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Fortini e il cinema
 

Luca Lenzini

Nei giorni 16 e 17 novembre di quest’anno al Cinema Massimo di Torino ha avuto luogo un ciclo di proiezioni curato da Sergio Toffetti e dedicato a Franco Fortini, dal titolo “Memoria contesa / Memoria condivisa - Franco Fortini: storie di cinema tra lavoro e impresa.” Il ciclo di proiezioni comprendeva film noti come All’armi siam fascisti!, Scioperi a Torino, La statua di Stalin (i cui testi sono raccolti in F.Fortini, Tre testi per film, Milano, Edizioni “Avanti!”, 1963), un film d’autore (Fortini/cani di Jean-Marie Straub e Danièlle Huillet, 1976) e alcune inedite produzioni su commissione: Incontro con l’Olivetti (1950), diretto da Giorgio Ferroni, Divisione controllo numerico e Auctor. Meccanica a controllo elettronico di Aristide Bosio (1968),  Le regole del gioco di Massimo Magrì (1968), Una strada d’acciaio di Valentino Orsini (1968), Progetto 128 dello stesso regista (1968); i primi quattro nati in ambito Olivetti, gli altri due rispettivamente per Ansaldo e Fiat.
Per la prima volta, dunque, è stato possibile vedere l’insieme della produzione fortiniana per il cinema: occasione tanto più stimolante, in quanto il materiale offerto dal ciclo appartiene a “generi” diversi, e s’iscrive, tranne Fortini/cani, entro un arco cronologico distinto, gli anni Sessanta, di particolare rilievo per l’opera dello scrittore: sono di quel giro di anni Una volta per sempre, Sere in Valdossola, Verifica dei poteri, Profezie e realtà del nostro secolo, la prima edizione di L’ospite ingrato, la traduzione del Faust (ma anche I cani del Sinai, all’origine del film di Straub). Ulteriore motivo d’interesse sono state le testimonianze, durante il dibattito organizzato nel primo giorno delle proiezioni, di Paola Olivetti su Scioperi a Torino (di particolare rilievo) e di Oddone Camerana su Progetto 128, che insieme alle riflessioni di Gianni Volpi hanno fornito spunti e aperture utili ad approfondire quest’aspetto dell’opera di Fortini, sinora poco studiato dalla critica.
Quanto alla diversità ora accennata, in realtà non riguarda soltanto i vari “generi” frequentati da Fortini (film d’impresa, documentario di taglio militante, film d’autore), ma anche i lavori prodotti in uno stesso ambito. Infatti, per la produzione “industriale”, mentre Incontro con Olivetti riproduce fedelmente i testi inseriti in Visita a una fabbrica, libretto edito dalla Olivetti nel 1949 (curatori Fortini, Brizzolara e Steiner per la grafica), ed ha una precisa struttura narrativa, basata per un verso sul ciclo di produzione aziendale, per un altro sulla giornata del lavoratore, Progetto 128 nasce invece come filmato per il “lancio” di un prodotto (l’auto con questa sigla) ed i lavori realizzati da Aristide Bosio si presentano in chiave tutta “tecnica”. Più originale Le regole del gioco di Massimo Magrì, che come osserva Toffetti nella nota introduttiva al ciclo, è «uno dei film “ideologici”, tipici della produzione Olivetti, che non servono a pubblicizzare un prodotto, ma sintetizzano una visione del rapporto tra tecnologia e sviluppo, con un incipit che riafferma la fiducia nella capacità dell’uomo di stringere il futuro nelle proprie mani e rifiuta ogni tentazione di arcadica fuga dalla modernità.» Ma a colpire lo spettatore è soprattutto Una strada d’acciaio (sulla sopraelevata di Genova), firmato da Valentino Orsini: qui tanto l’impianto registico, le cui  rapide sequenze aderiscono al ritmo jazzato della colonna sonora, quanto i testi di Fortini, a loro volta impaginati in una composizione volutamente “modernistica”, collaborano ad un quadro efficacissimo di suoni, immagini e parole, ritraendo il nascere della strada, campata dopo campata, nel cuore vitale della città.
Una strada d’acciaio è anche il lavoro che lascia avvertire con più chiarezza, nonostante l’apparente distanza dai temi più consueti della poesia fortiniana, il proprio legame con i versi dell’autore. Il testo è organizzato per brevi blocchi e propone, con un suo réfrain interno, una sorta di grande ballata metrica: alla struttura di acciaio e cemento che viene svolgendosi sotto i nostri occhi come un paradosso fatto di pesantezza e velocità, aria e materia, corrisponde la dimensione del «discorso» le cui singole parti si dispongono dinamicamente in vista di un fine che ne compie il progetto: «Spazi ordinati, spazi mobili, aria da attraversare, da ordinare, da percorrere, in blocchi, frazioni, frammenti, luci, lampi.»  Si avverte nel rapporto tra decostruzione “sintattica” e costruzione architettonica, segmento o sintagma e insieme del discorso, anche l’eco di un luogo concettuale e poetico di primo piano nell’opera fortiniana, quello indicato dalla coppia Ordine/Disordine (si veda Questo muro); quasi una “firma” che suggerisce un approccio dialettico al motivo del Progresso, perciò proprio dell’oggetto del discorso ma anche emblematico per gli anni del “boom”.
Nemmeno nei Tre testi per film, certo, mancano i richiami all’opera cosiddetta “maggiore”. Anzi si può notare come l’importanza di questi “commenti” si ricavi dalla presenza di motivi che appartengono sia a composizioni precedenti, sia ad altre di molto posteriori ad essi. Per fare due esempi posti tra loro ai due estremi di un arco di quasi quarant’anni: in All’armi (p. 49, ed. cit.) si legge: «Quando in quella sera di settembre / non ci furono più ordini, / ciascuno dovette scegliere da sé, / rischiare l’errore, decidere il dovere.»; passaggio che rinvia a Una sera di settembre (1955), notevolissimo testo di Poesia e errore, ed a un momento decisivo – l’otto settembre 1943 - della biografia fortiniana (come attestato da Sere in Valdossola). E d’altra parte in La statua di Stalin troviamo questo passo: «Il comandante di un reparto russo allora gridò: / “Non possiamo più ritirarci. Abbiamo Mosca alle spalle”.» (p.127, ed. cit.) che rinvia puntualmente ai versi “testamentari” di Composita solvantur (1994): «Volokolàmskaja Chaussé, novembre 1941. / “Non possiamo più, - ci disse, - ritirarci. / Abbiamo Mosca alle spalle”. Si chiamava / Klockov.» («E questo è il sonno…»). Ma naturalmente, molti sono i possibili collegamenti tra la trilogia ed il resto dell’opera di Fortini: per esempio, la storia italiana inquadrata in una prospettiva di parte e “dal basso” in All’armi ha un lontano precedente nei discorsi tenuti dall’esule ai profughi dei campi svizzeri all’altezza del ’44 (Agli Italiani), e il registro retorico e tonale di Scioperi non è lontano, a sua volta, dal Comizio per il Vietnam del ’67. Più in generale, bisogna ricordare che sia All’armi, sia Scioperi furono film importanti per la generazione del ’68, ed anche in questo senso appare evidente la contiguità rispetto al lavoro svolto dal saggista di Verifica dei poteri.
Ben al di là di queste prime, corsive annotazioni, le suggestioni e le domande che lo spettatore odierno di questi film, a testimonianza della loro vitalità, si trova ad affrontare e scoprire, sono numerose e di rilievo: un intero dossier da analizzare e da allargare ad altre zone dell’opera di Fortini, per esempio i radi ma importanti interventi su singoli film e registi; o ancora, il denso capitolo relativo all’attività dello scrittore per la Olivetti. E c’è Fortini/Cani che di per sé esigerebbe un discorso complesso, a più livelli, quale non è dato nemmeno accennare in breve spazio. Di questo sostanzioso inizio, insomma, bisogna esser assai grati agli organizzatori dell’iniziativa, la cui generosità e competenza è merce rarissima ai nostri tempi dediti all’effimero ed all’evento para-pubblicitario: dote proprio per questo tanto più apprezzata dal pubblico del ciclo.


[[16 dicembre 2010] 

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