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I guanti di Maroni

Luca Lenzini

1. Nel 1781 il capitano Luke Collingwood, al comando della nave negriera Zong, ordinò di gettare a mare, al largo dei Caraibi, 132 africani vivi e incatenati ai loro ceppi. Motivo della decisione: la nave era fuori rotta, a corto di cibo e d’acqua, e il suo carico umano – più precisamente, la merce – sempre più avariato, sarebbe perito prima di giungere a destinazione, ragion per cui l’assicurazione non avrebbe pagato lo spettante ai padroni della nave. Ad essere pagata era infatti solo la quota per le “perdite in mare”1. Ciò che portò alla ribalta il caso fu il processo che seguì, a Londra, rifiutandosi appunto l’assicurazione di pagare le “perdite” dello Zong.
Dell’episodio esistono resoconti e documenti di archivio; ad esso si riferiscono saggi assai rilevanti nella storia dell’abolizione della schiavitù (1838 in Inghilterra). Ma la storia dello Zong è nota anche perché ispirò a Turner uno dei suoi quadri più famosi, Slavers Throwing Overboard the Dead and Dying – Typhoon Coming On, comunemente conosciuto come The Slave Ship, esposto per la prima volta a Londra nel 1840, nel pieno della campagna abolizionista (allora la tratta degli schiavi era ancora fiorente negli Stati Uniti e negli imperi coloniali portoghese e spagnolo). Probabilmente, secondo Simon Schama, oltre che dalla storia dello Zong, all’epoca riproposta in racconti e pamphlets, Turner fu influenzato anche da cronache più recenti, come quelle relative all’African Squadron, la flottiglia della marina britannica impiegata per la caccia alle navi negriere: «si era saputo» - scrive Schama - «che, incalzati dalle navi britanniche, gli schiavisti, sia per guadagnare velocità e sfuggire all’inseguimento, sia per sbarazzarsi delle prove che, se raggiunti, li avrebbero incriminati, gettavano a mare il loro carico di schiavi»
2. Al quadro di Turner dedicò una pagina celebre John Ruskin, che nel primo volume dei Modern Painters lo definisce «la più nobile opera» del pittore inglese, ed anzi «la più nobile marina mai dipinta da un pittore»3. Ruskin puntò tuttavia l’attenzione sulla tecnica con cui Turner riusciva a rendere, mirabilmente, gli effetti di luce e movimento della scena rappresentata, ed erano perciò soprattutto il mare e la natura, non la tragica fine degli schiavi, al centro del suo commento: alla nave negriera ed alla sua truce storia Modern Painters dedica solo una breve nota a piè di pagina.

 

2. Qualche anno fa, una fotografia che per un po’ suscitò qualche scandalo ritraeva la spiaggia di Lampedusa, a mezzavia tra Africa e Italia: vi si vedevano alcuni villeggianti intenti ad abbronzarsi e, un po’ discosto, il cadavere di un “migrante” restituito al bagnasciuga dal mare. Uno dei tanti, approdato per il gioco delle correnti ad un lido riservato al relax di turisti e amanti della “natura incontaminata”: naufragi veri di “carrette del mare”, o procurati da zelanti “scafisti”, sono infatti all’ordine del giorno nell’ex Mare nostrum, ma per lo più i cadaveri hanno il buon gusto di restare al fondo, senza turbare le vacanze dei villeggianti. Nella foto, comunque, non era traccia dell’«ombra della morte» evocata da Ruskin (alludendo a Macbeth) per la marina di Turner, e tanto meno tifoni all’orizzonte: quel pacco di ossa e carne avariata era solo un’intrusione, o meglio un’imperfezione, presto rimossa, nell’immagine mille volte rivista nelle agenzie di viaggio: spiaggia, pieno sole, mare azzurro, corpi ben sani e levigati.
Più recentemente, su «Paris-Match» sono state pubblicate alcune fotografie che documentano l’accoglienza riservata dagli agenti della Guardia di Finanza italiana ai migranti che una nave di pescatori, il Bovienzo, aveva salvato dal naufragio al largo di Lampedusa. I militari italiani indossano i guanti, particolare che spicca per il contrasto con la pelle degli africani respinti in Libia. Così inizia il servizio, intitolato Immigrants: le rêve brisé4:


Il croyait [il migrante, vedi foto] quitter l’enfer, il y est replongé.
L’Italie le reconduit sur le continent qu’il a fui avec ses 79 compagnons d’infortune. Pour la premiére fois, des immigés africains sont refoulés à la matraque et remis à la brutalité des geôliers libyens, sous les yeux des nos reporters. En 2008, 36900 “naufragés” se sont échoués aux abords de l’ĩle de Lampedusa. Pour endiguer ce flux, Silvio Berlusconi a fait voter une loi, au mépris des droits de l’homme, qui requalifie la demande d’asile en délit passible de dix-huit mois de prison. L’an passé 3 immigrants sur 4 avaient déposé une demande d’asile politique: 50 % avaient été acceptées. Depuis, un accord a été signé avec Kadhafi, les expulsés sont ramenés à Tripoli sans que leur securité et leur dignité les plus élémentaires ne soient garanties. Mais il n’y a pas de barrage contre la misère. À Tripoli, il n’y aura plus de photographes pour témoigner…

 

3. La procedura con cui è rifiutata l’accoglienza ai migranti ha un nome: respingimento. Fino ad oggi desueta, la parola è diventata improvvisamente popolare: impiegata dal legislatore e dai giornali, dai politici e dai cittadini della Repubblica. Non sappiamo a chi si debba tale nomenclatura; per certo però la parola-chiave è associata al Ministro dell'Interno del governo italiano, Roberto Maroni, di cui illustra la concreta devozione alla sicurezza del Paese.
Il Grande Dizionario della Lingua Italiana registra per questa parola due accezioni, una generica e l’altra tecnica: 1) «spinta all’indietro, in direzione opposta»; 2) «rinvio di una lettera al mittente». La tipologia linguistica evoca immediatamente la tipica aura burocratica italiana: vi si può cogliere una parentela con il lessico che agenti e appuntati maneggiano con goffaggine stilistica, ma non senza una certa sadica voluttà, nelle questure della penisola. In questo senso il termine conserva l’impronta della plurisecolare stirpe degli “azzeccagarbugli” e dei legiferanti, e si colloca così in un tempo lungo, che rinvia ad un potere distante e minacciosamente imperscrutabile, ottuso e malefico; tuttavia è da aggiungere che nell’uso corrente la connotazione generica indicata dal Dizionario è specificata da quella tecnica (di ambito esplicitamente “postale”), che mantiene, in forma di metafora, un contenuto di verità. Una verità che appartiene al senso ideologico profondo, anzi al piano viscerale dell’ideologia: qualcosa che precede perfino il razzismo, in quanto si fonda sul piano brutalmente economico che regola l’esistenza degli individui nell’odierno Mercato Globale. Rinviati al mittente (con i guanti): questa è propriamente la ventura dei migranti. Che tornino alle loro terre di miseria, di carestia, di guerre, di Aids: al niente da cui sono venuti, e che vogliamo rimuovere dallo sguardo. Con la sua faccia da ometto da banco dei pegni, nascosta e ammodernata dagli occhiali alla moda dell’anno scorso, il Ministro degli Interni (amante del jazz) ci fa sapere che d’ora in poi i nostri surfisti non avranno da temere pacchi dispersi tra le onde.
Quando venne in uso nei media l’espressione extraordinary renditions Salman Rushdie scrisse un articolo con il titolo Ugly phrase conceals an uglier truth5. Lo scrittore vi denunciava l’intento mistificante che presiedeva alla “brutalizzazione” del linguaggio operata con tale parola, e faceva i casi di analoghe espressioni, come pulizia etnica o soluzione finale. Altri esempi potremmo aggiungere, estraendoli dal campionario di ipocrisie e rimozioni della storia patria: per esempio, per restare all’Africa, in merito all’uso degli «aggressivi chimici» da parte dell’aviazione nella guerra colonialista in Africa Orientale; ma già nel suo Goodbye to all that Robert Graves notava come nelle comunicazioni dello stato maggiore agli ufficiali inglesi al fronte sulla Somme l’uso del gas fosse definito «rilascio dell’accessorio»6. Eufemismi, ma di un genere particolare. Genere legato insieme alla civiltà di massa ed alla guerra, dichiarata o meno, dai governanti – fascisti, nazisti o sedicenti democratici – e destinata ad annientare l’altro. I protocolli nazisti ne sono solo l’esempio più conseguente. Il guscio terminologico neutralizza il nucleo abietto e inumano, mantiene le distanze – diciamo che usa, linguisticamente, i guanti - restando sul piano “tecnico”, e così consentendo un margine di ottenebramento, un’autoassoluzione che segna l’ingresso nella zona grigia della coscienza che ha permesso Auschwitz. Il saggio di Th. W. Adorno intitolato (appunto) L’educazione dopo Auschwitz si conclude con questa osservazione:


Walter Benjamin mi chiese una volta a Parigi, durante il periodo del nostro esilio politico, quando io ritornavo ancora sporadicamente in Germania, se là ci fosse un numero sufficiente di aguzzini pronti ad eseguire i comandi dei nazisti. C’era. La domanda ha tuttavia una sua profonda ragion d’essere. Benjamin intuiva che gli uomini che materialmente commettevano quegli orrori, al contrario degli assassini da tavolino e degli ideologi, agivano in contrasto coi loro interessi immediati, e assassinando gli altri, diventavano assassini di se stessi7
.


4. Ha fatto bene Turner a non mettere in primo piano gli schiavi annegati nel mare dei Caraibi, e a fornire il vasto quadro d’insieme: onde («ampio sollevarsi dell’oceano intero», scrive più precisamente Ruskin), e tramonto, ombre fonde e vascello in corsa verso la tempesta «con le esili alberature che si stagliano contro il cielo in linee sanguinose». Ed ha ragione Schama, nel suo commento al dipinto, a ricordare che l’artista («come Goya nei Disastri della guerra») non voleva offrire «la bellezza», quanto piuttosto «farla a pezzi»: quel «tronco semisommerso di un’africana nuda, di cui soltanto una gamba si leva impotente e terribile in aria, mentre il corpo enfiato ondeggia oscenamente sotto la superficie dell’acqua»8 doveva stare dentro un ampio e drammatico movimento, essere portata via e per sempre e in corso di sparizione, appena una cosa – un particolare, un dettaglio - tra i ceppi, gli squali e le onde. Solo così la condanna poteva essere impietosa, totale, e insieme accennare ad una redenzione.
Poco prima dell’arrivo del Bovienzo, a largo di Lampedusa era rimasto bloccato per quattro giorni il cargo turco Pinar, al quale sia le autorità di Malta sia quelle italiane avevano negato l’ingresso nelle rispettive acque territoriali. A bordo 143 migranti, recuperati da barconi alla deriva; ed il cadavere di una donna incinta, che l’equipaggio non aveva fatto in tempo a salvare. «È l’ordine più infame che abbia mai eseguito»: così si è espresso un militare delle motovedette italiane che hanno riportato in Libia i migranti. «Un successo», e più ancora «una svolta storica» ha commentato il Ministro degli Interni. Con che parole il capitano Collingwood avrà argomentato le proprie azioni, per ricevere il premio dell’assicurazione? Comunque sia, egli morì prima che il processo giungesse a compimento. Ha fatto la sua parte, è entrato nella storia. Ora tocca all’ometto del banco dei pegni. La domanda che ci riguarda è quindi: quanti aguzzini sono pronti ad eseguire gli ordini?

 

note

1. L’episodio è ampiamente ripreso nell’opera di Paul Gilroy, The Black Atlantic. L’identità nera tra modernità e doppia coscienza, Roma, Meltemi, 2003 (ed. orig. London – New York, 1993). Tra gli studi recenti sul tema segnalo, sulla scia soprattutto di Glissant, Ian Baucom, Specters of the Atlantic («The South Atlantic Quarterly», Winter 2001, pp. 61-82).

2. Simon Schama, Il potere dell’arte. Le opere e gli artisti che hanno cambiato la storia, Milano, Mondadori, 2007, p. 268.

3. John Ruskin, Pittori moderni, a cura di G. Leoni, Torino, Einaudi, 1998, I, p. 480. Vedi Paul Gilroy, Art of Darkness, Black Art and the problem of bellnging to England, «Third World: Perspectives on Contemporary Art & Culture». (Spring 1990), 10, pp. 45-52. Il dipinto si trova al Boston Museum of Fine Arts.

4. François de Labarre, «Paris Match», 14 Mai 2009. Disponibile in linea: http://www.parismatch.com/Actu-Match/Monde/Actu/Immigrants-le-reve-brise-95709/ [19/05/2009]

5. Salman Rushdie, Ugly phrase conceals an uglier truth, «The New York Times», January 12, 2006. In linea: http://www.smith.com.au/articles/2006/01/09/1136771496819.html [11/06/2009] L’articolo è apparso in traduzione italiana su «Repubblica», 09/01/2006, pp. 1-17.

6. Robert Graves, Good-bye to All That. An Autobiography, New York – London, Jonathan Cape and Harrison Smith, p. 179 (trad. it. Addio a tutto questo, Casale Monferrato, Piemme, 2005, p. 171). L’espressione inglese è «discharge of the accessory»; Graves aggiunge in nota che «fu emanato un ordine speciale che impartiva severe punizioni a chiunque usasse termini diversi da “accessorio” per indicare il gas.» (ibidem). Per l’uso dell’iprite nella guerra d’Etiopia vedi Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, con contributi di G.Rochat , F. Pedriali e R. Gentilli, Roma, Editori Riuniti, 1996.

7. Theodor Wiesengrund Adorno, L’educazione dopo Auschwitz [1966], in Id., Parole chiave. Modelli critici, Milano, SugarCo, 1974, p. 142.

8. S. Schama, Il potere dell’arte… cit., p. 269

 

 

[24 giugno 2009]

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