home>interventi/interviste> Su Renato Solmi

Su Renato Solmi. 

Luca Baranelli



Se mi sono deciso a questo breve intervento non è solo per le insistenze di Giovanni La Guardia, ma perché credo che ognuno di noi debba esprimere riconoscenza a Renato Solmi per quello che ha fatto nella sua vita di studioso, insegnante e militante, e che si riflette almeno in parte nell’Autobiografia documentaria. Rispetto ad altri, io ho anche un debito di riconoscenza personale e ormai quasi cinquantennale con lui, che nella primavera del 1962 favorì il mio ingresso da Einaudi. Ero un laureato come tanti, e ancora mi domando per quale concorso di circostanze Renato fu indotto a darmi fiducia. Fatto sta che lui, il redattore di maggiore spicco della casa editrice, fu licenziato un anno dopo, nell’autunno del ’63, per presunte e pessime ragioni di Realpolitik aziendale; e io invece vi rimasi fino al 1985.
    Quando arrivai da Einaudi sapevo in modo generico ciò che Renato aveva fatto e scritto nel decennio precedente. Nell’anno e mezzo che lavorai al suo fianco, in quello che fu il mio apprendistato editoriale, egli non si occupava più di Adorno e di Benjamin, ma aveva la responsabilità di una collana di attualità politica, i Libri bianchi, consona alla mia formazione e ai miei interessi. In quegli anni aveva conosciuto in casa editrice Raniero Panzieri e si era avvicinato all’attività politica e di ricerca dei Quaderni rossi. Aveva inoltre cominciato a studiare a fondo il problema degli armamenti atomici e del disarmo nucleare.

Come sapete, e come l’Autobiografia documentaria mostra, la sua scoperta di Minima moralia risale al 1952, appena un anno dopo la prima edizione tedesca (si veda la recensione apparsa nel febbraio del ’53) e l’edizione ridotta da lui curata appare nel 1954; la sua raccolta benjaminiana Angelus novus esce nel 1962 (ma Renato ci aveva lavorato in anni precedenti); e la traduzione della Dialettica dell’illuminismo è portata a termine nel 1961, anche se sarà pubblicata nel 1966, quando non era più da Einaudi, con lo pseudonimo di Lionello Vinci (solo nel 1980, nell’edizione della collana Einaudi Paperbacks, sarà accreditata a Renato Solmi).
Ricordiamoci anche che quando Renato scoprì, propose, tradusse e introdusse in Italia quel libro era un giovane fra i venticinque e i ventisette anni. Qualche anno fa proprio Renato mi disse ridendo che, quando era molto giovane e riempiva incessantemente quaderni di scritti, poesie, traduzioni, note e abbozzi, suo padre gli diceva scherzando che era come se scrivesse sotto dettatura dello spirito santo.
Sul lavoro di Renato per far conoscere in Italia Benjamin, Adorno e la scuola di Francoforte nel decennio 1952-1961 occorrerebbe forse un po’ di filologia editoriale per ristabilire una cronologia reale, diversa da quella fuorviante del catalogo Einaudi. A tal proposito, vorrei aggiungere che la nuova edizione integrale di Minima moralia uscì nella NUE nel 1979 in un modo che a me pare deplorevole: per sapere che è la prima traduzione italiana completa bisogna cercare una riga in corpo minore nella pagina del copyright; Renato Solmi compare giustamente come traduttore sia in frontespizio sia in sopracoperta, ma non si dice da nessuna parte che è stato lui stesso a completare e correggere la traduzione del 1954; e che le numerosissime note al testo sono sue. L’altra novità, più rilevante e a mio avviso scandalosa, è la scomparsa della sua Introduzione, anche se Leonardo Ceppa, autore della nuova Introduzione, dice subito, alla quarta riga, che quella di Solmi «fece epoca». Ma perché, allora, non includerla in questa nuova edizione? E perché non aggiungere le precisazioni contenute in una sua lunga lettera del 1977 al direttore di «Belfagor» (inclusa nell’Autobiografia documentaria, pp. 257-62)?

Nel 2006 mi ricordai, ci ricordammo, che l’anno successivo Renato avrebbe compiuto ottant’anni; e con Michele Ranchetti, suo amico dai tempi di scuola, pensammo di raccogliere tutti i suoi scritti editi in un volume della collana Verbarium, che Michele dirigeva nell’ambito della casa editrice Quodlibet. Il merito di questa iniziativa va comunque esteso al Centro Fortini e a Luca Lenzini; a Raffaella Solmi, sorella di Renato e preziosissima collaboratrice in tutte le fasi della lavorazione del libro, dal reperimento di alcuni testi giovanili alla correzione delle bozze; e alla mia carissima e compianta compagna Fiamma, che collaborò alla scansione e al controllo dei testi originali. Per me rivendico il compito più ingrato: avere costantemente e ostinatamente incalzato Renato nei mesi in cui il libro prendeva forma; ed essermi molto arrabbiato con lui, e con successo, quando minacciava di non volervi includere le sue Introduzioni a Adorno e Benjamin, e in particolare quella a Minima moralia (una singolare coincidenza censoria con chi aveva approntato l’edizione Einaudi della Nue), o quando non sapeva decidere che taglio dare all’introduzione. La struttura del libro e la divisione in sette sezioni tematico-cronologiche sono invece opera di Renato.
Degli scritti che compongono il libro posso dire che avevo letto in tempo reale quasi tutti quelli delle ultime tre sezioni, che Renato scrisse e pubblicò nel corso degli anni ’60 e ’70 del Novecento sui «quaderni piacentini», nella Serie politica Einaudi e in altre sedi. Se la sezione La contestazione nella scuola documenta l’impegno e il lavoro da lui profusi nei lunghi anni del suo insegnamento (ma sappiamo che ci sono, ancora inediti, molti materiali didattici che Renato preparava per i suoi corsi di filosofia e di storia), quella dedicata alla Nuova sinistra americana, alla guerra del Viet Nam e ai movimenti pacifisti contiene testi di grande rilievo sia documentario sia teorico (spesso gli spunti teorici più innovativi vanno cercati nelle note). Negli Sguardi sul passato, infine, Renato riannoda i fili della sua biografia rendendo omaggio a familiari come il padre Sergio Solmi, grande critico poeta e scrittore del Novecento, a un amico fraterno come Luciano Amodio e ad altre figure di amici e compagni come Delfino Insolera (a cui il libro è dedicato), Raniero Panzieri (che interagì intensamente con Renato nei primi anni ’60), Sergio Caprioglio e altri ancora.

Io non ho alcuna formazione e competenza filosofica. Ma penso di poter ugualmente apprezzare l’Introduzione di Renato a Minima moralia come un testo quasi miracoloso per l’immaginazione critica e lo stile; e per quel che vale la mia impressione, mi pare che essa sia all’altezza di Adorno. A mo’ di esempio vorrei leggervi il paragrafo 7 dell’Introduzione a Minima moralia.

7. La critica della cultura – ed intendiamo, con Adorno, la critica conservatrice e romantica – ha già attirato l’attenzione sul fenomeno delle vacanze. Esso riproduce, su più vasta scala, l’antinomia di lavoro e svago caratteristica della società borghese. (Non per nulla le vacanze, sconosciute ai Greci dell’epoca classica, sono state inventate dai Romani: il concetto di vacanza è strettamente connesso alla separazione di pubblico e privato e alla fondazione dello «stato di diritto».) Ma con la trasformazione della società borghese in società di massa, o, se si preferisce, con la decadenza della società borghese, anche le vacanze entrano in una fase qualitativamente nuova. Gli antichi concepivano le vacanze come espressione tipica del privato, come l’otium per eccellenza: consoli e oratori si ritiravano nella villa tiburtina o prenestina, dove attendevano alle letture e ai piaceri della vita campestre. Questa concezione ritorna nel Rinascimento, e perdura – pressoché immutata – durante tutta la parabola ascendente della borghesia. Le vacanze rappresentano l’apoteosi della vita privata, e instaurano – o tendono ad instaurare – un felice equilibrio tra civiltà e paesaggio, proprietà privata e natura. L’aurea mediocritas della villeggiatura borghese fa parte di quell’«apparenza di vita» che Marx concedeva ancora agli sfruttatori del suo tempo. Ma che cos’è rimasto, oggi, di quell’apparenza? Nell’aggiornamento della celebre definizione marxiana è la sostanza delle considerazioni di Adorno. Al dominio – sempre più totale – del lavoro alienato fa pendant l’alienazione delle vacanze. Anche qui, come altrove, l’alienazione si presenta come esasperazione, tendenza all’eccesso. Il borghese vorrebbe dimenticare di esserlo. Il soggiorno in villa era la proprietà quieta, trasparente e compiaciuta della propria essenza: fonte di energie per la proprietà in movimento, impegnata nella lotta e nella concorrenza. Oggi, nelle vacanze, il borghese vorrebbe cancellare la propria determinazione di classe, e provare – con falsa evidenza – la tesi in cui non crede più da tempo: che il borghese è l’uomo, e l’uomo è il borghese. È questo il senso del ritorno alla natura. Il borghese in slip sfida chiunque a riconoscerlo, e crede di essersi liberato per sempre di bastone e bombetta. Ma la nuova barbarie non fa che smascherare la vecchia. Col proprio corpo, il borghese mette a nudo la propria essenza: e la sua verità perviene a se stessa. Mentre i resti della borghesia ottocentesca trascorrono le loro ferie piovose in piccoli châlets di montagna, dove famiglie numerose e timide convivono in living-rooms troppo stretti e cercano di proteggere la loro autonomia dalla minaccia permanente della canasta, la canaglia up to date si raccoglie nel collettivo della spiaggia. L’opposizione, ormai diffusa, non è meno falsa della promiscuità che denuncia. Lo snobismo dei gruppi che si dànno convegno – anno per anno – in un’isola selvaggia e fuori mano, fieri della differenza e della propria scoperta, è di cattiva lega come lo humor di certi bohémiens attardati che si distinguono dai borghesi solo perché sanno fare loro il verso. Ma l’ultimo termine di questo sviluppo è nella falsa abolizione del contrasto. Come l’automobile diventa uno strumento di lavoro, e il sonnellino è in funzione del profitto, sparisce la distinzione di attività e riposo, di vacanza e trasferta. Il privato è sussunto – in tutto e per tutto –sotto lo schema della produzione. Come i managers ultimo modello fanno a meno delle vacanze, sparisce il confine tra lavoro e tempo libero, e il primato del rendimento penetra nelle reazioni più sottili. Tutto diventa, anche contro la volontà dei soggetti, oggetto di calcolo. Ma a chi teme di perdere ogni minuto, i minuti fuggono tra le dita. L’integrazione del tempo libero è la caricatura della vera vita. Ritorna, anche qui, uno schema tipico di Adorno: l’autonomia sparisce nella negazione della differenza, e la società totalitaria è la verità della società borghese.



Vorrei concludere con un auspicio. Alcuni di noi sanno che Renato conserva numerosi testi e materiali preparati per le sue lezioni d’insegnante di liceo; la traduzione integrale di Della guerra di Clausewitz; versioni integrali o parziali di grandissimi poeti dell’Ottocento; e anche poesie giovanili proprie. Bisognerebbe che amici ed estimatori gli facessero sentire il grande interesse che c’è per questi suoi lavori inediti e lo incitassero a pubblicarli. Mi sembra che proprio l’esperienza felice dell’Autobiografia documentaria – un libro nato dall’iniziativa di un gruppo di amici – ci possa incoraggiare a farlo.

Siena, 14 dicembre 2010.

    [31gennaio 2011]

home>interventi/interviste> Su Renato Solmi.

  • home
  • chi siamo
  • note redazionali
  • notizie
  • recensioni
  • interventi/interviste
  • fortiniana
  • archivio Franco Fortini       

  • link