura.
Tra le ragioni del mancato capolavoro, se vogliamo usare questo termine un po’ vago e impreciso, mi sembra di poterne indicare una. Muscetta recupera ripetutamente brani provenienti da suoi vecchi scritti, molte volte dichiarandolo, ma altrettante in maniera nascosta. Succede così che chi abbia fresca la lettura dei saggi più giustamente celebri avverta una sorta di artificiosità che non è riuscita a farsi nuovo e autonomo tessuto vitale. E questo aldilà dell’evidente mancato lavoro di revisione dell’edizione del 1992.  Faccio un paio di esempi: la lettera 14, Via Trinità Maggiore, indirizzata a Benedetta Craveri, nipote di Benedetto Croce, si conclude con la descrizione della tumulazione della salma del filosofo e riprende quasi per intero le parole conclusive de I funerali di Croce, del 1952; la lettera a Giuseppe Giarrizzo sullo Zio garibaldino riporta quasi interamente l’omonimo titolo raccolto nel volume di ritratti meridionali; ma sono svariati i casi in cui frammenti di lettere, di saggi più o meno noti, di articoli, verbali di discussioni politiche vengono inseriti nella trama del libro, in un tentativo di consegnare un’immagine coerente di un percorso di vita. Non c’è quasi esperienza o scritto che Muscetta non cerchi di recuperare qui. Ed è questa la ragione per cui L’erranza potrebbe essere la migliore introduzione per chi non ha letto nulla di Muscetta, le cui ricostruzioni storiche sono per lo più attendibili e circostanziate, sia dei fatti pubblici sia dei percorsi personali, e del loro intrecciarsi, cosa che è poi la più attraente nel genere dell’autobiografia. Sono “anni interessanti”, per usare il titolo dell’autobiografia di un altro grande vecchio, lo storico inglese Hobsbawm. Dall’infanzia avellinese, in cui è evidente il richiamo alla Giovinezza desanctisiana, attraverso i passaggi del rapporto conflittuale con i maestri Croce e Russo, l’acquisizione di una coscienza antifascista, la Resistenza, le esperienze nel PCI alle quali non ha caso è riservato lo spazio maggiore (lettere a Mario Socrate, Franco Fortini e Franco Venturi), il 1956, l’inizio dell’erranza politica di un comunista libertario mai pentito, i viaggi tra Catania, Roma e Parigi fino al presente “carnevalesco” dello scrittore – per usare una categoria del suo Bachtin – , un 1992 che è quasi l’alba di un nuovo e non certo migliore mondo, dopo la fine del secolo breve.

Due considerazioni devono mitigare il giudizio di non completa approvazione fin qui espresso: la prima è che quella che ho definito artificiosità – o forse meglio mancanza di organicità – rimane, nella penna di uno scrittore come Muscetta, a un livello di scrittura e capacità narrativa molto elevato che mai stanca e spesso diverte, sempre infinitamente superiore al novanta per cento delle cose che a ognuno di noi capita di leggere. Muscetta è uno scrittore vero, serio, oltre a essere un saggista brillante; la seconda, e più importante, è che il tentativo di composizione unitaria – l’immagine che si consegna ai posteri – si scontra con una controspinta altrettanto forte, ed è di questa tensione che vive il libro. Il libro si intitola L’erranza, un titolo che aldilà del riferimento dantesco e ariostesco, è fortemente novecentesco e rimanda all’ulissismo del poeta del Novecento più caro a Muscetta, Umberto Saba. Una linea di inquietudine lo pervade, il senso di un vagare; questa personalità apparentemente solare ha un lato in ombra e dove invece la maschera ha il suo peso. Emerge la volontà di aderire agli aspetti più svariati della vita, che tende a sconfinare nel vitalismo, con il suo contraltare, la depressione. Muscetta non è semplicemente il critico vicino al PCI, con la sua passione civile, la sua storia intellettuale comincia prima e finisce dopo il decennio di militanza attiva (1947-1957), ed ha una varietà di facce che meritano studio. E questo il lettore attento dell’Erranza lo capisce subito.
Si potrebbe ricordare il ruolo di primissimo piano svolto da Muscetta nelle più importanti case editrici italiane e di organizzatore culturale e editoriale, o citare i titoli dei suoi imprescindibili saggi su Belli, Boccaccio, Saba, Leopardi, De Sanctis; o ancora rammentare la presenza di questo professore con “malo carattere”, “accademico di nulla accademia” come amava ripetere col suo Giordano Bruno, nelle università di Catania e Roma oltreché Parigi; o la sua non marginale attività di traduttore e poeta.

Le recensioni a questa ripubblicazione non sono mancate. Senza bisogno di scorrerle tutte mi sembra si possano individuare due poli, dalla più intelligente e simpatetica, quella di Raffaeli, apparsa su «Alias» (n. 23, del 6 giugno 2009) col titolo Il realismo militante di un antidogmatico, alla più urtante, quella di Onofri, comparsa su «Tuttolibri» il 25 luglio 2009, intitolata Muscetta, critica alla garibaldina.
Anche nella prima c’è da notare qualche imprecisione, come quando, individuando correttamente in De Sanctis, Croce e Gramsci gli auctores muscettiani, Raffaeli considera questa «famiglia antidogmatica per nulla assimilabile allo storicismo». In realtà Muscetta, per non parlare di Croce e Gramsci, con lo “storicismo” ha molto a che fare e il tentativo di fondare uno “storicismo integrale” è una parte non secondaria della sua costruzione teorica, con tutte le ambiguità che il concetto porta con sé. Né dal punto di vista politico si può descrivere Muscetta – ma non è Raffaeli a farlo – come l’insofferente critico del partito togliattiano, tarpato nel suo utopismo e libero solo dopo il 1957 di esprimersi in piena autonomia. In realtà egli ha avuto un alto grado di condivisione di quel progetto politico e di quella cultura, allo stesso tempo perseguendo una sua idea di critica in aperta rottura con la rigidità che quella stessa cultura e il suo difensivismo portavano con sé. I dati sono compresenti. Muscetta non è Salinari ma non è neanche Fortini, giusto per dare delle grossolane coordinate e per citare due dei nomi che appaiono nello scritto di Raffaeli.
Su Onofri c’è poco da dire, il parallelo stabilito con Debenedetti è privo di mordente e serve solo per giungere alla conclusione che il critico piemontese si apre al futuro mentre Muscetta è sclerotizzato sul passato, che la sua è una storia vecchia. Che scrittore sarebbe riuscito Muscetta se non fosse stato rovinato dall’ideologia, se non avesse indossato la divisa di critico militante? Queste le domande di Onofri, di imbarazzante banalità, e che sottintendono una assimilazione tra critica e ideologia che in Muscetta è semplicemente assente. A questo punto L’erranza non basta più e bisogna tornare a leggere i saggi di Letteratura militante (1953, ma riedito da Liguori nel 2007) o di Realismo e controrealismo per mostrare come Muscetta leggeva gli autori a lui contemporanei, da Pavese a Levi, da De Filippo a Pratolini, fino al Chaplin di Luci della ribalta o ancora la produzione cinematografica di quegli anni (Cinema controrealista). O si capisce che dietro il metodo di Muscetta (criticabile per altri motivi, ad es. le ambiguità teoriche e politiche dello storicismo, ma non per questo) c’è il concetto desanctisiano di forma, e dunque nessuna sociologia della letteratura, o di queste cose è meglio non parlare. Eppure sarebbe bastato leggere un passaggio della prefazione di Nigro, in cui si dice che «Muscetta fece della critica una “letteratura militante”, politicamente impegnata sulle ragioni della critica e delle forme del testo, contro le sopraffazioni dell’ideologia e contro la passione fredda della “voce dall’alto” del Partito».

Ma non dobbiamo nasconderci dietro a un dito. Muscetta è stato certo un critico militante per il realismo, un gramsciano meridionalista, un partigiano della pace, un militante antifascista che ha pagato con la prigionia e rischiando la vita le sue scelte (cfr. la lettera 21, Il gradino per diventar romani), e non ha mai rinnegato, con il suo Baudelaire, l’aspirazione alla “Comune libertà”.
Tutti possono leggere con diletto L’erranza e divertirsi con la prosa “sbertucciante” di Muscetta. Per accogliere queste eredità ci vuole invece uno sforzo maggiore, anche perché nessuno è così ingenuo da pensare di riproporle immutate o di rilanciare oggi il modello di intellettuale incarnato da Muscetta. Ma il suo sforzo di essere un intellettuale organico al movimento dei lavoratori, nei suoi esiti più felici come nei suoi ormai fin troppo vistosi fallimenti e limiti, merita l’attenzione di chi si interroga ancora sulle forme che può assumere oggi quel rapporto: dalle pagine e dalla affascinante erranza di Muscetta c’è ancora qualcosa da imparare.

 

note

1. Sul rapporto fra Sciascia e Muscetta si segnala il recente scritto di Mara Muscetta, figlia di Carlo, Carlo Muscetta critico di Leonardo Sciascia: storia di un contenzioso, su www.ecodellarete.net.

2. Ciò è stato notato dall’avv. Liana Tumbiolo, organizzatrice di un incontro di presentazione dell’Erranza svoltosi a Palermo, al quale lo scrivente ha partecipato, e curiosamente disertato dalla Sellerio.

[22 ottobre 2009]

 

 

 

 

home> recensioni> Carlo Muscetta, L'erranza. Memorie in forma di lettere