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Il testo che pubblichiamo di seguito, redatto da Renato Solmi e sottoscritto da Enrico Peyretti e Piercarlo Racca, è stato proposto in vista delle prossime elezioni europee a seguito di incontri e dibattiti che hanno avuto luogo nelle scorse settimane (marzo/aprile 2009), in varie sedi e in particolare sul «Manifesto», nella prospettiva della creazione di una "lista comune" della sinistra. Lo si ripropone qui in quanto, pur essendo nei fatti superato dalle vicende pre-elettorali (e relative alleanze), ci sembra che tocchi nella parte conclusiva alcune questioni di fondo tuttora irrisolte e non aggirabili per la sinistra, e contenga spunti utili per una riflessione ampia, non angusta, quale troppo spesso, invece, si svolge nell'ambito delle rissose e inconcludenti microformazioni politiche del nostro paese.
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Per una lista comune della sinistra socialista e comunista vicina alle esigenze delle classi popolari ambientalista e nonviolenta
Centinaia e migliaia di persone, fra cui
rappresentanti di primo piano della cultura nazionale, di cui non facciamo i
nomi perché li conoscete certamente già, hanno espresso il loro entusiasmo e la
loro approvazione per la proposta formulata da Giulio Marcon e Mario Pianta sul
«manifesto» del 13 febbraio, che è stata oggetto di un intenso dibattito nella
giornata del 7 marzo presso la Casa del popolo di via San Bartolo a Cintoia alla
periferia di Firenze, senza che, peraltro, i partiti direttamente interessati ad
essa sciogliessero le loro riserve e si mostrassero disposti ad accoglierla
almeno nelle persone dei loro principali dirigenti.
Marcon e Pianta, di cui alleghiamo al nostro
appello la proposta iniziale, formulavano un programma in dieci punti secondo il
quale i partiti della sinistra avrebbero dovuto “saltare un giro” e contribuire
alla presentazione di una lista unitaria in cui avrebbero dovuto accogliere (o,
per dir meglio, essere accolti) esponenti della società civile attivamente
impegnati nelle lotte e nelle problematiche dei rispettivi settori di lavoro e
quanto più possibile vicini alle esperienze degli operai e degli impiegati
attivi in ciascuno di essi.
Ci si può chiedere se i tempi molto stretti
in cui avrebbe dovuto operarsi questa “selezione dal basso” dei candidati di
questa lista avrebbero consentito di mobilitare la base sociale di un movimento
chiamato ad esprimere, quasi di punto in bianco, una rappresentanza qualificata
in vista dell’assolvimento dei compiti tutt’altro che facili da affrontare a cui
avrebbe dovuto sobbarcarsi a livello europeo. Ciò non toglie che la direzione
indicata fosse giusta, anche se le esigenze a cui la proposta mostrava di venire
incontro avrebbero dovuto contemperarsi e, in una certa misura, lasciare il
posto a quelle non meno ragionevoli e concrete che si pongono in questo ordine
di elezioni.
Da un certo punto di vista si può osservare,
però, che proprio la natura particolare delle elezioni europee, in cui non è in
gioco, se non in misura molto attenuata, e per certi aspetti quasi simbolica, la
formazione di un nuovo governo, può prestarsi a un esperimento ideale in vista
della necessità di dare vita a uno schieramento politico capace di esercitare,
in prospettiva, una funzione egemonica, come quella che il genio politico di
Gramsci aveva a suo tempo intravisto e che l’abilità manovriera di Togliatti, e
la qualità complessiva del gruppo dirigente del Pci, gli aveva permesso di
esercitare, in una certa misura, nei primi vent’anni del secondo dopoguerra.
Le elezioni europee non ci pongono, infatti,
almeno fino ad oggi, nella condizione di doverci battere per la vittoria di uno
schieramento, o per la formazione di un governo, al posto di quella di un altro,
e la cosa non può certamente sfuggire all’intelligenza dei nostri elettori. Non
esiste, grazie al cielo, un premio di maggioranza per un gruppo di deputati
eletti in 27 paesi; e non dovrebbe esistere neppure la clausola di uno
sbarramento inteso ad escludere le formazioni minori che non sono in grado di
raggiungere una certa soglia, anche se, purtroppo, lo spirito antidemocratico
che si è affermato da una ventina d’anni in Italia e che ha favorito l’avvento
di un regime vieppiù autoritario, e per molti aspetti del tutto irresponsabile,
ha fatto in modo, con la complicità del più forte partito di opposizione, che
questo espediente truffaldino fosse introdotto anche nel modo in cui le elezioni
europee si svolgono nel nostro paese. E qui veniamo al punto essenziale della
proposta di Marcon e di Pianta, che mira a sventare la minaccia di questo
imbroglio e a creare le condizioni necessarie perché le esigenze fatte valere
dalla sinistra radicale possano trovare espressione e non possano essere
ignorate nel Parlamento europeo. E qui vorrei aggiungere che venire incontro a
questa esigenza dovrebbe essere considerato come un imperativo categorico dagli
esponenti e dai militanti dei partiti e dei movimenti della sinistra radicale,
che sanno bene di costituire, oggi come oggi, una minoranza dell’elettorato, ma
devono essere, d’altra parte, costantemente consapevoli del fatto che
rappresentano le istanze del futuro (e di un futuro che diventa sempre più
urgente e minaccioso), e di essere detentori, cioè, di quella funzione
egemonica, che devono praticare, fin d’ora, col massimo rigore, e che non
possono certo subordinare a questioni del tutto secondarie, come le diversità
personali e le controversie di partito. La minoranza, sia pure consistente, che
si è staccata da Rifondazione, senza essere costretta a farlo da un dovere di
ordine superiore, ha dato, a nostro avviso, un pessimo esempio, mostrando di
subordinare un’esigenza essenziale, come quella di portare nel parlamento
europeo il massimo numero possibile di deputati consapevoli delle minacce che
gravano sul mondo, a finalità molto ristrette di gruppo o di partito; ma i
dirigenti di Rifondazione, che si sono stretti intorno al segretario Paolo
Ferrero, hanno, a nostro avviso, il dovere di chiedere ai loro compagni che
hanno lasciato il partito di ricongiungersi a loro, insieme alle altre forze
della sinistra con cui hanno preso contatto, in una coalizione e in una
prospettiva comune, come quella proposta nella lettera di Marcon e di Pianta.
Ma quali criteri dovrebbero presiedere alla
formazione di questa lista unitaria? La risposta non può fare a meno di tener
conto della brevità del tempo che rimane a nostra disposizione.
I requisiti per la partecipazione alla lista
unica della sinistra radicale, propugnata da Marcon e da Pianta, e caldamente
raccomandata anche da noi, dovrebbero essere sostanzialmente due: la difesa
degli interessi delle classi popolari minacciate dalle conseguenze della crisi
in atto (disoccupazione, precarietà del lavoro, redistribuzione del reddito
nazionale a favore delle classi dirigenti), e il rifiuto intransigente di
qualsiasi partecipazione del nostro paese, ma anche dell’Unione europea presa
nel suo complesso, a qualsiasi tipo di intervento che non sia strettamente
pacifico e umanitario in altri paesi, come pure di tutte le misure destinate ad
accrescere le tensioni internazionali e a moltiplicare i pericoli di guerra:
ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan, opposizione ad oltranza
all’ingrandimento della base militare americana di Vicenza, opposizione allo
scudo spaziale da erigere nei paesi dell’Est europeo; e, in prospettiva,
radicale messa in questione delle operazioni condotte dalla Nato, che ha mutato
completamente il suo volto e le sue funzioni dall’epoca della guerra fredda; e,
per finire (ma si tratta di una questione di enorme importanza per tutti), avvio
immediato delle trattative, fra tutte le potenze nucleari, in vista di un
disarmo universale nel campo delle armi di distruzione di massa, come quello
patrocinato, negli Stati Uniti, dal membro della Camera dei rappresentanti
Kucinich, e dal grande teorico pacifista e collaboratore della «Nation»,
Jonathan Schell, autore di opere fondamentali come Il destino della Terra,
Il mondo non può essere conquistato e il recentissimo Il settimo
decennio (sottinteso: dell’era atomica), in cui il progetto di un disarmo
universale nel campo delle armi nucleari è esposto nel modo più brillante e più
dettagliato, ciò che ne fa un termine indispensabile di riferimento per tutti
coloro che si occupano di questo problema
La crisi economica in cui si dibatte
attualmente il mondo globalizzato, e da cui non è certo possibile uscire, come è
accaduto negli anni ’30 del secolo scorso, con un’accelerazione della corsa agli
armamenti e con una nuova guerra mondiale, è qualcosa di più di un segnale
d’allarme che prelude (o dovrebbe preludere) a una svolta decisiva nella storia
del nostro mondo, resa indispensabile dalla necessità di stornare la minaccia di
una catastrofe di proporzioni inimmaginabili. Comunismo (inteso come
l’assunzione di una responsabilità collettiva nei confronti di tutte le classi e
di tutte le nazioni, e della messa in opera di meccanismi della democrazia
suscettibili di promuovere la partecipazione di tutte le cittadine e i cittadini
alla gestione degli affari umani) e nonviolenza (intesa come rinuncia
all’impiego della forza in vista della difesa dei propri privilegi di classe o
di nazione) sono due facce di una stessa medaglia, che si implicano
vicendevolmente e fra cui sarebbe difficile stabilire un ordine di priorità. In
una congiuntura come quella in cui ci troviamo attualmente questa assunzione
superiore di responsabilità deve governare tutti i nostri atti ed avere la
precedenza rispetto ad ogni sorta di divergenze e di rivalità fra individui,
movimenti o partiti. Ad essa si ispira il nostro appello agli amici e ai
compagni di Rifondazione riuniti oggi in questa manifestazione, in cui speriamo
di trovare un’eco alle preoccupazioni ampiamente diffuse nel nostro campo, e la
disponibilità a compiere quel “passo indietro” di cui hanno parlato il direttore
del «manifesto» e gli amici Marcon e Pianta; e a farsi patrocinatori della
richiesta della formazione di una lista unica della sinistra radicale che possa
segnare una svolta decisiva, o, quanto meno, un punto di partenza indispensabile
nella storia travagliata del nostro paese.
Renato
Solmi, Enrico Peyretti, Piercarlo Racca
Movimento Nonviolento
Torino, Marzo 2009
[8 maggio 2009]
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