La città diffusa
Scrive il poeta Franco Fortini (da Ancora la posizione):
[...]
L’ossido lede le antenne sui tetti
i marmi le vernici e le catene.
Il piombo e il bronzo si piegano piano.
Eppure sempre crescono palazzi
che fulminano azzurri all’occidente
e di lassù si scoprono alti monti.
Le città sono entrate nel ‘900 come spazi di emancipazione e di creazione di individui sciolti dai loro legami nella terra e nella genealogia. Sono uscite dal ‘900 come giganteschi coacervi pieni di aria cattiva, criminalità, ingestibili nessi tra permanenze del villaggio, nuovi protagonismi individuali e generazionali e nuove istituzioni di civiltà e di cultura comune. Con la diffusa speranza che comincia la de-urbanizzazione. I dati del decennio 1981 – 1991 la annunciavano cominciata, ma in verità essa si è trasformata in un processo, detto della ‘città diffusa’, tentativo di conquista urbana globale del paesaggio. Ecco come la descrivono due studiosi di urbanistica:
Le diverse incarnazioni della città diffusa hanno personalità e metabolismo differenti, ma anche alcuni caratteri comuni: elevato consumo di suolo; edificazione massiccia dei territori di pianura ( e dissesti idrogeologici); mobilità esasperata e multidirezionale degli uomini e delle merci...estensione dell’aggressione ambientale e della cattura di risorse; diffusione degli scarichi e dei rifiuti; omologazione e spersonalizzazione degli abitati; accerchiamento e marginalizzazione dei paesaggi originari. Si affermano nuovi modi di costruire, una nuova grammatica edilizia e urbanistica: le strade-mercato, i paesaggi reticolari, le grandi isole terziarie direzionali, i nuovi monumenti suburbani...Il paesaggio urbanizzato scorre da un sistema all’altro senza discontinuità, vertebrato dalla diffusione complementare di ogni sorta di non-luoghi: canali di trasporto, reti di comunicazione, luoghi di interscambio, interporti.......(G.Paba, R.Paloscia, “Dal Bel Paese alla città diffusa” in P.Ginsborg, Stato dell’Italia, Milano, Il Saggiatore – Bruno Mondadori, 1994)
Le città perdono memoria. Franco Fortini riflette su processo di perdita di miseria e insieme di identità e memoria (La forme d’une ville, 1957):
La disgrazia di queste case,
cortili di tisi e panni,
presto non sarà più.
Gresíte e vetroflèx
faranno giustizia degli anni,
di noi, di me, di te.
È Milano ma potrebbe essere Cagliari Napoli Catania.
Da Dialogo (1957):
«Io questa città» dissi «non importa,
l’attraverso; e che farci? Ha qualche angolo
bello si sa [...]
io» dissi « non so più che sia, non so
se conta più, pensarci». Mi hai risposto:
«Ma perché parli? Non ricordi dove
tu sei stato, una volta?»
«Ma chi ha memoria più, chi sa più dove
sono vissuto finora» ho risposto
In queste città, nelle nostre città, si pongono i problemi, i nessi perduti, gli strappi, i progetti, le speranze, ma a partire da un dato di dolore, senza ottimismo. Franco Fortini (da Il falso vecchio):
Un bambino vacilla appeso ai calzoni della madre.
Sul marciapiede c’è sterco di cane e le auto
mettono ossido di carbonio e piombo negli alveoli.
Perché, signora, fa respirare al suo bambino
questa aria sporca? Perché non lo porta sui prati?
Essa mi guarda con odio, gli dice «cammina».
Ma io non ho parlato, solo l’odio era vero.
È questa la nostra “scena”: madri e figli, traffico urbano, generazioni; Fortini sta qui per quella più antica che in parte ci ha - come lui - lasciato, e che rappresenta il difficile rapporto con gli “antenati”, coloro che videro con altri occhi questo stesso mondo quand’era un altro mondo.
Antenati
«La conoscenza del passato è ciò che differenzia il vecchio dal giovane» (proverbio detto dagli anziani del paese Anno, in Costa d’Avorio).
La civiltà occidentale ha rinunciato da molti secoli a dare valore agli antenati, nel cui culto le società mediterranee erano nate. La modernità immagina individui proiettati nel futuro, senza reti genealogiche che lo tengono connesso al passato. Nelle nostre società ad alta medicalizzazione e bassa fecondità aumentano i bisnonni e i nonni, ma senza vero protagonismo, anche in letteratura, in poesia, perfino nei proverbi i nonni e bisnonni non lasciano tracce consistenti.
Certe volte è interessante specchiarsi nella “alterità etnologica” giocando il “chiasmo della modernità”, che ci fa vedere loro come complessi e noi come primitivi. Cosa ci dice di ‘noi’ l’etnografia del paese Anno proposta dall’antropologo Dino.Cutolo. Vediamo:
Kpéngbén significa nel loro lessico maggiore in età o anziano, opposto a minore o cadetto. “Se sollecitati dalle domande dell’etnografo, gli Anno rispondono che è Kpéngbén chi ha dei ‘nipotini’ che lo chiamano ‘nonno’, o chi, qualunque sia la sua età, stia a capo di un aluo o di un villaggio. [...] La saggezza, la conoscenza del significato delle cose sono appannaggio esclusivo dei Kpéngbén, come recita il proverbio citato in apertura. Loro è il ‘mondo della parola’ che governa le assemblee pubbliche, i processi giudiziari, i funerali. Gli anziani sono dei veri e propri esperti di questi contesti [...] (D. Cutolo, Avvicinarsi agli antenati. Tradizione orale e antenati nel paese Anno in «Africa» XIV, 4, 1999).
Da noi la perdita della asimmetria tra le generazioni eguaglia nonni e nipoti come utenti paritari di messaggi mediatici, senza che i primi abbiano valori e memoria da tramandare. I bambini sono sempre di meno rispetto agli adulti e concentrano attenzioni nuove ma anche un futuro pesante per la crisi dell’ambiente e le difficoltà di risorse cui anche la molteplicità dei nonni concorre. Anche la grande massa dei nonni pensionati nella nuova struttura della piramide delle età concorre a limitare le risorse per le nuove generazioni.
Ecco in una analisi demografica (G.Caselli, Le generazioni e la dinamica demografica, in «Parole Chiave», n.16, 1998, sul tema Generazioni.) il trend generazionale:
l crescente peso della quota di popolazione anziana influenzerà per molti anni a venire gli equilibri futuri del sistema di protezione sociale. L’ingresso in pensione delle generazioni nate negli anni del secondo dopoguerra e di quelle nate durante il babyboom degli anni 60, collocabile rispettivamente intorno agli anni 2010 - 15 e 2030 - 40 porterà a una crescita degli squilibri.
Ci si attende per il futuro che la sopravvivenza delle età anziane continui ad aumentare perchè i nonni di oggi ma ancora più i nonni di domani fanno parte delle generazioni che hanno potuto godere degli aspetti positivi del benessere: nutrizione adeguata migliore qualità della vita individuale e lavorativa, maggiore cultura e soprattutto disponibilità di beni e di servizi e mezzi utili al mantenimento di una buona forma fisica e mentale [...]
Noi futuri “grandi vecchi”.
In pensione nella previsione nelle due distinte fasce ci siamo io e mia figlia maggiore.
Queste innovazioni demografiche rendono la vita più bella (‘tu sei sempre più bella vita’) ma tendono ad alterare in modo irriconoscibile la antica ‘disciplina della terra’, l’ordine della natura e delle generazioni, il mondo degli antenati.
Gli antenati non sanno più niente del mondo, i nonni non sono più saggi.
Bambini adulti antenati
Adulti e bambini non sono gli stessi uomini – ci avverte l’antropologia, né le differenze tra loro sono simili dappertutto, si tratta invece di modalità diverse dell’esser uomini, distinte e fortemente altre. Le differenze di generazione sono parte costitutiva delle differenze interne delle società, del loro multiculturalismo. I ‘cuccioli dell’uomo’ hanno mondi e regole di sviluppo che le istituzioni hanno studiato e posto al centro delle pratiche educative, creando perfino dei diritti dell’infanzia specifici (che però tendono a imporre il modo occidentale di pensare i bambini e i diritti). Bambini e adulti costituiscono ‘mondi mentali’ diversi, connessi da sistemi di interfaccia, che possono essere rappresentati con diverse immagini, ad esempio il tram opposto all’autobus in una canzone popolare americana, il serpente opposto alla rana in una tradizione africana. Famiglie e istituzioni hanno sempre cercato di riconoscere e di riorientare il mondo mentale dei bambini, di condividere fino all’immedesimazione (il baby talk...) e di guidare alla trasformazione. Spesso il pensiero più critico degli adulti ha giocato la carta del pensiero bambino come immagine di semplicità e sincerità, socialmente smarrita.
Pasolini (Bestemmia):
A un ragazzo
tu con fresco pudore e ingenuamente senza
pietà scopri per te per noi la tua presenza
[...] vieni tra gli amici adulti e fieramente
umile, ardentemente muto, siedi attento
alle nostre ironie alle nostre passioni
ad imitarci e a esserci lontano ti disponi
Bufalino (L’amaro miele):
Nei disguidi del tempo
ieri ero tuo padre
oggi tuo figlio chissà
se un giorno avrò la tua età.
Nel cuore del problema
Le tendenze demografiche, le forme di istituzionalizzate e mediatiche di trasmissione di saperi e conoscenze, hanno mutato radicalmente nei paesi occidentali l’ordine delle generazioni e “la disciplina della terra”. Le generazioni anziché confrontarsi nella loro asimmetria, essere chiuse da riti di iniziazione, essere determinate e distinte nelle loro fasi di trasformazione, sono affiancate in una sorta di arcipelago accomunato dall’esposizione ai media. Ogni bambino ha oggi più nonni e zii e meno fratelli e cugini di quanti avesse in passato. La tendenza alla individualizzazione come ‘perdita radicale’ di cogenerazionali scalati nella rete familiare, è anche perdita delle differenze vicine in cui esplorarsi, riflettersi, distinguersi. La perdita di valore della morte e della trasmissione simbolica di valori da trasmettere fa perdere il senso familiare della trasmissione: già in molti centri urbani si portano oggetti cari, ricordi familiari, testimonianze a delle istituzioni: musei, archivi, centri pubblici che diventano nodi collettivi delle memorie private e familiari non più custodite. I lari e i penati sono stati trasferiti alle istituzioni.
L’individualizzazione dei bambini, fortemente percepita nelle testimonianze delle nuove colf multicontinentali come perdita della socievolezza pubblica, case lustre e inaccoglienti, l’oscillazione tra chiusura in casa e affidamento alle istituzioni, traslazione automobilistica in agenzie di attività fisica professionalizzata, la scomparsa della ‘pipialla’ (l’espressione è campidanese, corrisponde al ‘pimpinara’ romano), frotta ululante di bimbi e di bande, per le strade piene di auto, la tendenza alla chiusura dei bambini in casa, nelle reti selettive di amicizie, nei luoghi della formazione extrascolare professionalizzata (piscine, scuole di danza, centri sportivi etc...) tende ad accumularsi alla mancanza di fratelli e cugini nel favorire una forte solitudine dei bambini, rispetto ai coetanei, a far recedere la formazione spontanea nel gruppo dei pari e le dinamiche di fratellanza amicizia. L’accrescimento senza precedenti di nonni e loro cogenerazionali viventi tende a non essere valorizzato se non in funzione di custodia e di supplenza, per la svalorizzazione familiare del messaggio testimoniale ereditario. Ma c’è un nuovo, forte e felice rapporto tra nonni e nipoti, visibile nell’attesa dell’uscita da nidi, asili, scuole. Sono nonni ormai i protagonisti delle generazioni della modernizzazione che sono stati spesso anche padri attivi. Nonni del ’68. Anche se le statistiche ogni tanto informano che cresce il dialogo bambini – computer, e decresce quello tra bambini e nonni.
Festa di fine anno in un nido: 15 bambini e più di 60 adulti. 4 adulti per ogni bambino 1. Noi siamo in 7 per il nostro nipotino, ma avremmo potuto essere in 11 (mancavano due bisnonne e una zia) . Ci sono complessi nessi generazionali e territoriali, sono presenti dai nati nel 1920 i nati nel 1999, ottanta anni di generazioni e di storie, ci sono voci meridionali con nipoti ultratoscani. Il nostro nipotino nato a Siena è di sangue senese, grossetano, lucano,sardo, pugliese, piemontese e lombardo. Ma c’è un vuoto totale dei ragazzi dai 12 ai venticinque anni: un altro mondo. Genitori maschi giovani si aggirano con telecamere anche sofisticate, tutto viene ripreso. Le madri hanno macchine fotografiche. Il nido ci ha fatto incontrare qui, intorno a una festa che ha al centro i bambini, connessione tra generazioni che non si incontrano più.
Bambini che sempre più i genitori con un contratto per il quale li “socializzano” secondo regole istituzionali affidano per una grande parte del tempo diurno a servizi educativi per l’infanzia, recedendo al loro uso educativo , consapevoli che nelle società complesse la socializzazione e istituzionalizzazione dell’infanzia è condizione di tante cose, dai primi saperi e regole sociali al lavoro delle donne. È una mossa di politica della vita, anche se poi il controllo e la discussione tendono a venire meno. Così è stato per le mie figlie ed ora è per i loro figli miei nipoti. I bambini incontrano precocemente figure di riferimento professionali che concorrono a definire le regole del comportamento pubblico, talora più dei genitori.
Negli spazi istituzionali, privati o pubblici, nidi e servizi dell’infanzia, i bambini hanno l’esperienza sostitutiva della “banda” chiassosa, talora cenciosa, che percorreva le strade delle città prima degli anni’60, senza automobili. Hanno l’esperienza sostitutiva del gruppo dei pari e di possibili esercizio di fratellanza e di amicizia, almeno ne apprendono le possibilità e le regole di coesistenza per sviluppi che verranno dopo, hanno l’esperienza e la vicinanza della diversità sessuale. L’istituzione si fa carico della memoria della crescita (disegni, confronti tra anni) e talora della memoria orale (trasmissione di storie, racconti, immagini). Fuori dell’istituzione dai 4 agli 8 adulti per bambino, di generazioni diverse attendono l’uscita. In auto.
Possono le istituzioni essere Kpéngbén ed avere la saggezza degli anziani?
Nel caos terribile delle città, degli anonimati, dei conflitti potenziali di generazione, di frattura dagli antenati, delle istituzioni la cui cultura si fa sempre più astratta e slegata dalla vita, senza memoria trasmessa oralmente e con una memoria istituzionale trasmessa solo scrittualmente come Storia, nei semafori intasati e nei televisori caldi d’uso, nello shopping disperato dell’ora di chiusura, nel diluvio universale dei gas di scarico, il mondo dei servizi dell’infanzia può essere pensato come l’Arca di Noè di una ricomposizione possibile, un luogo di lettura del caos che ne ricomponga i frammenti di senso possibili? Può avere l’autorevolezza degli anziani e il riconoscimento collettivo delle istituzioni?
Nonni antenati futuri
E i nonni?
I legami di parentela che le città del novecento vivevano come vincoli , limiti , dominate dai padri padroni, ora in uscita dal secolo sono sentiti come legami simbolici di memoria da riattivare, senza più il potere di comando del passato. E i nonni dismessi con l’arrivo della Tv mentre raccontavano ancora delle trincee del Carso, si reincontrano con i piccoli come nelle immagini della famiglia contadina de “L’albero degli zoccoli” o nelle riflessioni di Claude Lévi Strauss sulla vicinanza delle generazioni estreme, che rappresentano il mondo dei morti e dell’instabilità e vengono sentite minacciose verso il mondo degli adulti, gli iniziati. Le città tra nipoti e nonni possono essere riconosciute ancora come villaggi, parentele e vicinati vi sono ancora importanti, e nel loro scorrere nel tempo: «la dove c’era l’erba ora c’è - dice il nonno Celentano – una città», e Zio Fazio «Pensi che qua era tutta campagna». Il tracciato tra nonni e nipoti è come la ricerca della “nuova disciplina della terra” che ci aiuta a leggere il caos come comprensibile, essa non è ritorno al passato, non ci sono più tanti bambini e così pochi nonni, un minestrone di verdure non si fa più in molte ore di lavoro, e nel passato c’era povertà, emigrazione, sopraffazione. Il mondo dei bambini e dei nonni vicini è il mondo della democrazia di Nonno Cesare Zavattini, è un mondo nuovo, nato dalla resistenza e dal benessere con i suoi enormi limiti, ma anche le sue grandi libertà.
La disciplina della terra
Sono i padri e i figli
I cani che guidano le pecore
Tutti quei nomi dimenticati
Sotto la mano sinistra del suonatore
......
Tu sei più bella di ieri vita
Che a tutti ci fai battere il cuore
Ed è proprio questo che ci piace tanto
.......
(Ivano Fossati, La disciplina della terra)
Infine
Riconnettere le ragioni di felicità oltre quelle di terrore del futuro. Rileggere la disciplina della terra oltre la rottura delle radici e nelle radici riconnettibili. Questa sfida è particolarmente adeguata alla prima infanzia ed è particolarmente sfida contraddittoria: noi nonni sappiamo che una nuova nascita è una felicità, una promessa di un mondo più bello, dentro un rischio di guerra e di apocalissi ecologica, di esaurimento di risorse del quale siamo corresponsabili.
Nel labirinto individualistico delle città quello tra nonni e nipoti è un possibile filo di Arianna, non è congiuntura né l’urgenza di padri e madri, ma memoria del tempo esperito, pazienza di incontri difficili, possibile trasmissione e tradizione, traccia genealogica che si sviluppa in reticoli tra parenti e regioni e continenti. Il bambino televisivo va ripiantato nella terra genealogica.
Pasolini (Trasumanar e organizzar):
cari studenti medi non ho voluto essere padre
ma non mi rifiuto, lo confesso, di essere nonno
L’istituzione costruisce le reti, riallaccia i fili attraverso pratiche formative di individui, fa memoria , diventa il luogo degli antenati trascurati nei mondi privati. Nobile fardello. Così non è affatto strano che le istituzioni della prima infanzia si facciano esse luogo di supplenza istituzionale dei fili intergenerazionali perduti nei contesti privati, delle fraternità perdute e delle cuginanze perse nelle famiglie a basso tasso di natalità. È dalle loro feste di fine anno che si possono leggere con sempre più coscienza anche di come le istituzioni possano essere simpatiche, umane, lievi, pur restando istituzioni, istituzioni amiche dei singoli di ogni generazione, il mondo può essere riconnesso oltre la frammentazione. Come nell’esperienza dei poeti. Un mondo il cui filo di comprensione , di speranza e di critica spietata di noi adulti, e di riconnessione anche con gli antenati nasce da quell’esperienza lieve di corsa sulla stranezza del mondo dato che è del Pinocchio bambino di Comencini, della Zazie nel metrò di Queneau, e del mondo bambino della possibilità in Miracolo a Milano, in ET o nella regista Archibugi e in tante altre cose che sarebbero piaciute a Zavattini o che a lui si ispirano.
* Il testo nasce nella collaborazione con “Pistoiaragazzi” ed è dedicato agli operatori comunali dell’infanzia che vi operano.