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due poesie di Michele Ranchetti
 

Da La mente musicale (1988)

Non abbiate un amico sulla terra
che dovete lasciare, sulla soglia
non trattenetevi oltre, la partenza
sia violenta ed irata.

Alla resa dei conti tu solo
parlerai per te stesso ed in tuo nome
ti loderai scusando le occasioni
che ti hanno vinto: tutti
ti parleranno contro a voci alterne
e tanto ostili quanto più ne temi
l’intelligenza della tua natura.

Giobbe paziente e ostile
vinto ti è accanto.
Non l’hai lodato, solo in te riposa
vinto, l’assalto.
le membra ricongiunte
nel tuo corpo intatto
vive diviso e indifferente.

Il suicidio in me vive
e nella calma innaturale e lenta
si è ridestato
alzandosi sui gomiti
sorgendomi alla spalle:
ecco io assisto alla lotta
fra morte giusta e ingiusta
ed è la prima un letto,
dopo la mente e il corpo a lungo vivi,
dove supino calco il mio cadavere;
l’altra, morte illegittima,
è una frode violenta.

Nacqui felice e subito mi tolsi
all’affetto dei cari
con arroganza. Disperati li vidi
non chiamati, distinti dai viventi
per una traccia di pietà dolente,
avviarsi alla morte.

Mai ho vissuto felice nell’infanzia
già conoscendo il male di conoscere
prima del tempo. Me per me, in me stesso
dentro di me.

*

Prima di morire una creatura vive
differente. I cari prendono il largo
come navi create dal mare
da cui sta per salpare. I cari
hanno un destino, chi muore
non ha presente. Che dire, a chi
rivolgere lo sguardo, quale
certezza aggiungere a quel soffio
che viene meno e somiglia
tutta la vita?

Tutta la vita adulta
ho vissuto tra voi, prima ho spiato
da madre il figlio, poi
cresciuta entro di voi,
libera vi ho fatto grandi,
mentre senile all’apparenza,
vivo infantile innamorati cieli
da cui piombo come falco del lago
sopra di voi entro le vostre case
e conduco
a morte i grandi, a gioventù i bambini.

Sono nel letto di dolore per voi, sorrido
e fingo di morire: voi siete inginocchiati
come a un presepio e sono io il bambino
su cui me stessa veglio.

Non crede di morire e si allontana
il suo corpo dai cari, distrae
ora il suo tempo gradualmente
acquistando altro tempo per se stessa.

Vi rivedo di nuovo, eccomi a voi,
che mi guardate mentre sono sottile
filo di trama che mi avvolge.

Luce porgo al mio occhio per vedermi,
porgo forza al mio dire
verso a me stessa la vita
con sapiente prudenza: e paura: accanto alla mia morte
tutti avete l’età che fu già mia
oltre la quale io mi accingo
con prudenza e paura: sulla soglia
della vita di voi s’apre la mia.

Ciglia socchiuse, palpebre abbassate,
ecco il respiro che si fa lieve, un soffio
tutto è pronto a morire, il piede,
la mia mano… Benedetto mio corpo.

*

Da Verbale (2001)

La fine del confronto: una
verità libera: era
necessaria la fine per compiere
e conoscere fuori dal luogo
dell’origine:
la figure della madre e del padre
impedivano il vero.

*

Muoiono le figure dell’assenso
vite non più parallele s’interrompono
d’essere presente è il compito, non più la sorte.
Tu non sei
più vicino alla fine che al principio
e il dove è inesistente: ora precipita
o sale e si sottrae: si avverte
come presenza oltre l’assenza eterna.

*

Vivo in una cassa
da vivo: morto
sarò risorto.

*

Curo, come vedi, un giardino
piccolo, su misura
del bambino che in me
vive da adulto: figura
del mio premio terrestre.
Alberi senza rami, recisi
dal gelo dell’eterno, frutti
su tronchi inesistenti
uccisi dai silenzi.
Terra senza colore, lutti
aridi, spoglie, muore.

*

Dove credevi di trovare accolto
il tuo dare ottieni non il rifiuto ma
la volontà contraria in contrappunto
non conoscibile, diverso, maledetto:
la tua pietà distrugge l’universo
se lo assume a conferma, ma è l’odio
che ti fa libero e tu non vuoi che sorga
dalla cenere spenta della vita vivente.

*

Di chiesa in chiesa verso la reliquia
l’itinerario è dove sei, è in te, non ha
segni apparenti: dove era
una strada e attorno vi si apriva
un accorrere, è fisso
sbarrato un presente.
Rimane un abside, un portale
figure di dannati in fughe
apocalittiche a formare
un intrico di fede
murata nelle anime credenti:
i corpi vanno al riscontro.

*

Se cerco di distruggermi
è per non essere raggiunto
dalla sua morte, cedere prima,
non essere presente, già fuori
dal recinto di vita.

 

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