home> recensioni> Vladimiro Giacché. La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea
Vladimiro
Giacché,
La
fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica
contemporanea
Derive/Approdi,
Roma 2008, pp. 267, Euro 18,00.
Rosalba Scinardo Ratto
Perché
scrivere un libro sulle strategie della menzogna nella politica
contemporanea? Il falso nella comunicazione politica è un
topos, da Platone a Machiavelli, fino a Napoleone solo per citare
alcuni nomi. Gli
arcana imperii sono sempre esistiti. Però
adesso è cambiato qualcosa, c’è una
specificità che dà il senso della
gravità della questione. Cosa è cambiato dunque
oggi?
Intanto che le notizie, le verità scomode non vengono
più nascoste, ma subiscono una trasformazione: viene ridotto
o addirittura neutralizzato il loro significato originario fino a
fargliene assumere, spesso e volentieri, uno di senso opposto (valga su
tutti l’esempio della “guerra
umanitaria”). Il nostro è il tempo della
comunicazione di massa (anche se viene consumata in privato), e questo
significa che necessariamente, se si vogliono rendere innocue le
verità inconfessabili, queste devono essere prima filtrate,
perché possano servire a distrarre e non, al contrario, a
stimolare un atteggiamento critico nel cittadino. L’industria
della comunicazione, già da qualche tempo, è
l’instrumentum regni che serve a creare consenso e a gestire
le masse.
Di tutto ciò sente l’urgenza di parlarci Vladimiro
Giacché nel suo ultimo libro,
La fabbrica del falso.
Strategie della menzogna nella politica contemporanea.
L’autore ci avverte che siamo in presenza di una
novità storica poiché la fabbrica del falso
è una struttura organizzativa che produce non solo le
menzogne, ma anche i consumatori di queste stesse menzogne.
Parlare di
menzogna oggi per Giacché quindi non vuol dire parlare
dell’esistenza del falso nella gestione del potere, ma
passare al vaglio la serie di strumenti di cui esso si serve per
esistere e per agire nella politica contemporanea. Alla certezza
dell’esistenza di una strategia del falso, che ormai
è organicamente strutturata e condotta in maniera razionale,
Giacché fa seguire pertanto un’indagine sulla
sistematica falsificazione che si impadronisce delle parole e ne cambia
il significato a partire dai termini chiave del nostro lessico
politico, per passare poi a un’attenta analisi dei
clichés imperanti, dei luoghi comuni, che vengono
puntualmente smontati con rigore logico e serietà
scientifica. Già questo basterebbe a giustificare il libro,
ma altri motivi si aggiungono a confermarne la validità,
come presto vedremo.
Una critica della menzogna è anche un
discorso sulla utilità della verità a dispetto
dei tanti discorsi che legittimano un relativismo incombente,
l’inesistenza di una verità assoluta; a dispetto
dei chiacchiericci tanto alla moda che arrivano a sostenere la bugia
perché creativa e relazionale. L’autore oppone la
necessità di smascherare le tante menzogne che privano il
cittadino di questo nome e di un ruolo attivo nella società.
A tutti coloro i quali, filosofi postmodernisti, considerano il
concetto di verità superato e totalitario e a coloro i
quali, pur riconoscendole come tali, ritengono che le menzogne
– proprio perché evidenti - non necessitano di
commenti e approfondimenti, Giacché risponde con questo
libro. Ricordando agli uni che «se non esiste la
Verità, certamente esistono le menzogne» (p. 8), e
agli altri mostrando la necessità di partire dallo
smascheramento delle menzogne per poter avviare delle strategie di
resistenza allo stato di cose presente.
La strategia del falso ha
ovviamente il suo strumento principale nel linguaggio. Un linguaggio
che esaspera, annulla, stravolge i significati a seconda
dell’esigenza del momento. L’analisi che
Giacché fa della nascita e dello sviluppo di un
monstrum
concettuale tanto in voga, ovvero quello di
“totalitarismo”, è davvero esemplare.
Il libro è diviso in tre parti, intitolate
Guerra alla
verità,
La verità del falso
e
Strategie di
resistenza, che a loro volta contengono i quindici capitoli suddivisi
in un numero forse eccessivo di paragrafi, il che nuoce
all’unitarietà del discorso e al carattere
saggistico del libro e rivela a volte la provenienza eterogenea degli
spunti.
Nella prima parte, la più ricca per argomenti ed
exempla, l’autore analizza i luoghi comuni, le parole-chiave
del lessico politico contemporaneo e le tecniche della menzogna - tra
le quali centrale la decontestualizzazione; riporta
l’attenzione sulla necessità di comprendere le
radici di un evento, di restituirlo al suo contesto storico (le pagine
sulle foibe andrebbero lette in tutte le scuole della Repubblica). O
ancora si sofferma sulla spettacolarizzazione degli eventi per cui i
fatti vengono rappresentati mediaticamente, o addirittura inscenati
ad
hoc. A tal proposito Giacché afferma assiomaticamente che
«a una verità gridata e messa in scena corrisponde
sempre una verità taciuta e rimossa» (p. 19). O
ancora l’uso di eufemismi che sono
l’«espressione di una delle fondamentali malattie
politico-morali della nostra società:
l’ipocrisia» (p. 29). Riporto solo alcuni dei tanti
esempi presi in considerazione dall’autore:
“società di mercato” o
“sistema di mercato” ha sostituito
“sistema capitalistico”; “azione
militare”, “operazione di polizia
internazionale”, “guerra umanitaria” ha
sostituito il termine “guerra”;
“maltrattamenti”, “tecniche professionali
di interrogatorio”, quello di “torture”.
È evidente, già da questi pochi esempi,
l’importanza che assume il controllo del linguaggio.
Giacché si sofferma, per smontarli dall’interno,
su luoghi comuni come quello della pretesa superiorità
dell’occidente, che porta ad atteggiamenti razzisti e
xenofobi; o della superiorità democratica che porta alla
folle idea di poter esportare la democrazia.
Come mai, ci si potrebbe
chiedere, questi luoghi comuni hanno una tale forza? Essi adoperano o
presuppongono alcune parole chiave del lessico politico-mediatico
contemporaneo, parole il cui significato è dato per scontato
e che invece va verificato. Queste parole vengono usate come
grimaldelli ideologici, schemi di comodo. Abbiamo da una parte le
parole-bandiera: democrazia, mercato e sicurezza; dall’altra
le parole-spauracchio: terrorismo e totalitarismo. Queste parole
vengono svuotate del loro significato per diventare forma, concetti
passe-partout da strumentalizzare di volta in volta. Ma stiamo attenti!
Come ci ricorda lucidamente l’autore
«l’odierna guerra alla verità non
è un problema che riguarda soltanto la sfera della
comunicazione. Essa richiede un sofisticato e potente apparato che
confeziona e smercia la menzogna. […] La falsificazione del
vero rinvia alla verità del falso» (p. 143),
argomento della seconda parte.
In essa si vede che solo a partire dal
rapporto tra la nostra vita e le merci possiamo provare a decifrare la
falsità che ci sta attorno. È tutto il capitolo
8, Uomini e merci – Cronache dal mondo alla rovescia, a farci
capire perché.
Vedere poi quante e quali menzogne esistono in una società
ci permette di vedere quanti e quali problemi esistono in una
società. La menzogna che serve a fare le guerre e a
giustificare ingiustizie economiche o disastrose strategie ambientali
è, dal punto di vista capitalistico,
“necessaria”.
Mi preme sottolineare almeno un altro
aspetto presente in questa seconda parte, per la sua
complessità e per lo spazio che ad esso dedica
Giacché: la perdita della memoria storica. «Tanto
l’informazione mediatica quanto la pubblicità
concorrono a determinare una delle più rilevanti
caratteristiche della
Weltanschauung contemporanea: la scomparsa della
storia. La duplice istantaneità dell’informazione
e del consumo si contrappone alla storia» (p. 187). Questo
porta indissolubilmente alla crisi della storia come disciplina,
poiché essa non riesce a sottrarsi alla manipolazione da
parte del potere. Se essa non serve più per costruire una
memoria collettiva, che si muova nelle tre dimensioni temporali di
passato presente e futuro, rimarrà costantemente relegata
alla dimensione di news, di merce giornalistica. E quando questo non
basta ad annullare la “pericolosità”
della ricerca storica si ricorre al revisionismo, al riduzionismo fino
al negazionismo storico. Mi viene in mente, a questo proposito, una
storia raccontata da Luciano Canfora (citato ne
La fabbrica del falso laddove si parla del concetto di democrazia per la sua critica della
“retorica democratica”) nel suo
Libro e
libertà, a proposito di uno scontro avvenuto alla corte
dell’imperatore Che-Huang Ti nel 213 a.C. fra i letterati ed
il consigliere Li Sseu, sostenitore di un sistema di governo
autocratico. Il consigliere regio convinse l’imperatore ad
ordinare la distruzione per rogo di tutti i libri, con eccezione di
quelli di medicina, agricoltura e pochi altri, e con particolare
impegno i libri di storia. Questi testi avrebbero consentito ai
letterati di confrontare il regime attuale con quello precedente,
traendo da questo confronto ragioni per criticare il potere.
Ma La
fabbrica del falso non si ferma a disegnare un quadro totalmente
negativo del mondo di oggi. Nell’ultima parte propone e
approfondisce le diverse strategie di resistenza che possono essere
messe in campo contro la menzogna e soprattutto contro la
più pericolosa delle menzogne, che riguarda la
necessità e l’ineluttabilità dello
stato di cose presente. A questo si deve opporre la
necessità di cambiamento e non l’astratta
possibilità di un futuro diverso. Va riproposto un uso
critico della storia e uno smascheramento delle
pseudo-verità ufficiali. Ci si deve servire delle
contraddizioni palesi ed additare la semplificazione,
l’annullamento della temporalità e della
processualità, l’assenza di contestualizzazione,
come i nemici principali da combattere. In tutto ciò il
soggetto ha una importanza decisiva ed è per questo che deve
recuperare una sua identità stabile e duratura.
Giacché è attento osservatore del mondo attuale.
Questo suo lavoro contribuisce all’analisi e alla
comprensione dei processi messi in atto nella società e
nella politica contemporanea con serietà illuministica,
dando un esempio di uso pubblico della ragione, come base di un
discorso critico verso quanti vogliono distruggere la
verità, e lo fa con l’umiltà di chi non
vuole dare nulla per scontato perché il tema trattato
rappresenta uno dei problemi chiave dell’esistenza
dell’uomo di oggi.
Non è in ballo semplicemente la
capacità di intendere che esiste una chiara
volontà di gestione militare della crisi, di assicurare il
dominio sui mercati, di giustificare la guerra, ma è in
ballo altresì la trasformazione sistematica dei cittadini in
consumatori, in facili prede dei prodotti dell’industria
della comunicazione, in plebe.
La fabbrica del falso è
un’analisi della società che pretende di fare una
quadro onnicomprensivo della situazione, e questo potrebbe essere
avvertito come un limite. Si percepisce un’ansia di mettere
le cose in chiaro che costringe, sembrerebbe, la stessa
realtà che si critica in una classificazione da catalogo. In
realtà il volume va inteso come una utilissima cassetta
degli attrezzi per un pubblico da iniziare a queste questioni (penso
per esempio ai tanti studenti delle nostre scuole, visto che questo
è un libro ricco di
exempla e dall’intento
fortemente didattico – e a questo proposito un indice dei
nomi e una minima bibliografia critica avrebbero avuto una qualche
utilità), ma anche per un pubblico iniziato la cui esigenza
è quella di non trascurare nulla e che ha bisogno di una
guida su come muoversi nel vasto mondo dell’informazione
distorta, in vista di passaggi politici sempre più
necessari.
Concludo con una citazione da Fortini, risalente al luglio
1976, da Insistenze, (e mi chiedo se le riflessioni fortiniane degli
ultimi vent’anni della sua attività sul
“surrealismo di massa”, sul “controllo
dell’oblio”, sull’“ignoranza
volontaria” siano presenti al nostro autore):
«Sapete cosa succede nel Libano? È difficile,
vero? Una così compatta omertà, di destra, di
centro e di sinistra, si è vista solo negli anni
più bui del Vietnam. Sapere di più, capire di
più, passare dal polverio della inutile emozione quotidiana
a quelli che ho chiamato segmenti di nozioni-persuasioni costa caro,
perché induce a scegliere, a rompere miracolosi e fatui
equilibri».
E concludeva l’articolo con un invito che Giacché
sembra davvero aver colto: «Probabilmente bisogna riprendere
a parlare dell’uso della parola». (p. 182)
Indice del libro
Parte I. Guerra alla verità
1.FENOMENOLOGIA DELLA MENZOGNA
La verità mutilata
La verità dimenticata
La verità messa in scena
La verità rimossa
La verità capovolta
La verità imbellettata
La verità elusa
2. MENZOGNA,
IDEOLOGIA, INFORMAZIONE: I LUOGHI COMUNI DELLA
«GUERRA AL TERRORE»
Il ruolo dei
media nella guerra
Menzogne e ideologia
I luoghi comuni della «guerra al terrore»
Filosofia dell’«anche se»: la forza dei
luoghi comuni
3. LA
DEMOCRAZIA IN OSTAGGIO
Un concetto dimenticato: la democrazia come «governo del
popolo»
Democrazia e suffragio dal 1848 all’avvento dei fascismi
Dopo la Seconda guerra mondiale: le Costituzioni democratiche
L’attacco alla democrazia del dopoguerra a oggi
Liberare la democrazia
4. LA SICUREZZA AL PRIMO POSTO
Un nuovo valore?
L’ipertrofia della sicurezza
La fabbrica della paura
Un concetto rachitico
I paradossi della sicurezza
Realtà della precarietà e voglia di
«sicurezza»
Rompere il cerchio magico
5. MERCATO: I MILLE VOLTI DI UN PRESTANOME
Il mercato come soggetto razionale
Il mercato come forza naturale
Il mercato come ideale
Il mercato come «luogo naturale»
dell’ordine economico
Il mercato come prestanome
Alcuni luoghi comuni sul mercato
Conclusione: parole-bandiera e parole-spauracchio
6. TOTALITARISMO: TRISTE STORIA DI UN NON-CONCETTO
Prima fase: «nazismo=stalinismo» (H. Arendt)
La scomparsa dell’economia nel totalitarismo della Arendt
Seconda fase: «nazismo=comunismo»
(Friedrich/Brzezinski)
Terza fase: «totalitarismo=comunismo»
Un concetto senza oggetto
Il nemico è tra noi
Big Brother Corp
7. DIALETTICA DEL TERRORISMO
Il terrorismo come Nemico
Il nemico è un terrorista
La definizione che non c’è
Il terrorismo: una
tattica e non un nemico
Guerriglieri o terroristi?
Metamorfosi del terrorista
Il terrorismo dall’alto
Liberare le parole
Parte II. La verità del falso
8. UOMINI E MERCI – CRONACHE DAL MONDO ALLA ROVESCIA
Sovranità del consumatore
Cliente in addestramento
«Voglio la luna»: la «cattiva
infinità» del consumo
Stile di vita
L’unificazione del genere umano
Diritto al consumo e consumo dei diritti
Il dovere del consumo
Le vette della pubblicità
Arte griffata e sapere in bollicine
La religione dello shopping
Filosofia al dettaglio
Siamo uomini o merci?
Essere per la merce
La morte come merce
Un mondo alla rovescia
L’assurdo delle merci
La politica della merce
9. POTERE E REGRESSIONE
Piange il telefono
La civiltà dei surrogati
Eclisse di luna – e non solo
Il virtuale è il reale
Rifarsi il trucco
Identità di plastica
Esse et videri
Il ritorno delle teste coronate
Il soffio dello Spirito Santo
Pasticche contro la cattiva coscienza
I senzatetto di Cracovia
Dio con loro
Creatore o Designer?
Feticismo nel Cristianesimo
Le metafisiche degli imbecilli
I ragazzi del muretto
Pietà tribale
The sound of silence
Fine dei vecchi tabù
La Costituzione blindata
La tolleranza de Caterpillar
Incontro di culture
Estetica dell’occultamento
10. LA FABBRICA DEL FALSO
La menzogna è necessaria
La menzogna è naturale
Il regno della mediazione
Stati di separazione progressiva
La cattiva astrazione
Forme della scissione
La mediazione come rappresentazione
Mediazione e falsa immediatezza
Separazione e falsa identità
La fine della storia: il tempo a una dimensione
Il linguaggio a una dimensione
ù
La morte del significato
Parte III. Strategie di resistenza
11. SPIRAGLI
Lode del cinismo
La gaffe
Il simbolo che accusa
L’implosione del sofisma
L’eufemismo che degrada in ossimoro
L’iperbole impazzita
Il travestimento fallito dell’ossimoro
Tautologie, nonsensi, lapsus
Disvelamento o rafforzamento della menzogna?
12. DIRE LA VERITÀ
Il re è nudo!
La riconquista delle parole
Parole salvate…
…e parole da salvare
Demolire i cliché
Un altro sistema di metafore è possibile?
13. SMASCHERAMENTI
La contraddizione in atto
La «controinformazione», o il necessario
insufficiente
Lo spettacolo contro lo spettacolo: Beat them at their own game!
Ironia: l’assurdità dell’ovvio
La menzogna portata all’estremo
14. LA VERITÀ RICORDATA
Squarci: la storia contro i luoghi comuni
Invarianti: la storia come sintomo
Persistenze: il passato che non passa
Historia magistra: le lezioni del passato
Risarcimenti: la verità contro l’oblio
Conclusione: dal presente al passato
15. PARLIAMO DI NOI
Critica della ragion storpia
Guardare oltre
Il soggetto impedito
No exit?
Conclusione: il futuro necessario
[25 FEBBRAIO 2009]
home> recensioni> Vladimiro Giacché. La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea