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“un outsider che interviene, non fa testo, e poi se ne va…”: Michele Ranchetti (1925-2008)1

Paola Di Cori


1. uno studioso non comune


All’interno del panorama culturale italiano degli ultimi decenni una contrapposizione potrebbe bene sintetizzare la figura di Michele Ranchetti, il quale sembra oscillare come tra due punte estreme. Da un lato, egli è stato venerato come Maestro con la M maiuscola da un numero consistente - seppur limitato - di allievi, amici, lettori, e intellettuali (toscani, lombardi, torinesi, napoletani; ma anche tedeschi, francesi, inglesi) che avevano avuto modo di conoscerlo e incontrarlo fin dal dopoguerra nel corso delle innumerevoli iniziative che per decenni l’hanno visto agire in Italia da acutissimo e discreto protagonista della vita culturale e del dibattito su temi storico-filosofici e sulle pratiche religiose post-moderniste2. Dall’altro lato, Ranchetti rimane un nome molto poco conosciuto; ancor meno letto e apprezzato, perfino presso un pubblico colto; così in vita, ma ancor di più dopo la sua scomparsa, avvenuta nel febbraio del 2008. Essere stimatissimo da pochi e sconosciuto da molti, è stato anche ciò che ha contraddistinto le numerose attività editoriali da lui promosse, le poesie e i tanti scritti sparsi in riviste e pubblicazioni di genere assai diverso. Era un intellettuale che amava insegnare, promuovere riviste, gruppi e seminari, appoggiare iniziative (possibilmente marginali), riscoprire testi inediti, pubblicare in luoghi raffinati esercitandosi nella cultura alta. Al tempo stesso appoggiava generosamente con il proprio straordinario ingegno gli sforzi iniziali di giovani e poco noti gruppi ed esperienze, cui si sentiva attirato da una profonda simpatia umana e da una insaziabile curiosità teorica.
La sua immensa versatilità, la riluttanza a fabbricare dense monografie ‘definitive’ di stampo tradizionale, il rifiuto e l’estraneità all’autopromozione accademica, editoriale o politica, l’impegno nell’analisi critica delle forme di religiosità in epoca storica come nella contemporaneità – tutto ciò lo colloca accanto a uno sparuto gruppo di brillanti intellettuali animatori della vita pubblica, rimasti indipendenti da sette e conventicole, famiglie e partiti influenti, ai quali negli ultimi decenni spesso chi vive e lavora in Italia guarda con profondo rispetto e ammirazione, nostalgia e desiderio per un modello che in terra italica sembra quasi irraggiungibile. Questo spiega anche la forte attrazione che in anni recenti si è sviluppata intorno all’opera di Ranchetti3.
E intanto è indispensabile qualche breve cenno biografico4.
Ranchetti nasce nel 1925 a Milano da una famiglia benestante e trascorre, nelle sue stesse parole, “un’infanzia felice e protetta”. Da giovane frequenta gruppi di cattolici post-modernisti, studia storia all’Università Statale di Milano con Federico Chabod, e nel 1951 va a Ivrea, come segretario di Adriano Olivetti che sta costruendo una ‘comunità’ fatta di tecnici e di umanisti. In quella occasione diventa amico di Franco Fortini5. Avvia fin dal dopoguerra una impegnativa, instancabile e assai intelligente attività di consulente presso alcuni tra i principali editori italiani del dopoguerra – Garzanti, Einaudi, Boringhieri, Feltrinelli, Adelphi; più di recente ha lavorato per la casa editrice Quodlibet di Macerata. Dopo una collaborazione con Delio Cantimori, nel 1973 diventa ordinario di Storia della Chiesa all’università di Firenze, dove insegna fino al 1998. Dedica le sue lezioni universitarie alla lettura di testi poco noti della storia e della filosofia dell’età moderna e contemporanea, ma anche ad approfondite rivisitazioni di Wittgenstein. Un corposo volume che raccoglie scritti di allievi e amici – Anima e paura – pubblicato nel 1998 in occasione dei suoi 75 anni, illustra l’ampio raggio di influenza del suo insegnamento6. Oltre a un importante libro sul modernismo cattolico del 1963 (tradotto in inglese)7, la sua produzione è di una straordinaria eterogeneità, come testimoniano i quattro volumi di Scritti diversi, a cura di Fabio Milana, pubblicati nel corso dell’ultimo decennio – una indispensabile raccolta di scritti scelti che senza dubbio costituisce la migliore fonte per cominciare a conoscerne l’opera8.
Fin da bambino aveva cominciato a scrivere poesie, suonare il pianoforte, composto musica e si era dedicato anche al disegno; come testimonia una raccolta stampata di quelli che lui definisce “disegni scritti”9. La poesia diventa “una sorta di elaborazione privata” che lo accompagna come una vita parallela; un luogo “da cui far partire i tracciati della mente e degli affetti”10. Ormai in età matura, nel 2001 vince il Premio Viareggio per la raccolta poetica Verbale11. Un grande riserbo sulle vicende della vita privata caratterizza tutte le interviste e autoritratti scritti12.
L’estrema versatilità di Ranchetti rende difficile il compito di descrivere il suo percorso formativo, che certamente non avvenne mai attraverso passaggi ‘cumulativi’, di incremento progressivo della conoscenza. Nelle pagine di affascinante autoritratto che egli costruisce negli ultimi anni di vita – e intitola in tedesco, Über sich selbst – immagina di comporre il proprio necrologio, e scrive di sé: “Ha insegnato molto e non ha imparato ‘niente”13. Vede infatti se stesso imparare e conoscere non come chi attraversa delle fasi ascendenti di apprendimento, quasi salisse i gradini di una scala; ma il contrario. Il suo è il percorso di colui che cammina in una direzione divergente; qualcuno che non sceglie “un itinerario verso una certezza o almeno una persuasione conoscitiva, estetica, morale, religiosa”. Privo di tensione verso una meta futura, egli avverte in se stesso la forza contrastante di qualcosa che funziona come un sostegno immodificabile, simile a un “deposito originario rimasto immutato, direi intangibile, in larga misura inconscio”. Ai momenti differenziati di uno sviluppo ascendente avverte come sempre presente la forza opposta e ignota: “un assieme indistinto di un sapere diverso, di cui non conosco l’origine e la provenienza”. Sono considerazioni che contribuiscono a illustrare i momenti chiave di quell’incessante riflessione sulla storia che lo accompagna fin dal dopoguerra: la comprensione del tempo presente, l’elaborazione di un’etica civile, la lettura critica della situazione politica. Intorno a questi nodi convergono insieme sia l’impegno nella scrittura poetica che gli studi sulle figure di riferimento fondamentali della propria elaborazione intellettuale: Freud, Wittgenstein e Benjamin.
Gli studi intorno ai tre ‘maestri’ lo impegnano per molti anni a livello didattico ed editoriale; ma è soprattutto nel corso degli anni ’90, nella piena maturità, dopo la caduta del muro di Berlino e i grandi mutamenti negli equilibri politici internazionali (guerra del Golfo, guerre nei Balcani) e nazionali (processi di Mani Pulite, crollo della cosiddetta Prima Repubblica, ascesa di Berlusconi) che la triade sembra esercitare l’influenza maggiore. La scrittura di Ranchetti appare animata in questi anni da una nuova radicalità e dal bisogno impellente di decifrare il tempo che si sta vivendo. Nell’eco poetica di Verbale risuona la stessa urgenza: “La previsione non può avverarsi se coincide/ con il presente: la poesia si annulla/ nell’esistente, la ragione penetra solo nell’oggi”. Poco più avanti si stagliano i tre versi: “Per sempre o per un poco/ Il confronto non regge: il tempo/ È immisurabile presente”14.
Per le sue profonde conoscenze della cultura e della lingua tedesca tra ‘8 e ‘900, oltre che di misticismo, di religioni occidentali e orientali, lo vediamo protagonista di insostituibili imprese editoriali, tra cui spiccano, per importanza: il contributo determinante all’edizione delle opere complete di Freud, la cura di alcuni inediti di Wittgenstein (oltre a una biografia per immagini uscita in tedesco15) e di Michel de Certeau16; nuove traduzioni delle poesie di Celan e di Rilke, l’edizione di scritti poco noti di Adorno e di Taubes, la presentazione di testi di Ved Mehta, di Scholem; una nuova edizione critica delle Tesi sulla filosofia della storia di Walter Benjamin. E poi: puntuali recensioni, commenti, riflessioni sulla storia del cattolicesimo e su esperienze divergenti come quella dell’Isolotto, di don Milani, di Dossetti, di Turoldo17.
Tuttavia, nessuno di questi diversi ambiti diventa mai un’area di interesse esclusivo; al contrario, ciascuno funziona invece come elemento di riequilibrio e contrappeso che consente allo studioso raffinato di riuscire ad elaborare creativamente una smisurata capacità di energia intellettuale ed emotiva, base della fondamentale tensione etica che ha contraddistinto l’intero percorso di vita e di lavoro. Così è per la psicoanalisi e per quelle che sono state le sue principali figure di riferimento intellettuale – Wittgenstein, Freud e Benjamin. Nei paragrafi seguenti mi soffermo sul rapporto che Ranchetti ha avuto con l’opera e la biografia di ciascuno di essi.

 

2. I manoscritti di Wittgenstein

Wittgenstein, di cui introduce nel 1999 i Diari, gli appare come il modello di un pensiero che “ non distingue fra esperienze della vita corrente e riflessioni di più forte connotazione teoretica”18. Pochi anni prima, nella prefazione alla biografia scritta da Monk, commentando le scelte spesso incomprensibili di Wittgenstein (quella di voler diventare maestro, per esempio), riprendeva le spiegazioni date dal filosofo, il quale aveva voluto descrivere se stesso e il senso della propria vita come simile a “quel tale che si dibatte per mantenersi in equilibrio durante l’infuriare della tempesta e che, all’occhio di chi lo guarda attraverso i vetri che non lasciano passare la violenza del vento, sembra compiere movimenti del tutto privi di senso”19. Un’immagine che rimane tra le preferite da Ranchetti per descrivere i suoi personali percorsi intellettuali e religiosi.
Lo studio dei testi originali dei suoi maestri è al centro della acutissima attenzione filologica di Ranchetti; una vera e propria passione che rimane tra i caratteri distintivi del suo lavoro e che spiega le posizioni di grande radicalità da lui assunte in veste di traduttore, consulente e responsabile di testi editi e inediti dei suoi tre grandi maestri. Lo studio del pensiero di Wittgenstein, e in particolare le vicende delle controverse edizioni dei manoscritti è tra i principali impegni negli anni ’60. Per molti anni, ricorda nel 2005, insieme a Marino Rosso ha tentato di lavorare sulle migliaia e migliaia di pagine in tedesco tentando una lettura accurata del contesto intellettuale e temporale in cui erano state scritte20. L’imperizia, talvolta condita con una dose di superficialità, qualità che spesso contraddistinguono le edizioni divenute famose dell’autore del Tractatus, scatenano una rabbia malcelata e anche un notevole sarcasmo.
Pochi mesi prima di morire, Ranchetti ripercorre le vicende che hanno caratterizzato i suoi numerosi tentativi per fare un’edizione critica e filologicamente attenta dei molti manoscritti lasciati inediti da Wittgenstein e affidati alle cure degli allievi Anscombe, Rhees, e von Wright21. Come egli stesso ha cercato più volte di documentare, i tre si sono resi colpevoli di una sistemazione alquanto arbitraria dei testi del filosofo austriaco. Del tutto indifferenti alle intenzioni del loro maestro - il quale aveva dato istruzioni per pubblicare i materiali così come essi si trovavano alla sua morte - gli esecutori testamentari hanno invece disposto gli appunti secondo criteri del tutto opposti, riordinando quanto era stato pensato e scritto ‘in disordin È, e operando per tagli che hanno introdotto scansioni arbitrarie all’interno di un lascito “che costituiva un insieme continuo”, non corrispondenti alla situazione dei manoscritti come li aveva lasciati l’autore del Tractatus22. Questi interventi non soltanto hanno irreversibilmente condizionato una interpretazione assai discutibile del pensiero di Wittgenstein, ma hanno trascurato di prendere in considerazione almeno due aspetti per Ranchetti fondamentali: la lingua e il rapporto tra “il modo di vita e i modi del pensiero”23.
Per quel che riguarda il primo aspetto, il problema che viene sollevato è quello di un pensatore austriaco che fa lezione in inglese ma scrive in tedesco. Questa asimmetria tra oralità e scrittura ha provocato, a parere di Ranchetti, “uno spostamento (Verschiebung) della comprensione del suo pensiero”24. Come accaduto anche nel caso di Freud [cfr. il paragrafo seguente], anche per Wittgenstein i lettori hanno avuto accesso al suo insegnamento attraverso le versioni di allievi che avevano ascoltato le lezioni in inglese, e solo successivamente si erano confrontati con la scrittura in tedesco. Ma questo confronto ha operato un cambiamento di direzione nel passaggio tra le due modalità (orale e scritto) e le due lingue; al punto che il pensiero si è trovato in qualche modo a essere dirottato “in una cultura che è la cultura di un territorio linguistico diverso e di tradizione differente e spesso opposta”25.
Dotato di un fine gusto per l’ironia, Ranchetti non manca di servirsene appena si presenta l’occasione giusta. E quale potrebbe essere migliore dell’incontro con la ’sacerdotessa’ responsabile della criticabile edizione in inglese di uno dei suoi amati maestri– la temibile Elizabeth Anscombe?
Quando egli si reca a Cambridge per incontrare i tre allievi famosi, nel tentativo di illustrare la propria intenzione di avviare un’edizione critica condotta su criteri diversi da quelli delle edizioni inglesi, subisce immediatamente l’attacco di Miss Anscombe, che lo accusa di arroganza. Ed ecco che nel rievocare l’episodio spiacevole, Ranchetti non manca di sfogare la propria stizza; con irrefrenabile desiderio di vendetta e una punta di misoginia, evidenzia una nota volgare nella scena, con l’allieva prediletta di Wittgenstein che parla mentre è intenta a un’operazione poco indicata alle circostanze: “…sono stato aggredito da lei, che continuava a tagliarsi le unghie con un’enorme forbice da carta: ‘Ma chi crede di essere, Lei, per criticare Wittgenstein?’” – lo investe Anscombe26. Alquanto sconsolato, Ranchetti non può che ritirarsi in buon ordine, rammaricandosi del fatto che i tre “non avevano alcuna idea della filologia, del rispetto del testo”, e così facendo avevano contribuito a produrre gravi deformazioni del pensiero wittgensteiniano27.
Più di ogni altra cosa, era andato perduto l’elemento alla base della attrazione che Ranchetti prova nei confronti dei suoi ‘maestri’: la ricerca ad ogni costo, pagando qualsiasi prezzo, per stabilire “una coincidenza tra vita e filosofia”. Nei diversi tentativi dei biografi di Wittgenstein è sempre mancata o era del tutto insufficiente l’idea di individuare i nessi tra “un’imperiosa volontà teoretica” e “una parallela incertezza etica”, tra la genialità e radicalità della sua ricerca filosofica, e gli aspetti ambivalenti o nascosti della vita privata. Quest’ultima, d’altra parte, è stata troppo spesso ricondotta soprattutto alle scelte omosessuali, “come se – osserva acutamente Ranchetti – l’omosessualità fosse volta a volta negata o asserita o rimossa, ma per mantenere un carattere primario tra le ragioni dell’esistenza difficile di Wittgenstein, come se ad essa si dovesse ricondurre la sua ricerca etica, le sue scelte di vita…”28.

 

3. Freud in italiano


Se gli anni di studi e ricerche su Wittgenstein sono motivati dal desiderio di individuare un esempio unico nel ‘900, “l’ultimo esponente di una vita filosofica”; nel caso di Freud l’ammirazione di Ranchetti è per la capacità mostrata dal fondatore della psicoanalisi di inventare un mondo nuovo; per essere riuscito a introdurre un lessico fino ad allora sconosciuto, e dato avvio – con la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni – a: “una nuova dimensione della ricerca che non distingue fra un genere e una scienza, un’autobiografia o autoanalisi e la scoperta di una componente della vita affettiva del singolo, una pulsione o una difesa, ossia inaugura un territorio della conoscenza in cui le distinzioni in un primo momento non devono aver corso, per poi ordinare in un secondo momento le differenti appartenenze”29. Amarezze assai grandi, in occasione del progetto di curare una nuova edizione italiana delle opere di Freud, dovevano accompagnare gli ultimi anni di vita di Ranchetti.
Come noto, in Italia la psicoanalisi non ha ancora trovato in tempi recenti uno o una storica (l’importante pionieristico libro del 1966 di Michel David, si ferma proprio nel momento in cui la psicoanalisi comincia a diffondersi nella società italiana, vale a dire negli anni ’60)30. Non c’è una figura paragonabile a quella di Elizabeth Roudinesco per la Francia o ai diversi studiosi che ormai da anni hanno prodotto ottime ricerche per l’Argentina, per l’Inghilterra o per la Germania31. Se per l’Italia tali ricerche sembrano difficili da portare avanti da parte di chi lavora ed è inserito nelle istituzioni ufficiali, il compito è stato ricoperto, con ottimi risultati, da chi non ha mai svolto la professione di analista. Ranchetti è stato forse l’unico intellettuale italiano ad essersi occupato per diversi decenni degli aspetti riguardanti la possibilità e il senso di costruire una storia della psicoanalisi. Aveva una profonda conoscenza della lingua tedesca, e una grande familiarità, avendoli studiati per anni, con le fonti, gli archivi, gli inediti, le amicizie e i conflitti dentro la cerchia dei collaboratori ristretti di Freud. Si era soffermato a lungo, e con rara competenza, sui problemi riguardanti la difficile – talvolta impossibile - traducibilità di alcune parole chiave del vocabolario tecnico della psicoanalisi. Aveva inoltre criticato senza mezzi termini, le scelte editoriali che erano state alla base della edizione per l’editore Boringhieri, a cura di Musatti, delle Opere di Sigmund Freud (OSF). Su tutti questi temi, il contributo di Ranchetti è stato illuminante, preciso, diretto a rendere problematicamente comprensibile un prodotto complesso e talvolta magmatico, che per le associazioni professionali e i loro affiliati è stato preferibile talvolta vedere ‘sistemato’ in bell’ordine al pari di un catechismo, piuttosto che considerarlo come un materiale che ha continuamente bisogno di essere decifrato. Di Freud, a Ranchetti interessava non solo la geniale impresa che condurrà alla psicoanalisi; ancora di più era attirato dall’interno dissidio etico, professionale e religioso di una mente tormentata32.
Anche se l’incontro con James Strachey prima di avviare l’edizione italiana delle opere di Freud, è stato assai diverso da quello con gli allievi/editori di Wittgenstein, e improntato a una grande cordialità, le questioni che stanno a cuore a Ranchetti sono assai simili: la lingua, e l’attenzione filologica. Accanto ai quesiti sulle fonti lacunose, ne spuntano altri non meno rilevanti, riguardanti il perchè “la parte dei ‘malati’ sia del tutto assente dalla ‘storia’: come se, ancora una volta, si trattasse di una storia scritta dai vincitori…”33. Inoltre, egli lamenta più volte il fatto che si pretenda di fare una storia unitaria di qualcosa che invece è “un insieme spesso contraddittorio di scuole di pensiero, di strategie di potere, di tecniche”34. Coerentemente, per molti anni continuerà a insistere sulla lacunosa storia della psicoanalisi in Italia, la scarsa valorizzazione del contributo di Weiss, le crociate dei cattolici, attraverso padre Gemelli, per emarginarla dalle università e per deprivarla di ogni significato etico. Come ricorderà nel 2006 parlando dell’assenza totale di Freud nella cultura italiana degli anni ’50 e ’60, dovuta alla presenza “dell’istruzione e della cultura cattolica, che escludevano per principio la psicoanalisi e tutto quello che poteva essere per principio alternativo alla coscienza religiosa da formarsi”35.
In effetti, la realizzazione di un’edizione italiana delle opere di Freud fu tutt’altro che semplice, nella ricostruzione più volta fatta da Ranchetti, il quale svolse un ruolo di primo piano dell’ideare, tradurre e diffondere la psicoanalisi fuori dalle cerchie istituzionali. Come egli stesso ricorda, si deve all’amicizia con Paolo Boringhieri, alla sua grande conoscenza del tedesco e all’indifferenza di Musatti e della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) per il progetto, che il primo volume – dei dodici che compongono questa edizione – riuscì a vedere la luce nel 1966.
Altamente controverso è stato invece il progetto di mettere mano a una nuova edizione, pubblicata sempre da Bollati Boringhieri ma condotta con criteri diversi dalla prima, e molto attenta al contesto di relazioni professionali, intellettuali e familiari di Freud. I primi volumi, usciti nel corso del 2005 sono stati al centro di un’aspra polemica, con strascichi giudiziari e animati dibattiti sui quotidiani e sulle riviste specializzate. Com’era da immaginarsi, una nuova edizione delle OSF, il cui fine è quello di rimettere in discussione l’opera ormai canonizzata del Fondatore, non poteva che attirare l’ostilità compatta della SPI e della principale traduttrice della versione precedente. Nel corso del 2005 e 2006, quando i primi volumi curati da Ranchetti escono e pochi giorni dopo vengono fatti ritirare dalla circolazione, le polemiche si moltiplicano dentro e fuori le istituzioni per riversarsi sulla stampa e poco dopo animare prese di posizioni assai nette ben rappresentate da due pubblicazioni, uscite entrambe nel 150° anniversario della nascita di Freud. Il fascicolo che la “Rivista di psicoanalisi”, organo ufficiale della SPI, dedica al corpus freudiano, include contributi di cinque psicoanalisti, e un’intervista a Renata Colorni sul problema delle traduzioni freudiane; tutti unanimi nella condanna della nuova impresa di Bollati Boringhieri, di cui vengono sottolineati soltanto sviste lessicali ed errori di impostazione generale. L’obiettivo è soprattutto quello di riaffermare l‘autorità e il diritto di primogenitura di Musatti e della SPI, con il risultato di considerare quello di Ranchetti (che allora aveva 80 anni) quasi un péché de vieillesse36. Diverso è invece il tono del numero speciale di “Psicoterapia e scienze umane”, che festeggia i quarant’anni di attività aprendo un corposo fascicolo con una lunga intervista all’amico e collaboratore di lunga data37. Ranchetti ripercorre ancora una volta i criteri e gli eventi principali che fanno da sfondo alla prima edizione, di cui è stato un protagonista indiscusso per la progettazione e i primi volumi, insieme all’editore; cui occorre aggiungere il fondamentale contributo di Elvio Fachinelli, traduttore, insieme alla moglie Herma Trettl, de L’interpretazione dei sogni, e considerato da Ranchetti “il più grande psicoanalista italiano”38. Da questa testimonianza, come anche dai numerosi saggi e interventi scritti nell’arco di quarant’anni39, tra i punti di maggior conflitto con l’istituzione psicoanalitica - di cui il confronto del 2006 è soltanto l’episodio culminante - emerge la questione di come fare una storia della psicoanalisi: per Ranchetti, si tratta di problematizzare quella che nei decenni è stata presentata come un’epopea coerente e unitaria. Per gli esponenti della SPI che scrivono sul corpus freudiano, è evidente che una ricostruzione storica è non solo priva di interesse specifico per gli analisti, ma tutto sommato anche priva di incognite di fondo, una volta apprese le nozioni fondamentali attraverso il lungo apprendistato sotto il controllo dell’istituzione, e risolte le questioni terminologiche con una accettazione della versione ufficiale consacrata nella prima edizione delle OSF.
L’altro elemento che vede Ranchetti in contrasto con Musatti (e con la SPI) riguarda la relazione, che è fondamentale in Freud, tra l’elemento teorico e conoscitivo da un lato, e quello terapeutico dall’altro. Mentre nel fondatore questi due momenti sono entrambi presenti, anche se non sempre distinguibili l’uno dall’altro, secondo Ranchetti si è prodotta una visibile scissione tra i due, con una prevalenza del secondo sul primo; e Musatti – aggiunge – “che è un totale scettico delle possibilità conoscitive della psicoanalisi, le ha ridotte ai minimi termini e ha puntato molto sul … valore terapeutico della psicoanalisi stessa”40.
Infine, anche se soltanto un accenno può essere fatto in questa sede, non si può tralasciare la questione – cruciale e delicatissima, che continua a tormentare analisti e studiosi di Freud da varie generazioni – della traduzione del lessico freudiano di base. La competenza di Ranchetti è su questo punto difficilmente confutabile. La sua conoscenza delle tante sfumature di una lingua che amava profondamente, in particolare attraverso i testi poetici più alti prodotti in tedesco nell’ultimo secolo (Rilke e Celan, da lui tradotti), unita alla conoscenza dello sfondo culturale austriaco su cui si muove Freud, lo pongono in una posizione di assoluta autorità. Basti pensare ai contributi intorno alla traduzione dei termini Affekte, Besetzung, Trieb41, e a quello sul giudizio. A proposito di quest’ultimo, egli si sofferma ad esaminare la principale fonte freudiana sul problema – la Critica del giudizio di Kant - e mostra in che modo Kant ‘entri’ per così dire in Freud, ma ne venga anche in parte modificato. Qui, inoltre, si trova anche una delle rare menzioni di Ranchetti su Lacan, che non è mai stato tra i suoi riferimenti preferiti. Proprio intorno al rapporto tra giudizio medico e giudizio morale non manca di rivolgere un ammirato e aperto omaggio al francese: “Su di esso l’unica grande opera che io conosca è il seminario di Lacan sull’etica”42.

 

4. L’etica nel presente: la scrittura di Benjamin
 

Dopo l’89 è soprattutto Benjamin, attraverso le Tesi, a costituire una guida nella lettura di quella realtà divenuta poco decifrabile; un mondo dove “‘il presente non sembra più corrispondere a nessuna forma di conoscibilità e non appartiene a nessun sistema di misura”. In esso “tutto sembra svolgersi fuori del tempo, o meglio, in un passato non più conoscibile anche se recente”. C’è una non riconoscibilità tra passato e presente, anche se le figure del passato rimangono come “figure assolutamente incomprensibili, veri mostri”43. Da queste esigenze, tutte costruite intorno a una incessante e radicale interpellazione, nasce la nuova edizione delle Tesi sulla filosofia della storia, corredata di molti materiali inediti, che egli cura nel 1997 insieme a Gianfranco Bonola. Qualche anno più tardi si sofferma ancora una volta a descrivere la congenialità che prova per Benjamin, nonostante la difficoltà di una lingua che gli si presenta subito dotata di insormontabili difficoltà: “non immediata, non scorrevole”, “che respinge la traduzione”44. Al tempo stesso, sente fortissima l’ammirazione per una prospettiva “di interrogazione assoluta, non precostituita da competenze disciplinari”45. Quest’ultimo aspetto è sottolineato con forza come un obiettivo che non risponde a uno scopo di carattere intellettuale o a una vocazione, ma è dettato dalle circostanze; vale a dire dall’esclusione di Benjamin dall’accademia, e naturalmente anche da una predisposizione che lo porta a sviluppare una smisurata curiosità per gli argomenti più diversi e disparati, e a scegliere di non avere un fine predisposto, convinto – osserva Ranchetti – “che solo nella disponibilità nei confronti di ogni aspetto della scrittura e della vita consistesse per lui il compito non eludibile, il suo proprio”46.
È un testo squisitamente anticonsolatorio, che viene riproposto per “una necessità non rinviabile di conoscere il presente, per quanto oscuro possa essere e imprecise le forme di conoscenza, obsolete le categorie interpretative”47. Come altri lettori delle Tesi, anche per Ranchetti è indispensabile rilevarne il carattere profetico e a-sistematico. Esse sono “dettate da una necessità di ripensamento, e insieme di sopravvivenza, prima che si verifichino le condizioni della distruzione”48. La scrittura benjaminiana non fa che sottolineare questi elementi; è allusiva e imprecisa ma “elaborata fino al virtuosismo persino nel momento della confessione più disperata”. Benjamin ricorre alle immagini e mescola generi e stili diversi per l’impossibilità di dare una coerenza teoretica a una elaborazione dominata dall’urgenza del momento49.
L’edizione delle Tesi è forse il libro di cui Ranchetti si mostra più soddisfatto. Nato da un seminario svolto a Bologna, si tratta di un lavoro nel quale ha potuto impegnarsi nella cura filologica e insieme in quella del contesto. Non considera, infatti, che il prodotto finale costituisca in alcun modo una interpretazione, esso è piuttosto “un’offerta di suggestioni”, tratte da materiali diversi, tutti composti in periodi diversi da Benjamin stesso. Le Tesi costituiscono “un risultato in un certo senso finale del pellegrinaggio di Benjamin nel corso della sua breve vita, nei frammenti di conoscenza, di filosofia e di teologia, che l’avevano condotto al pellegrinaggio, all’itinerario e all’esodo da una storia che è diventata sempre più terrificante e persecutoria”. Per Ranchetti le Tesi sono qualcosa di diverso da una semplice edizione di testi; più che altro costituiscono “un controcanto alla sua opera omnia, così ricche e disperse, secondo un’altra prospettiva: quella della fine”50.
Il risultato di questa attenzione al testo, unita alla totale adesione allo spirito di cui è intriso, è una edizione esemplare per lo scrupolo con cui sono stati raccolti e sistemati, accanto alla versione per così dire ‘di base e più nota, i materiali preparatori delle Tesi - gli appunti provenienti dai manoscritti sui Passagen-Werk , lemmi sparsi su argomenti affini, documenti dalla cerchia degli amici (lettere con e tra Scholem, Adorno, Brecht, Ernst Bloch). È un’edizione che non rispetta né quella canonica dei Gesammelte Schriften, né alcun ordine strettamente cronologico. Scorrendolo, si ha l’impressione di avere tra le mani qualcosa di assolutamente nuovo, uno strumento straordinario per avvicinarsi al pensiero di un autore la cui caratteristica principale, come osservano i curatori è quella di essere “scrittore itinerante, figura per eccellenza del flâneur all’interno dei propri testi”51.

 

5. Pratiche religiose e culturali
 

Nel periodo della piena maturità Ranchetti continuerà a condividere con un gruppo di allievi e studiosi, spesso più giovani, il bisogno impellente di una osservazione critica sul presente. Ragioni di carattere etico, religioso e intellettuale incombono e trapelano da tutti gli scritti dell’ultimo decennio di vita come obiettivi personali non differibili. Questa determinazione lucida e tragicamente consapevole della necessità di denunciare i pericoli di un tempo caratterizzato da una profonda involuzione politica e istituzionale, costituisce ancora oggi un punto di riferimento per molti di coloro che un tempo avevano avuto un’esperienza interna alla Chiesa e se ne erano poi allontanati nel corso degli anni ’70, spesso seguendo l’ondata dei movimenti sociali e le prospettive politiche marxiste, ma avevano conservato un forte attaccamento ai principi cristiani. Nel secondo anniversario della morte il poeta e amico Ennio Abate ha così riproposto in rete - in un blog intitolato La poesia e lo spirito - una intervista fatta 5 anni prima a Ranchetti dopo la pubblicazione del suo libro Non c’è più religione, nel quale lo studioso non risparmiava critiche severe alle istituzioni ecclesiastiche, pur riaffermando i profondi vincoli personali che lo legavano al cristianesimo52. Nel blog si accende un animato confronto al quale partecipano, principalmente ma non solo, poeti e intellettuali interessati a dibattere su questioni inerenti il rapporto tra religiosità, cultura, politica, e società civile. Nel suo intervento, il curatore dei quattro volumi degli scritti – Fabio Milana – osserva che in quel libro è evidente “quanto interno sia l’Autore – almeno su un piano psicologico, che vuol dire insieme affettivo e ragionativo – a quella Chiesa che nel libro demolisce. Qualunque cosa ne dica e maledica, egli non può prescinderne. …in fondo io invidio e ammiro la capacità di indignarsi e denunciare che Michele (praticamente unico) ha conservato fino al suo ultimo giorno di vita, e che gli deriva appunto da quella radicale appartenenz”53.
Nel dialogo con Abate sono ben compendiate le questioni che tormentano Ranchetti: “c’è all’interno della professione di fede cattolica, cioè nella vita e nella dottrina del cristianesimo, qualcosa che imponga il suo pervertimento?”. Si chiede in seguito se “dalla lettura e rilettura del Vangelo emerga una possibilità di comportamento anche civile”54. Certo non è questa l’indicazione che proviene dalla Chiesa55; tutt’al più da alcuni pochi preti molto marginali (come Turoldo, Balducci, De Piaz, don Milani, e qualche altro) i quali “sono rimasti nella delusione di una struttura che non corrisponde al loro ideale”56. Non riuscendo a individuare figure di riferimento magistrali all’interno dell’istituzione religiosa, ma solo amici tra i disobbedienti come Ivan Illich, Ranchetti spiega di essersi rivolto a due maestri ‘esterni’ - Wittgenstein e Freud. Entrambi sono esemplari di una incessante messa in discussione a prescindere o in aperto contrasto con i presupposti della tradizione. Nel primo dei due trova una personalità aperta e disponibile a “un’interrogazione assoluta”; qualcuno che cerca di capire “come stanno le cose, non facendole dipendere da un precedente già detto, già pensato”57. Nel secondo intravede un tentativo di ribaltare tutti i presupposti religiosi con l’intento di rintracciare delle cause diverse da quelle riguardanti la presenza divina. Per Freud, egli osserva, “ogni struttura causale, che è stata introdotta nella giustificazione dell’esistenza, - viene sottoposta a un’interrogazione radicale. Nell’ipotesi (che è riuscita solo in parte) di sostituire ad essa i vari nessi, che sono diversi da quelli accettati nella tradizione filosofica o religiosa o in altre tradizioni, compresa quella scientifica.” L’importanza di questa prospettiva consiste quindi anche nel mettere in discussione i vari statuti disciplinari, con l’intenzione di sostituirli con altri. Per Ranchetti, purtroppo, la psicoanalisi, “non ce l’ha fatta. Però la domanda radicale che si è posta è analoga a quella di Wittgenstein”58.
Nemico di ogni accostamento artificioso tra psicoanalisi e religione, Ranchetti insiste invece proprio su una indispensabile sottolineatura della loro diversità. Avvicinare l’una all’altra significherebbe, infatti, cancellare i caratteri specifici e ineliminabili di ciascuna, piegando entrambe a un accomodamento “disciplinare e pratico”59. Abolire le differenze tra le discipline vuol dire considerarle tutte eguali, annullare proprio le ragioni fondamentali della loro nascita e sviluppo. Al contrario, è bene mettere in risalto quanto il progetto della psicoanalisi sia del tutto opposto a quello delle varie confessioni religiose. Si tratta, in realtà, di “un progetto inverso, che tende a sostituire la costruzione di una dottrina dei modi di Dio, una prassi di liberazione dai falsi attributi, ad una storia della salvezza dei singoli secondo il disegno di Dio, la storia di una conquista di sé da parte del singolo, che avviene anche e forse soprattutto mediante il riconoscimento delle relazioni causali, al di fuori di ogni progetto a lui esterno”60.

 

* * *



A conclusione dell’autoritratto offerto in Rifiuto d’ordine a profitto del contesto, nel tentativo di tracciare un bilancio finale della propria opera, sparsa in direzioni così svariate, Ranchetti tenta un’estrema definizione di sè: “un outsider che interviene, non fa testo, e poi se ne va, ma non lascia tracce. Naturalmente il contrario di quello che desidero. Ma come si fa a desiderare di essere una traccia? Bisogna esserci…”61.
La lunga narrazione volge alla fine; l’ultima frase è pronunciata mentre è seduto nel giardino della bella casa fiorentina, e si ripara dal sole con degli occhiali scuri. Nel corso dei diversi momenti di rievocazione ha parlato senza mai guardare la cinepresa, concentrato nello sforzo di superare la ritrosia a parlare di sé e di mettere ordine nei ricordi – proprio lui che per tutta la vita ha cercato di rifiutare come innaturale l’idea di sistemare ordinatamente il lavoro della memoria e del pensiero. Soltanto allora, in un gesto che esprime anche il sollievo per essersi come liberato temporaneamente dal peso di parlare di una vita di cui si mostra così poco soddisfatto, allarga le braccia e si concede un ampio bellissimo sorriso.
 

 

note

1. Per il riferimento al titolo cfr. l’ultima pagina di questo articolo.

2. Nel senso del Modernismo cattolico degli inizi del ’900. È questo il significato con cui l’espressione viene utilizzata in questo articolo.

3. Ne sono conferma i numerosi interventi e testimonianze in occasione della morte e nei recenti anniversari, come è facile intuire digitando il nome di Ranchetti su ‘google’.

4. Per un profilo biografico cfr. Fabio Milana, Michele Ranchetti. Notizia biografica, in Michele Ranchetti, Scritti diversi, IV. Ulteriori e ultimi (2000-2008), a cura di Fabio Milana, Roma, edizioni di storia e letteratura, 2010, pp. 273-279. La pubblicazione di questo IV volume degli scritti è accompagnata da una bella e lunga intervista, un vero e proprio bio-film su DVD curato da Stefano Franchini: Rifiuto d’ordine a profitto del contesto. Michele Ranchetti si racconta, Firenze, 23 ottobre 2005. Il titolo riprende alcuni versi tratti dalla raccolta poetica di Ranchetti La mente musicale: “Quante rovine sull’aia: travi,/ tralicci, scale, porte, finestre, orci./ Rifiuto d’ordine a profitto / del contesto – puoi tu trovare simili per te arnesi / ad indicare chi tu sei?”. Le citazioni prese da questa intervista, suddivisa in capitoli corrispondenti alle fasi diverse di vita e ai temi di studio e lavoro, verranno in seguito indicate come DVD Rifiuto d’ordine, seguite dalla denominazione del capitolo data dai curatori del DVD.

5. Si veda il ricordo di questo incontro in occasione di un seminario del 1995 su Fortini, in Michele Ranchetti, Franco Fortini esorcista, in ID., Scritti diversi cit., II, pp. 233-238, p. 234.

6. Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti, a cura di Bruna Bocchini Camaiani e Anna Scattigno, Macerata, Quodlibet, 1998. Il volume raccoglie 36 contributi, tra i quali sono inclusi scritti di filosofi, psicanalisti, poeti, studiosi di Benjamin, Foucault, Lacan, Freud, Wittgenstein - come Agamben e Bonola, Marchetti, Contri, Grubrich-Simitis, Nedo; scrittori e artisti come Mengaldo e Tadini; teologi, religiosi e storici delle religioni come Turbanti, Miegge, Lettieri, Pierre Riches, De Piaz.

7. Michele Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Torino, Einaudi, 1963; trad. ingl. The Catholic Modernists. A Study of the Religious Reform movement 1904-1907, London, Oxford University Press, 1969.

8. Michele Ranchetti, Scritti diversi, 4 voll. a cura di Fabio Milana, Roma, edizioni di storia e letteratura. Vol. 1, Etica del testo, ivi, 1999; vol. II, Chiesa cattolica ed esperienza religiosa, ivi, 1999; vol. III, Lo spettro della psicoanalisi, ivi, 2000; IV, Ulteriori e ultimi (2000-2008) cit. Una bibliografia aggiornata al 2010 si trova in appendice al volume IV degli Scritti diversi cit., pp. 281-296.

9. Michele Ranchetti, Scritti in figure, Roma, edizioni di storia e letteratura, 2002.

10. Michele Ranchetti, Über sich selbst , in “Lea”, n.1, 2004, pp. 36-44, e ora in ID., Scritti diversi cit., IV, pp. 266-271..

11. Michele Ranchetti, Verbale, Milano, Garzanti, 2001.

12. Quando racconta dei primi passi compiuti per trovare una collocazione professionale, negli anni ’50 e primi anni ’60, diviso com’è tra collaborazione editoriale e università, aggiunge - quasi fosse un dato su cui non desidera soffermarsi - che nel frattempo si era sposato e aveva tre figli.

13. Michele Ranchetti, Über sich selbst, in “Lea”, n. 1, 2004, pp. 36-44; ora in ID., Scritti diversi cit., IV, pp. 266-271.

14. Michele Ranchetti, Verbale, Milano, Garzanti, 2001, p. 28 e 58 rispettivamente.

15. Cfr. Ludwig Wittgenstein. Sein Leben in Bildern und Texten, Frankfurt, Suhrkamp, 1983, composta insieme a Michael Nedo.

16. Cfr. Michel de Certeau, Politica e mistica, Milano, Jaca Book, 1975. Ranchetti ha inoltre curato l’edizione italiana degli scritti raccolti in Michel de Certeau, Storia e psicoanalisi. Tra scienza e finzione, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, per la quale scrive una Prefazione, ivi, pp. 9-13. Questo contributo è stato poi ripubblicato con il titolo di De Certeau, esercizi éclatéss, in Ranchetti, Scritti diversi cit., IV, pp. 116-121. Trattasi dell’intervento letto a un seminario su Certeau da me organizzato presso il Centro Internazionale di Semiotica dell’Università di Urbino nel luglio 2003.

17. Per i riferimenti a questi lavori cfr. la nota 8 supra.

18. Michele Ranchetti, Introduzione a Ludwig Wittgenstein, Movimenti del pensiero. Diari 1930-1932, 1936-1937, Quodlibet, Macerata, 1999, in ID. Scritti diversi cit., I, pp. 243-248, p. 244. Egli ha inoltre curato e introdotto le edizioni italiane degli scritti di Wittgenstein Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, e la psicologia, la credenza religiosa, Milano, Adelphi, 1967 e i Pensieri diversi, ivi, 1980.

19. Michele Ranchetti, Prefazione a Ray Monk, Wittgentsein. Il dovere del genio, Milano, Adelphi, 1990, in ID., Scritti diversi cit., I, pp. 171-177, p. 176. Si veda in particolare Fabio Milana, Incontro con Ranchetti, in “Bailamme: rivista di spiritualità e politica”, vol. 11-12, 1992, pp. 293-252.

20. Cfr. nel DVD Rifiuto d’ordine cit., capitolo su Wittgenstein. Marino Rosso, che attualmente insegna Filosofia del linguaggio all’università di Firenze, studioso e traduttore di Husserl, , del filosofo austriaco aveva curato le Osservazioni filosofiche, Torino, Einaudi, 1976.

21. Michele Ranchetti, Carattere e destinazione degli scritti di Wittgenstein secondo Wittgenstein, in ID., Scritti diversi cit., IV, pp. 13-21. Si tratta di un contributo scritto per un convegno sulla cultura austriaca negli anni ’30.

22. Ivi, p. 16.

23. Ivi, p. 15.

24. Ivi, p. 16.

25. Ivi.

26. Ivi, p. 17.

27. Ivi. Il brano prosegue: “Ancora più grave, però, il fatto che le partizioni operate dai tre hanno tolto agli scritti di Wittgenstein il carattere di testo unico, di riflessione perenne non ordinata e non ordinabile. E inoltre, conseguenza non percepita, anzi esaltata dalla Anscombe, hanno isolato la figura di Wittgenstein dal contesto della sua vita. Così Wittgenstein è divenuto l’autore di alcuni libri mai scritti, di un insegnamento in lingua inglese non trascritto, di due dettati in inglese all’interno di questo insegnamento, di alcune lettere. Oltre che del Tractatus, naturalmente, ma al di fuori dei tempi e dei luoghi, della sua lingua, e soprattutto delle sue ‘tremende’ decisioni di vita, quasi considerate come cesure nella sua produzione filosofica, intervalli ‘esistenziali’ di crisi vagamente mistiche…”.

28. Michele Ranchetti, Una vita bellissima, in ID. Scritti diversi cit., I, pp. 171-177, p. 174.

29. Michele Ranchetti, Un’introduzione a Freud, in ID., Scritti diversi cit., IV, pp. 222-231, p. 228. Si tratta di uno scritto del 2006.

30. Michel David, La psicanalisi nella cultura italiana, Torino, Bollati Boringhieri, 1966; 3a. ediz. riveduta e ampliata, ivi, 1990. Di grande interesse per ripercorrere gli inizi di una diffusione della psicoanalisi in Italia, è l’intervista di Carlo Viganò a Pier Francesco Galli, direttore della rivista “Psicoterapia e scienze umane”, pubblicata nel 1984 nella rivista lacaniana “Freudiana”, vol. 4, 1984, pp.109-111; è consultabile in rete all’indirizzo www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/galli84.htm.

31. Per l’Argentina cfr. Hugo Vezzetti, Aventuras de Freud en el país de los argentinos. De José Ingenieros a Enrique Pichon-Rivière, Buenos Aires, Paidós, 1996; v. anche Mariano Plotkin, Freud en las pampas. Orígenes y desarrollo de una cultura psicoanalítica en la Argentina (1910-1983), Buenos Aires, Sudamericana, 2001. Per la Germania il riferimento principale sono gli studi di Ilse Gubrich-Simitis, amica di Ranchetti, con il quale condivideva l’idea di indagare criticamente e filologicamente l’opera di Freud,, e non solo di curarne la monumentalizzazione; v. in particolare Zuruch zu Freuds Texten: Stumme Dokumente sprechen machen, Frankfurt am Main, Fischer, 1993. Per l’Inghilterra, mi limito a segnalare lo studio a cura di Gregorio Kohon, The British School of Psychoanalysis: the Independent Tradition, London, Free Association Books, 1986, e The Freud-Klein Controversies, 1941-45, a cura di Pearl King e Riccardo Steiner, London, Routledge, 1991.

32. Cfr. in particolare i saggi raccolti negli Scritti diversi III dedicati a Lo spettro della psicanalisi cit., e anche nella Parte Terza del vol. IV cit.

33. Michele Ranchetti, Il movimento psicoanalitico: una storia difficile, in ID. Scritti diversi cit., III, pp. 125-142, p. 127. Pubblicato originariamente in tedesco nel 1994. Si veda anche il contributo a proposito del libro di Manfred Pohlen sulla propria analisi con Freud, Un’analisi con Freud, in Scritti diversi cit., IV, pp. 247-253.

34. Ivi, p. 134.

35. Freud: leggere, tradurre, pubblicare, in Scritti diversi IV, pp. 254-260. In queste pagine, scritte in occasione di un convegno per il 150° anniversario della nascita di Freud, Ranchetti ricorda come ancora nel 1967 a Firenze, Freud era quasi del tutto sconosciuto.

36. Cfr. “Rivista di psicoanalisi”, n.1, gennaio-marzo 2006, Centocinquant’anni di Freud: il corpus freudiano. Il progetto di Ranchetti è criticato senza mezzi termini dall’allievo di Musatti, Rodolfo Reichmann, Musatti e le opere di Freud (con un’intervista a Renata Colorni), ivi, pp. 129-148, e da Antonio Alberto Semi, È sufficiente tradurre (bene) Freud?, ivi, pp. 177-188.

37. Cfr. Roberta Pisa & Giovanni Viani, Conversazione con Michele Ranchetti, in “Psicoterapia e scienze umane”, n.3, 2006, pp. 311-328.

38. Così nel DVD Rifiuto d’ordine, capitolo Università e Freud.

39. Il rinvio principale è al vol. III Lo spettro della psicoanalisi, degli Scritti diversi cit., dove sono riuniti i principali contributi composti nell’arco di vent’anni, dal 1980 al 2000.

40. Cfr. Roberta Pisa & Giovanni Viani, Conversazione con Michele Ranchetti cit., p. 316-317. In diverse occasioni Ranchetti ha richiamato l’attenzione sul fatto che Musatti “non aveva nessuna voglia di fare le opere di Freud, non lo riteneva necessario. Era una persona estremamente intelligente. Aveva studiato a fondo la psicoanalisi ma non la riteneva una visione del mondo, una rivoluzione che avesse dato un contributo radicale. Queste per lui erano solo illusioni. Anche se non lo ha mai detto esplicitamente, riteneva che il suo Trattato di psicoanalisi avesse detto tutto e che forse Freud lo si poteva studiare tramite un manuale, invece che con una lettura diretta.” In. Freud: leggere, tradurre, pubblicare, Ranchetti, Scritti diversi cit., IV, p.257.

41. Michele Ranchetti, Affetti, in ID., Scritti diversi, III, pp. 83-94. Questo saggio era originariamente apparso su “Il piccolo Hans”, 55, 1987.

42. Michele Ranchetti, Freud: Giudizio, ivi, pp. 95-106. Si tratta di un contributo inedito del 1988, nel quale risuona molto chiaramente la riflessione di Michel de Certeau in Lacan: un’etica della parola, incluso nel volume curato da Ranchetti stesso, Storia e psicoanalisi cit., alla nota 16.

43. Michele Ranchetti, Un presente ibrido e indecifrabile, in “il Manifesto”, 22 giugno 1995. Ristampato con il titolo In morte dell’ermeneutica, in ID., Scritti diversi cit., I, pp. 383-387.

44. Michel Ranchetti, Leggere Benjamin, in ID. Scritti diversi cit., IV, pp. 27-32, p. 27. Si tratta di un contributo del 2002.

45. Ivi, p. 30.

46. Ivi, p. 29. E poco oltre, a p. 30, riprende l’espressione da lui prediletta (“l’interrogazione assoluta”), per sgomberare il campo dagli equivoci di un Benjamin facilmente imitabile, che chiunque può riprendere e ripetere, fraintendendone completamente le intenzioni: “Di questa prospettiva di interrogazione assoluta, non precostituita da competenze disciplinari (erano proprio queste competenze ad essere messe in dubbio) a me sembra che Benjamin sia l’esponente più autentico, ed è forse per questo carattere della sua figura che io ho creduto di avvertire la congenialità che ho indicato come la seconda difficoltà incontrata nel leggere Benjamin. Infatti il simile induce all’imitazione e non al confronto. E credo che siano in molti coloro che, letta una riga di Benjamin, in particolare un passo dei frammenti del Passagenwerk, si siano sentiti autorizzati a mettersi in cammino con lui, a passeggiare per Parigi o Poggibonsi, e a raccogliere materiali per una nuova fenomenologia dei detriti. Ma a me sembra che essi forse abbiano frainteso l’intenzione che presiedeva il percorso solo in apparenza itinerante di Benjamin: la necessità di costruire un ordine, e non di valersi, di appropriarsi e di usufruire del disordine.”

47. Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Introduzione a Walter Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di Gianfranco Bonola e M.R., Einaudi, Torino, 1997, pp. VII-X, p. X, ripubblicato con il titolo di Walter Benjamin. Prima della fine in Michele Ranchetti, Scritti diversi cit., I, pp. 237-241, p. 240.

48. Ivi, p. 239.

49. Ivi, p. 240.

50. Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti, Introduzione a Walter Benjamin, Sul concetto di storia cit., p. VIII.

51. Ivi, p. 72.

52. Michele Ranchetti, Non c’è più religione. Istituzione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento, 2003. Nel libro, che raccoglie scritti diversi, è incluso un intervento di critica radicale alle istituzioni ecclesiastiche apparso su “La rivista del Manifesto”, n.10, ottobre 2000, in cui non si risparmiavano giudizi netti anche intorno al silenzio della Chiesa durante gli anni del nazismo. Cfr. Prevalebunt, ora in Michele Ranchetti, Scritti diversi, IV. Ulteriori e ultimi (2000-20008) cit., pp. 172-181. Sui politici formatisi all’Università Cattolica di padre Gemelli, che sarebbero poi diventati esponenti di spicco nei governi del dopoguerra, scrive: “Quei ministri, dunque, avevano garantito la continuità di quella Chiesa fascista e certo non antinazista, che non aveva mai rotto con il fascismo prima e durante la guerra, che non aveva mai creduto di pronunciare una condanna chiara e limpida dei crimini commessi dalle due dittature. Che, durante l’Olocausto, di cui era perfettamente a conoscenza, era stata zitta, forse giudicando che il suo silenzio fosse infallibile”. (ivi, p. 176)

53. Cfr. www.lapoesiaelospirito.wordpress.com. Il dibattito appare nel blog il 2 febbraio 2010.

54. L’intervista è consultabile nel sito di Poliscritture. Laboratorio di ricerca e cultura critica, www.poliscritture.it.

55. Osserva Ranchetti: “L’istituzione cattolica che si riferisce al Vangelo è evidentemente una perversione del Vangelo. Si può, quindi, e si deve disobbedire ad essa, perché ti dice di votare per Berlusconi in quanto uomo di fede, e non è vero.” (ivi). Conviene ricordare – e sorprende il fatto che Abate non menzioni questa circostanza – che l’intervista in questione ha avuto luogo il 13 maggio 2005, vale a dire pochi giorni dopo l’insediamento del Terzo governo Berlusconi (rimasto in carica dall’aprile 2005 al maggio 2006), succeduto al Berlusconi II, durato dal giugno 2001 all’aprile 2005.

56. Ivi. V. anche gli articoli che Ranchetti scrive su alcuni di essi in diverse occasioni: David Turoldo, Servo della Parola, in Scritti diversi cit., II, pp. 109-112 (del 1992); Discutendo di don Milani, (1997), ivi, pp.135-150; Balducci scrittore e predicatore, (1998), ivi, 151-162; Corsia dei Servi, (2008), in Scritti diversi cit., IV, pp. 186-189.

57. “Wittgenstein per me non è tanto l’autore di una dottrina filosofica, ma un modello di pensiero. Non una filosofia, ma un personaggio filosofico, l’ultimo esponente di una vita filosofica, di una coincidenza tra vita e filosofia”; con queste parole si apre il saggio/dialogo dedicato a Ranchetti da Fabio Milana, Poesie della mano sinistra, in “Bailamme: rivista di spiritualità e politica” cit., pp. 305-352, p. 305 . V. anche il bel ritratto di Witttgenstein tratteggiato in occasione della pubblicazione di alcuni inediti, in Ludwig Wittgenstein, Frammenti di Diario, presentazione di Michele Ranchetti, in “Micromega”, n.1, 1998, pp. 233-245.

58. Intervista a Michele Ranchetti di Ennio Abate cit. Sono conclusioni cui giungono oggigiorno anche psicoanalisti critici come Massimo Recalcati. Si veda l’introduzione al recente L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Milano, Raffaello Cortina, 2010, pp. IX-XVI.

59. Cfr. Michel Ranchetti, Psicoanalisi o religione, in ID. Scritti diversi, IV Ulteriori e ultimi (2000-2008) cit., pp. 211-214.

60. Ivi, p. 213.

61. DVD Rifiuto d’ordine a profitto del contesto cit. ultimo capitolo, Lavori recenti.

 

24 giugno 2010

 

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