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Un amaro boccone in salsa piccante

Laico alfabeto in salsa gay piccante. L’ordine del creato e le creature disordinate  di Franco Buffoni
Transeuropa edizioni, «Margini a fuoco», 2010, pp. 150, € 14,00

 

Daniele Visentini

 

«Non si nasce omosessuali! Parliamoci chiaro: la nascita dell’omosessuale è rarissima, nel senso di disfunzione ormonale o fisica in qualche modo. L’omosessualità è indotta e dunque bisogna prenderla dall’inizio, perché se presa dall’inizio, eccome si può superare! […] Se la psicoterapia viene affrontata, per esempio, nella prima adolescenza se il problema si pone, è un problema che si risolve. Il nostro consultorio familiare affronta parecchie volte questo tema, e si riesce anche. Quando purtroppo l’omosessualità è ormai – come posso dire? –  incancrenita, è difficile».

 

È allo stesso tempo un peccato e un gran sollievo che il Laico alfabeto in salsa gay piccante di Franco Buffoni (Transeuropa edizioni, «Margini a fuoco», pp. 150, € 14,00) sia uscito in anticipo di qualche mese rispetto a questa lectio magistralis intonata, con prodigalità di assunti proto-scientifici, da Mons. Paolo Rigon per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ligure.
È un peccato, perché un simile profluvio di atrocità, costituendo un rilevante exemplum di pseudospeciazione da aborrire non solo partendo da una prospettiva laica, ma pure tenendo a mente il nucleo di senso originario del messaggio evangelico, avrebbe certamente fornito ulteriori spunti di riflessione allo scrittore e arricchito, se possibile, il suo libro d’uno specimen tanto limpido quanto agghiacciante.
Come si diceva, è però anche di conforto appurare che un esperimento di analisi socio-culturale concreto e realmente laico è ancora possibile in un Paese come il nostro, ridotto, nel machiavellico teatro dell’Europa unita, al ruolo di un Nicia tanto pieno di sé quanto imbelle e retrivo. Anticipato e condannato nel Laico alfabeto, il messaggio di Rigon testimonia la correttezza dell’approccio di Buffoni al tema dell’omosessualità, e in specie dell’omosessualità in Italia. Proprio per questo motivo si è scelto di utilizzarlo come controversa epigrafe alla recensione.

Sperando di fare un buon servizio all’autore, con le sue stesse parole si tenterà adesso di rispondere all’incalzante appello del Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico ligure.
«Non si nasce omosessuale!», esclama il Monsignore.
«Omosessuali non si nasce né si diventa, omosessuali si è»: con una citazione di Giovanni Dall’Orto, Buffoni elude tanto le pastoie dell’innatismo quanto l’ottica clinica di matrice freudiana per abbracciare un approccio ontologico finalmente positivo all’orientamento sessuale come quello sostenuto da Judith Butler.
E dell’idea convenzionale di famiglia sostenuta a gran voce dall’inquisitorio Rigon, che cosa si può dire? Confrontando la norma con l’uso, come si conviene in ogni sistema democratico moderno, Franco Buffoni fornisce una risposta scevra d’impacci idealistici sotto la lettera «N», alla voce «Nascere»: «nel mondo ideale che tutti noi vorremmo, il rapporto madre-figlio-ambiente circostante dovrebbe svilupparsi in modo idilliaco. Ma la terribile realtà oggettiva di tante gravidanze mi fa aprire porte e finestre anche a quella surrogata. Nella convinzione che i fattori in gioco siano talmente molteplici e complessi da rendere impossibile qualunque esclusione a priori, se non per ragioni ideologiche». Alla voce sottostante («Naturale») Buffoni completa il proprio discorso citando il documento della Conferenza del Cairo del 1994 su Popolazione e sviluppo: in essa si ricorda che «i diritti riproduttivi fanno parte dei diritti umani, e che ogni singolo individuo ha il diritto di decidere quanti figli avere e quando […], libero da ogni discriminazione, coercizione e violenza».
Ancora, toccando un nodo nevralgico della questione sull’omosessualità, il Vicario Paolo Rigon auspica l’intervento correttivo della psicoanalisi che, non più colpevole davanti alla Chiesa di fomentare dubbi circa l’immortalità dell’anima, è ora impugnata in qualità di cauterio contro l’esiziale eventualità della cancrena omosessuale. Da parte sua, Buffoni propone invece come sola dicotomia possibile nella contemporaneità quella tra nature e nurture, «intendendo con la seconda le acquisizioni, i nutrimenti dovuti all’ambiente», ma subito dopo raccomanda di guardarsi «dal ricercare attraverso di essa le “cause” di “malattie” quali l’“omosessualità” o la “mancinità”, come vorrebbero i clericali».
E con queste ultime parole, così calzanti da non poter suscitare un amaro sorriso, la replica del Laico alfabeto al Monsignore pare potersi concludere. Vittoriosamente, ma è quasi superfluo sottolinearlo.

Tramite questo breve confronto tra le posizioni di Franco Buffoni e quelle rappresentate – si crede in nome della Chiesa cattolica tutta – da Mons. Paolo Rigon, si è voluto soltanto dimostrare la sconcertante attualità di un libro come questo Laico alfabeto, lodevole soprattutto per l’impegno profuso dall’autore nella lotta contro quelle discriminazioni sessuali alle quali, in un paese pretestuosamente democratico come il nostro, non si vuole a tutt’oggi riconoscere peso giuridico alcuno (docent la subitanea archiviazione dei PACS e il fallimento della proposta di legge Concia sull’omofobia).
Ora, per comprendere meglio l’operazione critica compiuta da Buffoni, è necessario prestare attenzione alla peculiare forma del suo piccolo, denso libro.
A dispetto di quanto asserito dallo stesso autore nella nota introduttiva al volume, infatti, il Laico alfabeto in salsa gay piccante rimanda non tanto (o meglio, non immediatamente) alla forma del lai medievale, bensì al pur sempre medievale, ma poi grandiosamente illuministico disegno dell’enciclopedia. Come suggerisce il titolo stesso, si tratta in effetti di un lungo studio alfabetico in cui Franco Buffoni propone per ogni lettera due voci, e ogni cinque lettere stende un approfondimento più lungo; ne risulta, quindi, un’enciclopedia composta da cinquantasei voci alfabetiche.

«Sono così scontento delle enciclopedie, che mi sono fatto questa enciclopedia mia propria e per mio uso personale», scriveva Alberto Savinio per giustificare la stesura dei geniali lemmi che, a poco a poco, avrebbero composto la sua Nuova enciclopedia, opera di grande impatto sulla realtà e  percorsa da un senso civico che, a torto, la critica ha voluto subordinare al suo afflato surreale. In parte queste parole potrebbero servire anche a introdurre il Laico alfabeto: per Savinio, come pure per Buffoni, la forma enciclopedica assume infatti il valore dissidente di una riscrittura del mondo. Se il primo ridefiniva innanzitutto se stesso come uomo e intellettuale di fronte al Maelström del regime fascista, il quale prometteva di risucchiare la lingua italiana stessa nel monotono abisso del propagandismo, Buffoni ridefinisce un intero spaccato sociale, quello degli omosessuali per i quali lo stato di regime (intendendo, con questo termine, un generico dettame uniformante che provenga dall’“alto”) pare non essersi ancora concluso.
Sebbene riprendano lo stesso modello scrittorio e si fondino su un’identica volontà palingenetica, si comprende però immediatamente come il Laico alfabeto e la Nuova enciclopedia differiscano per un motivo ben importante: Buffoni, infatti, non ha alcuna intenzione di restringere all’«uso personale» il campo d’applicazione del proprio lavoro. A differenza della totale libertà di movimento con cui Savinio passò in rassegna il proprio mondo, per la sua opera Franco Buffoni individua un baricentro stabile nella tematica omosessuale che ovviamente ha per il critico, in quanto gay, un valore soggettivo, ma che di necessità assume pure un fortissimo peso sociale.
Tra l’altro, il fatto stesso di coinvolgere la propria esperienza nel quadro di una più complessa analisi collettiva fa sì che il libro non assuma il carattere di un vademecum, ma mantenga invece un giusto equilibrio tra la registrazione della prospettiva interna, genuinamente empirica, e l’urgenza di scandagliare un esterno plurivoco, al fine di garantirgli un ordine. Pagina per pagina, Buffoni disseziona, analizza, corregge il mondo sempre in difesa degli omosessuali; è in ciò, prima di tutto, che sta la carica performativa di questo libro genuinamente appassionato e politico.
La centralità della questione “omosessualità”, d’altronde, non impedisce allo scrittore di ampliare notevolmente il raggio della propria speculazione: da un auspicato accordo tra i tre monoteismi allo stato della politica italiana contemporanea, da pagine autobiografiche come quella dedicata alla voce «Guido Guinizzelli» a spaccati sulla cultura letteraria del Novecento, gli spunti di riflessione sono molteplici e incalzanti.
Mai però, in tutto lo scandirsi del suo alfabeto, l’autore tralascia di scardinare i luoghi comuni che da troppo tempo e in troppi modi minacciano la cultura omosessuale italiana. Primo fra questi, il supposto approccio acritico dei gay a sé e al mondo circostante, una sorta di abulia derivata da frivolezza, da una scarsa serietà politica attribuita agli omosessuali sia da esponenti dalla destra, sia della sinistra (Buffoni ricorda, a tal proposito, la definizione del mondo gay come «confraternita di pervertiti» data da Togliatti sulle colonne dell’«Unità»). Per combattere tale pregiudizi, lo scrittore auspica una presa di coscienza di gruppo, la definizione cioè di una cultura omosessuale attiva condivisa e riconosciuta dal mondo esterno; e propone, così, agli stessi gay un interrogativo raggelante: «è possibile parlare della trasmissione di una identità culturale omosessuale? Solitamente si dice che la cultura, di qualsiasi tipo, si trasmette di padre in figlio. I gay, che per definizione sono sterili, sono stati tuttavia in grado di trasmettere – per filiazione culturale – una cultura e una identità gay. Ma chi si è effettivamente preso cura – in passato – del passaggio dei saperi da una generazione all’altra di omosessuali?».
La risposta, tanto certa quanto ingiustificabile, è: nessuno.

Con Buffoni, si deve dunque pretendere che tale indifferenza a livello non solo sociale, ma culturale tout court non venga più giustificata in alcun modo dalle anacronistiche politiche dello Stato italiano, da qualsivoglia Chiesa o “morale condivisa”. Poiché la democrazia funge per definizione da specchio della cittadinanza, è assurdo, si direbbe addirittura impossibile, pretendere d’ignorare l’esistenza della popolazione gay con le specificità che la individuano agli occhi di tutti – in primis del Capo del Governo il quale, come si sa, alla dicotomia etero/omosessuale tiene particolarmente.
Si giungesse anche al parossistico espediente di concepire i gay alla stregua dei componenti di un’isola alloglotta o di una regione a statuto speciale, insomma alla pari dei membri d’una qualsiasi minoranza accertata, è necessario garantire ad essi quei diritti fondamentali cui un gruppo coeso di cittadini non può, per nessuna ragione, rinunciare: un’esistenza serena nel mantenimento del proprio stile di vita, una sicurezza economica e civile garantita da solidi contratti d’unione, un fattivo riconoscimento identitario che scoraggi, con adeguati mezzi penali, chi si ostina a usare violenza

Con realismo e ironico disincanto, la salsa piccante di Buffoni certamente allevia il sapore di questo amaro boccone che è la situazione dei gay in Italia, aiuta in qualche modo a mettere in atto l’assimilazione, la digestione. È, fuor di metafora, un primo passo verso la costruzione di un’identità omosessuale reale: un libro estroflesso, che richiama di necessità un’azione e non si esaurisce affatto, perciò, nelle sue centocinquanta pagine.

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[31 marzo 2011]


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