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Le orecchie e il potere. Aspetti socioantropologici dell’ascolto nel mondo antico e nel mondo contemporaneo
a cura di A. Cozzo, Carocci, Roma 2010 – € 26,50


Anna Angelini

 

«Forse l’ideale sarebbe sentire l’attualità come il brusio fuori dalla finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi meteorologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza. Ma è ancora tanto se per i più la presenza dei classici si avverte come un rimbombo lontano, fuori dalla stanza invasa dall’attualità come dalla televisione a tutto volume». La molteplice e per certi versi contraddittoria definizione calviniana di “classico” pone il problema del nostro rapporto con i testi antichi e dell’attualità del loro messaggio. Se è infatti vero che «è classico ciò che tende a relegare l’attualità a rango di rumore di fondo», ma al contempo esso è anche quel rumore di fondo che persiste «là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona»1, una questione centrale diventa quella della distanza tra noi e gli antichi, del punto d’osservazione da cui ci poniamo. Il libro curato da Andrea Cozzo, Le orecchie e il potere. Aspetti socioantropologici dell’ascolto nel mondo antico e contemporaneo, costituisce il tentativo coraggioso, da parte di studiosi dell’antichità greco-romana, di porre in relazione le esigenze della modernità, che non possiamo certo relegare a un brusio fuori dalla finestra, con la riflessione degli antichi, o per meglio dire, con il nostro ragionamento sui classici. Sfuggendo ai rischi derivanti dalla fascinazione mitica di un’incolmabile distanza tra loro e noi, così come da quelli provenienti da un’attualizzazione tout court, l’approccio adottato in questi saggi mira piuttosto all’instaurazione di un dialogo con gli autori greci e latini, condotto mediante l’analisi testuale di un corpus selezionato, che abbia come scopo una riflessione critica sulla nostra società. È d’aiuto, in questo senso, l’urgente attualità del soggetto prescelto, ovvero l’interconnessione fra capacità di ascolto, gestione del potere e funzionamento di una società democratica. Tale relazione è indagata in maniera comparativa all’interno dei sei saggi che compongono il volume, dove sono poste a confronto diverse dinamiche di ascolto nel mondo antico e contemporaneo, in differenti contesti. Essi spaziano dall’oratoria politica e dall’analisi delle strategie per l’ottenimento del consenso (Cozzo); al concetto di parrhesia come via politica all’autonomia nella polis greca (Burgio); alla negazione dell’ascolto derivante dall’azzeramento dell’umanità del nemico in contesti di guerra (Civiletti); alla funzione paideutica dell’ascolto musicale nell’educazione politica dei Greci (Pomelli); alle diverse situazioni relazionali e comunicative in cui si esercita l’ascolto a Roma (Tondo); all’impossibilità di un ascolto veritiero, in quanto inevitabilmente viziato da un’ansia di controllo, da parte di chi, ieri come oggi, esercita il potere (Li Causi).
Esplicito è il punto di vista da cui gli autori si collocano non solo rispetto ai testi antichi ma anche ai temi d’attualità presi in esame, praticando ciò che essi stessi definiscono comparatismo posizionato2. L’assunto di partenza, ovvero che la capacità di ascoltare è la misura di una società democratica e un chiaro indice del rapporto tra governanti e governati, ci consente di mettere a fuoco alcuni aspetti significativi della relazione tra ascolto e potere analizzati in questo volume.
Bisogna anzitutto operare una distinzione di ambiti: vi è da un lato il potere autocratico, condannato per sua stessa natura all’incapacità di dare ascolto, alla richiesta di un ascolto passivo e consenziente, e al ricorso costante a forme di “spionaggio acustico”. Tale è la situazione, nell’ottica greca – in particolare ateniese – dei popoli stranieri dominati dai tiranni, primi fra tutti i Persiani, o delle città dove vige un regime oligarchico o monarchico. Ma in una condizione non dissimile si trovano anche i principes romani, capaci, secondo Seneca, solamente di una forma paranoica e narcisistica di ascolto, quella dell’adsentatio (discorso adulatorio) dei cortigiani, e necessariamente bramosi di ricorrere all’intercettazione delle veritiere – dunque segrete – opinioni dei sottoposti. Al punto che Li Causi individua inquietanti somiglianze fra le dimore imperiali del primo secolo e il palazzo-orecchio in cui abita il “re in ascolto” della fiaba di Calvino.
D’altro canto vi è e la struttura democratica propria della polis. In essa la parola assume un ruolo rilevante come mediatrice del conflitto, il che implica la necessità di guadagnare in ogni momento l’ascolto dell’assemblea, come mezzo necessario a ottenere i voti degli ascoltatori. Tale esigenza dà origine a una vera e propria rubrica dell’oratoria antica, definita da Cozzo «retorica dell’ascolto»: essa fornisce indicazioni metadiscorsive all’uditorio su come disporsi correttamente nei confronti di ciò che ascolta o sta per ascoltare, e contribuisce alla trasformazione del discorso assembleare in un evento-spettacolo. Il sistema democratico degli antichi ha però a propria disposizione (diversamente dal nostro) dispositivi di difesa dei cittadini dai rischi di una eccessiva spettacolarizzazione a fini politici: tra essi figura la graphè paranomon, istituto in base al quale chi aveva avanzato una proposta poi rivelatasi dannosa per la città poteva esserne considerato direttamente responsabile. Esso controbilancia la parrhesia, ovvero il diritto di parola in assemblea garantito a tutti i cittadini maschi liberi, di importanza tale da essere considerato sinonimo stesso di cittadinanza. Ed è proprio sulla riarticolazione di questo concetto che Burgio individua una possibilità di intervento per i cittadini di oggi all’interno della società. Spostando la questione dal mancato ascolto concesso dai governanti alle motivazioni per cui i governati non riescono a conquistarsi l’ascolto, egli propone un’estensione dell’idea di parrhesia, che includa, oltre al diritto di parola, anche il diritto all’ascolto e, laddove questo non si realizzi, la presa di esso da parte dei cittadini, praticata, in un’ottica di empowerment, come esercizio concreto di autonomia nelle società contemporanee.


note
1.  Questa, cosi come le precedenti citazioni sono tratte da I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1995, pp. 12-14.
2.  A. Cozzo (a cura di), Le orecchie e il potere, pp. 12-13. 

 

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[7 gennaio 2013]

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